sabato 19 dicembre 2009

circolare min,. interno del 3.12.09


03.12.09 - Ministero Interno: i medici non devono denunciare i clandestini

"Continua a trovare applicazione, per i medici e per il personale che opera presso le strutture sanitarie, il divieto di segnalare alle autorità lo straniero irregolarmente presente nel territorio dello Stato che chiede accesso alle prestazioni sanitarie, salvo il caso, espressamente previsto dal comma 5 dell'articolo 35 del Decreto Legislativo 286/1998 in cui il personale medesimo sia tenuto all'obbligo del referto, ai sensi dell'articolo 365 del Codice Penale, a parità di condizioni con il cittadino italiano, che sussiste in presenza di delitti per i quali si deve procedere d'ufficio. Quest'obbligo non sussiste per il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, introdotto dall'articolo 1, comma 16 della Legge 94/2009, attesa la sua natura di contravvenzione e non di delitto. Inoltre, il comma 2 dello stesso articolo 365 espressamente esclude l'obbligo di referto nel caso in cui il referto stesso esporrebbe l'assistito a procedimento penale".

Lo ha chiarito il Ministero dell'Interno con la Circolare 12/2009, che ha precisato che il suddetto comma 5 non è stato abrogato né modificato dalla Legge 94/2009 e conserva piena vigenza.

(Ministero dell'Interno - Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione, Circolare 27 novembre 2009, n.12: Assistenza sanitaria agli stranieri non iscritti al servizio sanitario nazionale. Divieto di segnalazione degli stranieri non in regola con le norme sul soggiorno. Sussistenza).

mercoledì 9 dicembre 2009

ADDIO SHER KHAN

E' morto un vecchio compagno, è morto Sher Khan, è stato trovato morto a piazza Vittorio dove non era difficile incontrarlo. Aveva trascorso ancora una volta un fermo nel CIE di ponte galeria, le guardie anti immigrati lo conoscevano da più di venti anni ed erano abituati a mandarcelo e farlo uscire per rimandarcelo dentro di nuovo... forse ha ceduto il suo cuore, forse ha ceduto davanti al freddo, forse aveva già ceduto all'alcol... sher khan non ha mai ceduto davanti ai sui aguzzini siano stati essi fascisti, guardie o guardie fascisti.
Sei giunto alla fine del viaggio sher khan... nessuno ti chiederà più il permesso di soggiorno sapendo che non ce l'hai per rimandarti a ponte galeria.
ciao
andrés


Trovato morto per freddo Sher Khan

partecipò all'occupazione della Pantanella
Era Sher Khan, leader dell'occupazione della Pantanella, l'uomo morto martedì notte forse per il freddo in piazza Vittorio. Pakistano, 55 anni, Khan aveva partecipato all'occupazione dell'ex pastificio 'Pantanella' insieme a Dino Frisullo e don Luigi Di Liegro. Negli anni si era impegnato in numerose lotte sociali diventando un punto di riferimento per la comunità pakistana e per i migranti di Roma
Era stato uno dei fondatori delle prime associazioni di comunità migranti a Roma, l'uomo trovato morto martedì notte in piazza Vittorio, presumibilmente per il freddo. Sher Khan, pakistano, 55 anni, aveva partecipato all'occupazione dell'ex-pastificio "Pantanella" a cavallo della fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90 insieme al fondatore della Caritas, don Luigi Di Liegro.

In quel periodo nacque l'associazione United Asian Workers Association (Uawa), una delle prime organizzazioni di migranti che Sher Khan presiedeva. Aveva partecipato alle lotte che le prime associazioni di migranti a Roma avevano portato avanti negli anni '90 sul lavoro, sul diritto alla casa e sull'asilo politico. "Lui stesso era un rifugiato politico - racconta Alessandra Caligiuri dell'associazione bengalese Dhuumcatu che con Sher Khan aveva condiviso battaglie politiche - eppure, soltanto tre giorni fa era uscito dal Cie di Ponte Galeria dove era stato trasferito. Sher Khan in questi anni ha subito una vera e propria persecuzione da parte delle autorità".

Lo scorso settembre era stato sgomberato dallo stabile occupato di via Salaria, quello degli "ingovernabili". "In quanto single, l'amministrazione cittadina non gli ha trovato neppure un posto dove andare a dormire - dice Caligiuri - Sher Khan è l'ennesima vittima del fallimento delle istituzioni sulle politiche d'accoglienza degli immigrati". A decidere sulla data del funerale sarà la comunità pakistana di Roma che si riunirà in assemblea a piazza Vittorio.

A chiamare i carabinieri erano stati alcuni passanti che, dopo aver pensato per qualche istante che dormisse, si sono insospettiti. La sua salma verrà sottoposta ad autopsia per stabilire le cause del decesso. Pare che avesse avuto un infarto circa 2 anni fa.Fonti del 118 riferiscono che sul corpo dell'uomo non sono visibili segni di violenza.


Sull'episodio è intervenuto anche il capogruppo di Sinistra arcobaleno nel I Municipio, Letizia Ciccioni, che denunciando quanto avvenuto afferma che "è indecente per una città come Roma che tali situazioni di degrado umano e sociale non siano nell'agenda delle priorità dell'amministrazione comunale, che sembrerebbe fare solo a parole politiche di assistenza, che poi nei fatti vengono puntualmente smentite".

Immediata la replica del sindaco Gianni Alemanno. "Il piano freddo partira' come ogni
anno e darà un ricovero a tutti coloro che non hanno un luogo dove andare a dormire per proteggersi dal freddo", ha detto Alemanno che ha aggiunto: "Fino ad ora la temperatura non si era abbassata tantissimo, in ogni caso siamo già pronti a partire con il piano messo a punto dall'assessore Belviso".
(09 dicembre 2009)

sabato 21 novembre 2009

Immigrati/ Fini: 'Stronzo' chi discrimina, cambiare la Bossi-Fini

15:28 - POLITICA- 21 NOV 2009
"Crocifisso in aula non dà fastidio, ma no a imporre religioni"
Roma, 21 nov. (Apcom) - "Stronzo": per il vocabolario d'Italiano significa in modo volgare escremento umano, per il comune sentire è chi assume atteggiamenti o comportamenti lesivi della dignità e delle persone altrui. Per il presidente della Camera, Gianfranco Fini "stronzo" è colui che discrimina un altro per il colore della pelle o per il Paese da cui proviene. Chiunque lo faccia, è "stronzo". "Vi pesa essere qui? C'è qualche stronzo che usa qualche parola di troppo?", chiede Fini ai giovani extracomunitari del centro interculturale Semina Semina, a di Torpignattara, periferia est di Roma. E gli 'ospiti', in massima parte adolescenti e bambini cingalesi, cinesi, filippini, eritrei, restano basiti, giornalisti e anche il portavoce di Fini sbiancano. Eppure, il fu leader di An insiste, rincara: "perché se qualcuno lo fa, la parolaccia la merita: voi la pensate, io la dico". E la mente di chi vede Fini sullo scranno più alto di Montecitorio tutti i giorni o quasi va subito all'emiciclo, alla politica, alle polemiche sul 'white Christmas', alle dichiarazioni di tutti i giorni. Possibile che il 'politically correct' oggi sia rimasto a casa, insieme ai pantaloni dell'abito di Fini, che arriva a Torpigna in jeans e giacca blu, con la cravatta ma con la camicia a righe? Evidentemente sì, perché nella ex scuola media di periferia, la politica non è entrata manco per niente. Nessun discorso da presidente, zero spazio per il cerimoniale: Fini si è buttato a corpo morto tra i ragazzi e ha fatto parlare loro e a uno ha detto persino che è "un bel paraculo", perché chi sfugge alle domande e ne pone in replica, come ha fatto il ragazzino eritreo, è proprio un 'paraculo', in qualsivoglia ti po di Aula. S'è buttato Fini, perché "se non li ascolti, se non vieni qui, non capisci". E allora, quando gli hanno chiesto se "riuscirà a convincere quelli di destra" sulla bontà delle sue aperture sull'immigrazione, Fini ha sorriso e ha detto che "quelli di destra, ma anche qualche amico di sinistra" si convinceranno, "perchè di queste cose non puoi parlare dal bel salotto", dove la parola 'stronzo non la senti mai, nemmeno detta con la erre blesa o con il tono della voce un ottava più basso del solito. "Questi ragazzi - ha aggiunto ancora Fini, parlando con i cronisti al termine della visita - non hanno nulla di diverso dai loro coetanei: hanno gli stessi sogni e gli stessi problemi" e 'quelli di destra' "si convinceranno", anche perché "fra un po' questi ragazzi saranno molti di più". E' la generazione degli Andrea con gli occhi a mandorla, di chi si chiama con il nome di una divinità indù troppo difficile da pronunciare e che diventa allora semplicemente Lak, di chi va al liceo con il costume tradizionale del Bangladesh, figli d'immigrati in Italia che o arrivati neonati o quasi, gente che parla romanesco o milanese più che la lingua dei padri, ragazzi che Fini ha incontrato e dai quali s'è fatto dire che "il crocifisso in classe non da' nessun ascidio, a patto che nessuno voglia imporre la religione d'un altro". "Che replicare - è stato il solo commento di Fini - sono d'accordo, mi sarei preoccupato se avessero detto il contrario": E allora basta con l'equazione "straniero uguale criminale", e sbattere nel titolo d'un giornale "il riferimento etnico accanto al brutto fatto di cronaca è un modo di fare informazione scorretto e superficiale", meglio che i media, è il ragionamento, si astengano. Resta però lo 'scoglio normativo', parola che Fini non usa ma che ben definisce le barriere poste dalla Bossi-Fini. "Ne condivido ancora la filosofia di fondo, che è quella che dice che stai in Italia solo se hai un lavoro. però oggi farei un paio di modifiche". Una riguarda "i sei mesi dopo i quali, se perdi il lavoro, ti scade il permesso di soggiorno. Con questa crisi sarebbe meglio fare un anno". La seconda è uno snellimento burocratico: per Fini è da cambiare la norma che impone allo straniero il ritorno in Patria per il rinnovo della domanda di soggiorno. "Meglio sarebbe incaricarne ambasciate e consolati". Applausi, autografi, saluti e "ci vediamo alla Camera, venitemi a trovare".

Immigrati/ Fini: 'Stronzo' chi discrimina, cambiare la Bossi-Fini

15:28 - POLITICA- 21 NOV 2009
"Crocifisso in aula non dà fastidio, ma no a imporre religioni"
Roma, 21 nov. (Apcom) - "Stronzo": per il vocabolario d'Italiano significa in modo volgare escremento umano, per il comune sentire è chi assume atteggiamenti o comportamenti lesivi della dignità e delle persone altrui. Per il presidente della Camera, Gianfranco Fini "stronzo" è colui che discrimina un altro per il colore della pelle o per il Paese da cui proviene. Chiunque lo faccia, è "stronzo". "Vi pesa essere qui? C'è qualche stronzo che usa qualche parola di troppo?", chiede Fini ai giovani extracomunitari del centro interculturale Semina Semina, a di Torpignattara, periferia est di Roma. E gli 'ospiti', in massima parte adolescenti e bambini cingalesi, cinesi, filippini, eritrei, restano basiti, giornalisti e anche il portavoce di Fini sbiancano. Eppure, il fu leader di An insiste, rincara: "perché se qualcuno lo fa, la parolaccia la merita: voi la pensate, io la dico". E la mente di chi vede Fini sullo scranno più alto di Montecitorio tutti i giorni o quasi va subito all'emiciclo, alla politica, alle polemiche sul 'white Christmas', alle dichiarazioni di tutti i giorni. Possibile che il 'politically correct' oggi sia rimasto a casa, insieme ai pantaloni dell'abito di Fini, che arriva a Torpigna in jeans e giacca blu, con la cravatta ma con la camicia a righe? Evidentemente sì, perché nella ex scuola media di periferia, la politica non è entrata manco per niente. Nessun discorso da presidente, zero spazio per il cerimoniale: Fini si è buttato a corpo morto tra i ragazzi e ha fatto parlare loro e a uno ha detto persino che è "un bel paraculo", perché chi sfugge alle domande e ne pone in replica, come ha fatto il ragazzino eritreo, è proprio un 'paraculo', in qualsivoglia ti po di Aula. S'è buttato Fini, perché "se non li ascolti, se non vieni qui, non capisci". E allora, quando gli hanno chiesto se "riuscirà a convincere quelli di destra" sulla bontà delle sue aperture sull'immigrazione, Fini ha sorriso e ha detto che "quelli di destra, ma anche qualche amico di sinistra" si convinceranno, "perchè di queste cose non puoi parlare dal bel salotto", dove la parola 'stronzo non la senti mai, nemmeno detta con la erre blesa o con il tono della voce un ottava più basso del solito. "Questi ragazzi - ha aggiunto ancora Fini, parlando con i cronisti al termine della visita - non hanno nulla di diverso dai loro coetanei: hanno gli stessi sogni e gli stessi problemi" e 'quelli di destra' "si convinceranno", anche perché "fra un po' questi ragazzi saranno molti di più". E' la generazione degli Andrea con gli occhi a mandorla, di chi si chiama con il nome di una divinità indù troppo difficile da pronunciare e che diventa allora semplicemente Lak, di chi va al liceo con il costume tradizionale del Bangladesh, figli d'immigrati in Italia che o arrivati neonati o quasi, gente che parla romanesco o milanese più che la lingua dei padri, ragazzi che Fini ha incontrato e dai quali s'è fatto dire che "il crocifisso in classe non da' nessun ascidio, a patto che nessuno voglia imporre la religione d'un altro". "Che replicare - è stato il solo commento di Fini - sono d'accordo, mi sarei preoccupato se avessero detto il contrario": E allora basta con l'equazione "straniero uguale criminale", e sbattere nel titolo d'un giornale "il riferimento etnico accanto al brutto fatto di cronaca è un modo di fare informazione scorretto e superficiale", meglio che i media, è il ragionamento, si astengano. Resta però lo 'scoglio normativo', parola che Fini non usa ma che ben definisce le barriere poste dalla Bossi-Fini. "Ne condivido ancora la filosofia di fondo, che è quella che dice che stai in Italia solo se hai un lavoro. però oggi farei un paio di modifiche". Una riguarda "i sei mesi dopo i quali, se perdi il lavoro, ti scade il permesso di soggiorno. Con questa crisi sarebbe meglio fare un anno". La seconda è uno snellimento burocratico: per Fini è da cambiare la norma che impone allo straniero il ritorno in Patria per il rinnovo della domanda di soggiorno. "Meglio sarebbe incaricarne ambasciate e consolati". Applausi, autografi, saluti e "ci vediamo alla Camera, venitemi a trovare".

venerdì 20 novembre 2009

Comunicato su azioni razziste da parte del Comune di Coccaglio e del Comune di Milano.

La giunta del comune di Coccaglio (Bs), a maggioranza PDL-LEGA NORD-PART.PENSIONATI, ha deliberato e messo in atto l'operazione "White Chistmas" che, a partire dalla fine di ottobre sino al 25 dicembre 2009, sta scandagliato le case dei cittadini immigrati (1560 su una popolazione di 7.000 abitanti circa) domiciliati sul territorio comunale, in maniera metodica e sistematica, tramite la polizia locale, al fine "amministrativo" di verificare il permesso di soggiorno.

Tra veri obiettivi di questo provvedimento, vi è la revoca d'ufficio della residenza anagrafica a tutti coloro che hanno il permesso di soggiorno scaduto da sei mesi, che comporta la perdita del diritto ad abitare in Coccaglio, la cancellazione dal servizio sanitario nazionale e il rischio concreto di espulsione.

Dopo l'approvazione delle “Disposizioni in materia di sicurezza”, dello scorso luglio 2009, da parte del governo Berlusconi, il vero obbiettivo dei primi zelanti sindaci di centro-destra è di “iniziare a fare pulizia” dei cittadini immigrati, così come dichiara, senza ambiguità, il dott. Franco CLARETTI, sindaco di Coccaglio.

In questo comune, non sussistono nemmeno ragioni di ordine pubblico, perché, come ammette lo stesso sindaco “Da noi non c'è criminalità”, che la vulgata razzista vorrebbe che sia associata alla presenza di cittadini immigrati.

Le vere motivazioni di questa operazione di "pulizia", attuata mediante una pretestuosa indagine amministrativa, sono la politica razzista e la cultura identitaria, che vengono teorizzate e messe in pratica dai partiti di centro-destra, sia in ambito nazionale che sul territorio locale.

Il cittadino immigrato è discriminato e segregato perché non viene riconosciuto identico e non è codificabile nei registri di sangue e di suolo della cosiddetta comunità locale.

Il lavoratore immigrato è definito come colui che ruba il lavoro:
“li facciamo lavorare nelle nostre aziende…specialmente in un momento di crisi come questo, non ci possiamo più permettere!”.

Che fruisce "illegittimamente" dei diritti fondamentali sanciti dalla nostra Costituzione di istruzione, salute, e libera espressione di pensiero: “istruiamo i loro figli nelle nostre scuole…li curiamo nei nostri ospedali…tolleriamo la loro religione” (da un volantino della Lega Nord Franciacorta ottobre 2009).

All'interno di questa logica razzista, si stanno attuando perseveranti azioni di rastrellamento contro i rom, attraverso l'abbattimento delle loro abitazioni, con il fine di cacciarli e di disperderli, così come sta pianificando la giunta di centro-destra di Milano (cancellazione del campo rom di via Rubattino).


Denunciamo questi comportamenti razzisti e discriminatori, che hanno come finalità la divisione tra i lavoratori unicamente per provenienza nazionale.



Sappiamo che è colpa di questo sistema economico e di questa organizzazione del lavoro la grave crisi che si sta attraversando, che fa aumentare il costo della vita, riduce i salari, precarizza il lavoro, mette in cassa integrazione e licenzia: fa ricadere i pesanti costi economici e umani unicamente sulle famiglie dei lavoratori.

CUB IMMIGRAZIONE

Viaggio nel paese di White Christmas "I nostri figli hanno troppi amici neri"

Bossi: tutto legale. Bagnasco: accoglienza, è il dna della Chiesa
Gli amministratori di Coccaglio: abbiamo speso più per gli stranieri che per gli italiani
Viaggio nel paese di White Christmas
"I nostri figli hanno troppi amici neri"
dal nostro inviato SANDRO DE RICCARDIS

Viaggio nel paese di White Christmas "I nostri figli hanno troppi amici neri"
COCCAGLIO (Brescia) - Un anno fa, per John, il Bianco Natale è stato il concerto gospel nella parrocchia Santa Maria Nascente. È stato quelle lunghe notti di prove con i suoi amici del centro storico, ghanesi come lui, e coi senegalesi che arrivavano in chiesa dai condomini di via Castrezzato, gli unici palazzi in questo comune tutto ville e villette. "Un anno fa - dice ora John - il Bianco Natale era anche la mia festa. Io sono cristiano. Avevamo organizzato il concerto perché sappiamo che quel tipo di musica gli italiani la conoscono poco, la vedono solo in televisione". Poi John smette di parlare. Affonda il mento nella sua sciarpa rossa, gialla e verde come la bandiera del suo paese. "Quest'anno invece ci dicono che a Natale dobbiamo andare via".

A Coccaglio, il comune bresciano che con l'operazione "White Christmas" ha inaugurato la caccia al clandestino in nome del Natale, John e i suoi amici sono ormai un quinto della popolazione. Negli uffici del municipio c'è un grafico affisso al muro, che si arrampica ripidamente verso l'alto e mostra il terremoto etnico degli ultimi dieci anni. Aprile '98, 177 stranieri. Aprile 2009, 1583, su poco meno di settemila abitanti. Un'onda di migrazione che ha invaso questo borgo antichissimo e il suo centro storico che sembra rimasto immobile nel suo passato. Col castello romano ricamato di luci, la vecchia pieve dove ogni tanto si celebra messa, il monumento al madrigalista del '500 Luca Marenzio, proprio al centro della piazza che dal musicista prende il nome e divide due pezzi di città. Da una parte la caffetteria Ketty e il bar Al centro, vetrine lucide, arredi pettinati, clientela da middle-class di provincia. Dall'altra il bar Castello, comprato e gestito dai cinesi, frequentato soprattutto da stranieri. "Il nome lo conoscevo, "White Christmas", ma sinceramente non ci ho mai fatto caso - dice Romina, dietro il bancone della caffetteria Ketty - il problema è che del Natale a loro non gliene frega niente. Il nome forse è sbagliato, ma l'operazione, quella no. Loro qui non ci vengono. Perché fortunatamente con gli immigrati non ho mai attaccato". Il bar è un posto tranquillo. Entrano ed escono i clienti. Quattro sono seduti al tavolo. Arriva anche Monica, l'estetista del negozio accanto. "I miei figli hanno solo amici extracomunitari. Uno ha 14 anni, l'altro 12. Vanno in giro sempre con due romeni e due africani. A Coccaglio sono tantissimi. Io però non voglio che escano con questi. È razzismo questo?". Ma una ragione vera non c'è. "Mi chiede perché? Perché no. Non mi va. Non mi vanno nemmeno i loro genitori".

Mentre nel paese si discute e si commenta, l'amministrazione ha scelto il silenzio. Il segretario della Lega Nord Umberto Bossi dice che "il Comune ha applicato la legge, anche se non c'era bisogno di chiamare l'operazione "White Christmas", si poteva chiamare "Natale controllo della regolarità". E il sindaco Franco Claretti e l'assessore alla Sicurezza Claudio Abiendi, "leghisti dalla fondazione del partito", preferiscono non commentare. "Aspettiamo che Maroni riferisca in Parlamento, poi faremo anche qui una conferenza stampa" dice l'unico rappresentante in municipio dell'amministrazione, l'assessore alle politiche sociali Agostino Pedrali. "Da quando ci siamo insediati, a giugno, abbiamo speso più per gli stranieri che per gli italiani: 89mila euro contro 43mila". "Solo propaganda - replica il capogruppo del centrosinistra, Claudio Rossi - Su 150 alloggi da assegnare, solo due sono andati a stranieri".

Sui controlli in nome del Natale che hanno fatto indignare la politica e i cattolici, il presidente della Cei, il cardinal Angelo Bagnasco, di nuovo ha spiegato che "la Chiesa ha nel suo dna più profondo, sull'esempio della luce di Gesù Cristo, il tema dell'accoglienza, del dialogo. Questo non significa, assolutamente, andare contro la sicurezza, altro diritto e dovere di tutti cittadini". Per trovare un po' di dialogo basta spostarsi poco più in là, alla periferia del paese, in via Mattei, al bar tabaccheria May Day. In centro lo chiamano il "bar dei kosovari", ma a versare grappa e litigare con la macchinetta del caffè c'è Andrea Cavallini, "purissimo bresciano", la moglie, clienti italiani, albanesi, macedoni e kosovari. "Lavorano tutti, chi fa l'operaio, chi il muratore. Tutti in regola e lavoratori. Ma da qualche settimana sono tutti a spasso. I cantieri sono fermi per la crisi". Andrea, che è amico e un po' il padre di tutti i ragazzi slavi, si è tenuta la tabaccheria e ha ceduto a loro il bar. "A me l'iniziativa non è piaciuta. Ma il metodo è terribile. Ti spediscono una lettera, se non rispondi entrano in casa, vedono se hai clandestini. Si faceva così ai tempi del Duce, lo faceva anche Stalin. Vogliamo tornare lì?". Se chiedi ai giovani kosovari dell'operazione "White Christmas" smettono di giocare a calcio balilla e spengono i sorrisi.

"Il problema non sono i controlli e nemmeno il nome - dice Mergan - è il momento. Perché ora c'è il rischio che con la perdita di lavoro si perda anche la possibilità di rinnovare i documenti. È vero, c'è il sussidio di disoccupazione. Ma si può chiedere una sola volta. Poi, dopo, cosa si fa con la moglie e i figli che sono nati qui, a Coccaglio". Mergan ha 38 anni, è arrivato in provincia di Brescia undici anni fa, si è sposato e ha ora quattro ragazzi. La sua è la storia di tanta immigrazione, impiegata nei cantieri edili tra Bergamo e Brescia, alla Scab che produce mobili, alla Bialetti delle famose caffettiere, nelle tante officine meccaniche. "Non lavoro da mesi - dice Megan - . Sono gli italiani a non chiamarmi più. Se va avanti così, e poi un giorno vengono a farmi un controllo, cosa succede?".
Repubblica del 20/11/09

Il "natale bianco" che insulta tutti noi

Il "natale bianco" che insulta tutti noi
di FRANCESCA COMENCINI
Caro direttore, leggo sui giornali dell'operazione "White Christmas", messa in atto dal sindaco di Coccaglio, che consiste nell'individuare, casa per casa, tutte le persone straniere non in regola e cacciarle, in vista del Natale. La notizia mi colpisce, non solo per l'idea di accoglienza, di cittadinanza e di cristianità che la sottende, ma anche perché Coccaglio è il luogo dove riposano i miei nonni, Cesare Comencini e Mimì Hefti Comencini. Per loro mi sento in obbligo di scrivere questa lettera.

Mia nonna, figlia di una famiglia svizzera tedesca, si innamorò di mio nonno Cesare e per sposarlo dovette combattere contro tutti i pregiudizi di cui gli italiani erano vittime nel suo paese. Gli svizzeri tedeschi non amavano gli italiani, li consideravano sporchi, primitivi, ne avevano paura, al massimo li impiegavano nelle loro fabbriche o per pulire le loro case. Ma mia nonna non cedette, si sposò con il suo Cesare e venne a vivere in Italia. Mio nonno era di origini modeste, ma con molti sacrifici era riuscito a laurearsi in ingegneria. Tuttavia in Italia non riusciva ad assicurare una vita sufficientemente degna a sua moglie, e ai loro due figli che nel frattempo erano nati, mio padre, Luigi, e suo fratello Gianni. Vivevano a Salò, dove gli affari andavano molto male. Un giorno mio nonno decise di emigrare in Francia, aveva sentito che lì si compravano terre a basso prezzo, perché i francesi abbandonavano la campagna, e per ogni due francesi c'era un italiano. Così partirono.

La loro vita in Francia non fu facile, i miei nonni, poco esperti dei lavori agricoli, dovettero imparare tutto. Nel suo libro, "Infanzia, vocazione e prime esperienze di un regista", mio padre racconta: "Ora riesce difficile immaginare com'era la nostra vita nelle campagne del Sud-ovest francese. Non avevamo né luce, né acqua corrente. Ma avevamo il pianoforte. Ogni sera, dopo cena, mio padre sedeva in poltrona, e, cullato dalla musica di mia madre, lentamente sprofondava nel sonno". A scuola, mio padre, che quando arrivò in Francia aveva sei anni, veniva sempre messo da solo all'ultimo banco, e regolarmente chiamato "Macaroni", come in Francia venivano chiamati gli immigrati italiani. Fu mio nonno Cesare a soffrire più di tutti per la lontananza dall'Italia. Mio padre ricorda che si era costruito una radio a galena, che tutte le sere si ostinava a cercare di far funzionare. Quando mio nonno si ammalò iniziò a dire "non voglio morire in Francia, non voglio morire in Francia". Così mia nonna lo riportò a casa, in Italia, da suo fratello, a Coccaglio.

Fu sepolto nel piccolo cimitero di Coccaglio, dove molti anni dopo lo raggiunse mia nonna, che dopo la sua morte era rimasta a vivere in Italia, a Milano. I miei nonni sapevano cos'è lasciare il proprio paese per poter lavorare, cos'è essere stranieri, sapevano cos'è la dignità da salvare, per sé e per i propri figli. Al funerale di mia nonna ricordo che mio padre lesse quel brano del Vangelo secondo Matteo in cui Gesù dice "Ama il prossimo tuo come te stesso". Mia nonna era credente a modo suo, di religione Valdese. Ricordo un giorno, un venerdì santo, era venuta a trovarci a Roma per Pasqua, e io la trovai in camera sua, che piangeva piano e quando le chiesi perché mi rispose, asciugandosi in fretta gli occhi con il fazzoletto che teneva sempre nella manica del suo golfino: "Penso a Gesù, a come doveva sentirsi solo e impaurito nel giardino di Getsemani". I miei nonni riposano nel cimitero di Coccaglio, che non è solo la casa di chi provvisoriamente ne amministra il comune in questi anni, ma è stata anche la loro, e quindi ora è un po' la mia e di tanti altri, che, come me, discendono da chi ha dovuto lasciare l'Italia per lavorare, con fatica, dolore, umiliazione. E sono sicura che i miei nonni, se potessero alzarsi e sorgere dalla memoria, condannerebbero chi ha osato inventare l'operazione "White Christmas". A nome loro, tramite queste righe, lo faccio io.
Repubblica del 20/11/09

Milano, polemica per l'Ambrogino premiati i "cacciatori" di immigrati



di FRANCO VANNI

Il riconoscimento ai vigili che rastrellavano clandestini con il bus blindato. Un mese fa la Moratti aveva fatto marcia indietro

MILANO - Il Comune premia i vigili che fino a un mese fa rinchiudevano i presunti clandestini sui "bus della vergogna", con grate ai vetri, in attesa dell'identificazione. E lo fa con la più prestigiosa onorificenza milanese, conferita il 7 dicembre: l'Ambrogino, assegnato a maggioranza dal consiglio comunale. Una decisione sofferta, raggiunta dopo ore di discussione e con il voto contrario dell'opposizione di centrosinistra. A proporre il premio per il "Nucleo di tutela trasporto pubblico", nato nel 2000 e specializzato nel garantire la sicurezza sui mezzi Atm, è stata la Lega. Una candidatura fatta all'indomani della polemica suscitata dalle immagini degli immigrati scoperti senza biglietto, tirati giù dai tram e rinchiusi per ore su mezzi blindati, "esposti alla curiosità dei passanti come animali allo zoo", per usare le parole del consigliere comunale del Pdl Aldo Brandirali.

Ma nonostante le voci contrarie, il partito del sindaco Letizia Moratti alla fine ha votato per l'Ambrogino.
Per il capogruppo del Pd a Palazzo Marino, Pierfrancesco Majorino, il riconoscimento agli uomi del Nttp "è una bieca operazione di propaganda della Lega, che premia un gruppetto di agenti di cui vorremmo conoscere le mansioni, e che umilia i 3mila vigili che ogni giorno lavorano per il bene di Milano". E se il leghista Matteo Salvini esulta "per il riconoscimento a uno dei servizi più utili per la collettività" senza però fare riferimento alle retate contro gli immigrati, tace il vicesindaco Riccardo De Corato, assessore alla Sicurezza e al Traffico, nonché capo delegazione del Pdl in giunta. Dopo le polemiche dell'opposizione, del mondo cattolico, di Amnesty International e di parte della sua stessa maggioranza "per una pratica disumana", il sindaco Moratti un mese fa aveva rinunciato a usare i bus blindati nella "caccia al clandestino". Un passo indietro imbarazzato, fatto senza annunci pubblici, ma voluto dal primo cittadino. E anche per questo, il premio dato ai 28 vigili stupisce.

I primi a meravigliarsi del riconoscimento sono gli stessi ghisa. Giuseppe Falanga, sindacalista del Sulpm vicino alla Uil, commenta: "Ai colleghi vanno tutte le congratulazioni, ma il senso del premio non è chiaro. Nel 2002 un agente del Nttp morì sul lavoro in un incidente d'auto ma a nessuno venne in mente di premiare il nucleo per il sacrificio pagato. Perché lo si fa ora?". Più drastico Danilo Tosarelli di Cgil-Vigili: "Non ritengo che vada premiato un nucleo discusso anche all'interno del corpo - dice - non certo per colpa degli uomini che lo compongono ma per i compiti che è chiamato a svolgere. Avrebbero dovuto premiare i vigili che operano per la sicurezza nei cantieri".

A votare contro il premio ai "puma", dal simbolo che gli agenti portano sulla divisa, sono stati anche i Verdi, con il capogruppo Maurizio Baruffi che attacca: "Questa onorificenza è assurda almeno quanto quella data a Marina Berlusconi, e mostra come il centrodestra abbia trasformato gli Ambrogini in una farsa". Per quanto riguarda le candidature proposte dal centrosinistra, è stato assegnato con il voto contrario della Lega il premio a Mahmoud Asfa, architetto giordano e presidente della Casa della cultura islamica. Bocciata invece dalla maggioranza l'ipotesi promossa dalla sinistra radicale di un Ambrogino per gli operai della Innse, che occupando la loro fabbrica sono riusciti a salvare il posto di lavoro.
Repubblica del 20/11/09

mercoledì 18 novembre 2009

Fini. Nuovo fronte di scontro nel Pdl sul voto agli immigrati

Mercoledì 18 Novembre 2009 19:26
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[Flavia Perina e Walter Veltroni]

Flavia Perina e Walter Veltroni
di Fulvio Lo Cicero

Proposta di legge bipartisan. Bossi durissimo: "Se ne devono andare a casa". Flavia Perina (Pdl): “No a logiche xenofobe”. La stampa di Arcore chiede le dimissioni dal partito del Presidente della Camera

ROMA – Si apre un nuovo fronte di scontro nella maggioranza: il diritto di voto agli immigrati per le elezioni comunali. La proposta di legge è stata presentata da esponenti del Pd (Walter Veltroni e Salvatore Vassallo), del Pdl di ala finiana (Flavia Perina e Fabio Granata), oltre che da Leoluca Orlando (Idv) e Roberto Rao (Udc). La risposta di Umberto Bossi su questo punto è stata, come sempre, a metà fra il raffinato e l’intellettuale: «Noi restiamo della nostra idea: gli immigrati devono essere mandati a casa loro. Non c'è lavoro nemmeno per noi». Immediata la replica di Fini: «E' una battuta liquidatoria, un'anatema, ma non risolve il problema. Gli immigrati in Italia oggi sono 4 milioni, ma il fenomeno è destinato ad aumentare. Tocca quindi alla politicamettere in campo misure di lunga durata. Non farlo significa accendere delle mine sul cammino della nostra società».

Anche il capo dei deputati del Pdl Fabrizio Cicchitto ha stigmatizzato l’iniziativa: «È inaccettabile che su un tema così delicato quale quello riguardante il tema della concessione del voto alle elezioni amministrative agli immigrati residenti in Italia da cinque anni alcuni colleghi appartenenti al gruppo del PDL abbiano preso l'iniziativa di presentare un disegno di legge firmato con esponenti di tutti i gruppi dell'opposizione, senza che la presidenza del gruppo sia stata minimante interpellata e tenendo conto che questa proposta non è contenuta nel programma di governo». «Se è per questo – ha dichiarato Fabio Granata del Pdl – neanche lo scudo fiscale e la privatizzazione dell'acqua erano nel programma di governo. Come maggioranza ci troviamo a votare la fiducia sui contenuti più disparati». Flavia Parina, direttrice de “Il Secolo” e convinta finiana ha spiegato in questo modo le ragioni dell’iniziativa bipartisan: «su questioni così fondamentali e che hanno una rilevanza nazionale importantissima non è possibile usare certi schemi. Se noi del centrodestra continuiamo a seguire logiche xenofobe non facciamo l'interesse nazionale».

Berlusconi smentisce le elezioni anticipate

Dopo giorni di silenzio, oggi Silvio Berlusconi ha emesso un comunicato ufficiale in cui smentisce recisamente di aver mai pensato alle elezioni anticipate. «Vedo con stupore – afferma il Presidente del Consiglio – che si stanno moltiplicando e diffondendo notizie che continuano a fare apparire come imminente un ricorso alle elezioni anticipate. Non ho mai pensato niente di simile».

Naturalmente non è vero che il premier non abbia pensato e non stia pensando tuttora ad una soluzione così traumatica. La conferma principale è che la seconda carica dello Stato, cioè il Presidente del Senato Renato Schifani lo ha dichiarato esplicitamente ieri ed è impensabile ritenere che lo abbia fatto senza consultarsi con il premier.

D’altronde è oramai evidente la strategia che intende utilizzare Berlusconi: annunci di tempesta per poi dichiarare che è uscito il sole. È una metodologia che dimostra la profonda imperizia del premier in un agone politico che gli è sempre sfuggito nei suoi termini essenziali e di cui finisce per essere quasi sempre stritolato. Ma, come sostiene il segretario del Pd Pierluigi Bersani «queste continue docce fredde di dichiarazioni e controdichiarazioni non fanno che aumentare la confusione e il distacco, già crescente, tra i cittadini, la loro visione dei problemi e la discussione politica».

Il distacco di Fini

Il dato politico rilevante rimane lo scollamento della maggioranza intorno a temi cruciali, fra i quali permane quello intorno alla candidatura di Nicola Cosentino al governatorato della Campania. I finiani sono contrari alla candidatura del sottosegretario casalese e potrebbero addirittura votare a favore della mozione di sfiducia presentata dal Pd e dall’Idv, ciò che rappresenterebbe senza ombra di dubbio un evento traumatico per la maggioranza di Governo. Tanto è vero che oggi è stato lo stesso Fini a mostrare poco apprezzamento per la mozione di sfiducia contro Cosentino e a moderare l’iperattivismo di persone a lui vicine come Italo Bocchino.

Il fatto è, però, che man mano che passano i giorni, il Presidente della Camera appare sempre più isolato all’interno del suo ex partito ed è soggetto ai continui attacchi della stampa di Arcore (anche oggi ne chiedono le dimissioni sia Feltri, sia Belpietro). Il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, ad esempio, sottolinea la necessità di correggere la linea politica di Fini, dichiarando ad un gongolante cronista de “Il Giornale” che «Berlusconi è il leader del centrodestra, investito del suo ruolo dagli elettori. Qualsiasi ipotesi alternativa sarebbe un suicidio politico». Ugualmente, il ministro dei trasporti Altero Matteoli, dichiara trepidante e fors’anche trafelato che «la dichiarazione del presidente Berlusconi fa tabula rasa di tutte le illazioni e a volte delle malignità tutte mirate a indebolire il capo del governo e la sua leadership politica del centrodestra».

Con le elezioni, Berlusconi in mano ai giudici

Il motivo principale per cui Berlusconi non vuole le elezioni anticipate è che si bloccherebbe l’attività legislativa per almeno cinque mesi, lasciandolo esposto ai marosi della magistratura, mentre ora ha un disperato bisogno contemporaneamente di una legge blocca processi e dell’avvio dell’iter di una legge costituzionale in grado di reintrodurre l’immunità-impunità parlamentare. Le inchieste di Palermo e di Caltanissetta sulle dichiarazioni del pentito mafioso Gaspare Spatuzza inquietano l’entourage berlusconista, che interpreta, ovviamente a modo suo, l’attività dei magistrati siciliani come un mortaio in grado di bombardare Palazzo Chigi non appena si diffonda il fragore dei comizi elettorali.

E questo indubbiamente è il principale punto di forza di Gianfranco Fini, che spinge sull’acceleratore per la formazione di un polo di comando all’interno del Pdl alternativo al magnate di Arcore. L’obiettivo del Presidente della Camera è quello ambizioso di costruire un partito conservatore vero in Italia, sul modello dei Paesi anglosassoni, eliminando la pesante anomalia berlusconista ed è probabilmente convinto che, su questo obiettivo, la sua figura possa svolgere la funzione di una calamita che, a poco a poco, dragando la sabbia, raccoglie tutto il ferro a disposizione.

venerdì 13 novembre 2009

Sgomberata la ex fabbrica Heineken, circa 200 persone abbandonate per strada.

Roma, 12 novembre
Questa mattina circa 200 persone rom rumene sono state sgomberate dall’edificio della ex fabbrica Heineken in via dei Gordiani dove si erano provvisoriamente “sistemate” a seguito dello sgombero avvenuto ieri dell’insediamento dove vivevano da tempo.

Lo sgombero è avvenuto senza che nessun rappresentante delle associazioni, nessun legale, mediatore culturale e giornalista si potesse avvicinare all’area e senza che nessun funzionario del Comune e delle forze di polizia desse notizia di ciò che stava avvenendo all’interno.

Non riusciamo tutt’ora ad avere notizie di circa 20 persone che sono state portate via su un autobus terrorizzate e in lacrime. Non riusciamo a capire come si possa sgomberare un area e non proporre nessuna alternativa alle persone se non quella della divisione delle famiglie, il rimpatrio o la strada.

Ci chiediamo anche perché chi ha deciso tale sgombero non ha trovato una seria soluzione di accoglienza per queste persone abbandonandole ancora una volta a loro stesse.

Tale operazione, invece di aiutare persone che vivono un disagio ma che cercano tutti i giorni di costruirsi una vita su questo territorio, dimostra l’inadeguatezza delle istituzioni sui temi dell’accoglienza e dell’integrazione. Ne è la dimostrazione la presenza di insegnanti e dirigenti delle scuole che i bambini frequentano che si chiedono come sia possibile costruire giorno per giorno percorsi di integrazione, reti sociali di sostegno e relazioni che vengono distrutte in un paio di ore dalla brutalità di azioni del genere.

L’Arci insieme con le persone sgomberate e tutte le associazioni che hanno seguito la vicenda sarà domani alle ore 12:30 in VII municipio(conferenza stampa) per avere delle risposte e delle soluzioni alternative a quelle fino ad oggi proposte.



In merito allo sgombero dell’occupazione rom di Via Gordiani, a Roma, Claudio Graziano, responsabile ARCI Immigrazione Roma e Lazio, dichiara che “gli sgomberi polizieschi sono atti scellerati, aumentano i problemi dei Rom e del territorio intero. In questo caso, sono stati sgomberate 200 persone, presenti in modo provvisorio nel Municipio VII da più di un anno, dove il processo di integrazione aveva già dato ottimi risultati. Lo dimostra la presenza delle insegnanti e la direttrice della scuola “Iqbal Masih”, che per tutta la mattina hanno cercato i genitori dei bambini e delle bambine regolarmente presenti in classe, anche oggi. Inoltre, denunciamo che non è stato permesso l’ingresso all’occupazione alle associazioni di tutela, i mediatori culturali, gli interpreti, gli avvocati, gli insegnanti, oltre che ai giornalisti. Questa operazione di sgombero dimostra la continua violazione in Italia e dei diritti umani nei confronti dei migranti e dei Rom; siamo ancora sconvolti dallo sgombero disumano dell’insediamento di S. Nicola Varco a Eboli.

Il Sindaco Alemanno si fa forte con i deboli, non affronta i problemi delle persone ma preferisce cacciare i poveri. Queste azioni violente non risolvono la situazione dei campi Rom presenti sul territorio romano, ma aumentano la confusione ed il disagio. C’è la totale assenza di una programmazione concreta, mentre le dichiarazioni verbali dell’amministrazione comunale rivendicano un impegno inesistente.

Come ARCI e con tutte le associazioni romane, ci chiediamo che tipo di città vuole amministrare questa giunta, se quella delle squadracce che irrompono nelle occupazioni operaie, se quella degli sgomberi dei cittadini poveri, se quella dei pestaggi agli omosessuali e ai migranti. Vorremmo sapere se Roma è ancora la città dell’accoglienza, oppure se quello a cui assistiamo quasi quotidianamente è il nuovo modello di convivenza civile che vuole imporci la giunta comunale.

Non sappiamo dove siano le persone sgomberate oggi, deportate con un pullman chissà dove. L’ARCI pensa che si debba dare una risposta civile a queste situazioni, che si debba arrivare ad un superamento pacifico dei campi rom, dovrebbe esserci accordo tra amministrazione comunale, cittadinanza ed i Rom stessi.

Claudio Graziano resposabile immigrazione ARCI di Roma tel 3356984279-0641734712 www.arciroma.it

Casilino 700: un'altra purga etnica a Roma. Continua nell'indifferenza la tragedia umanitaria dei Rom in Italia

Roma, 12 novembre.
Non traggano in inganno le dichiarazioni pubbliche, l'uso di un linguaggio rispettoso dei diritti umani (dove di continuo il dichiarante si premura di affermare che "lavoriamo per la legalità e l'integrazione", i paraventi - in forma di anelli di polizia - che tengono lontani attivisti e giornalisti nei momenti cruciali, gli interventi sul campo di onlus finanziate dal governo italiano. Non tragga in inganno la proposta di forme ad hoc di assistenza; "cavallo di battaglia" delle autorità intolleranti è la formula: donne e bambini in dormitori, mariti e padri in mezzo alla strada, oppure: daremo accoglienza agli "aventi diritto", come se esistessero esseri umani non aventi diritto alla vita e alla dignità. Non tragga in inganno l'apparenza "perbene" dei mandanti delle evacuazioni, che troppo spesso alimenta il pregiudizio del Rom sporco e dunque cattivo, in antitesi al politico o al poliziotto lindo, curato, in abito classico o in divisa e di conseguenza... buono, amico della legalità e della collettività. Non traggano in inganno i proclami e le invettive della "folla inferocita" di cittadini: "Ma voi che siete così bravi, perché non portate gli zingari a casa vostra? Perché non venite a vedere come vivono, cosa bruciano nei loro roghi, come costringono a vivere i loro bambini, come si ubriacano e perdono la testa?"
Sono le solite ragioni del lupo, che abbiamo ascoltato persino durante i processi per crimini contro l'umanità, nei confronti di mandanti ed esecutori di genocidi ("Noi non perseguitavamo ebrei e 'zingari', noi obbedivamo agli ordini"). Quello che è accaduto ieri a Roma, nel campo denominato "Casilino 700" ha un solo nome: purga etnica. Purga etnica, come ognuna delle centinaia i operazioni di sgombero etnico avvenute negli ultimi anni. La giurisprudenza definisce la purga etnica, che è uno dei più efferati crimini contro l'umanità, come una serie di azioni mirate a rimuovere da un territorio la popolazione di un dato gruppo o sottogruppo etnico-culturale. Nelle sue manifestazioni meno violente, è simile all'assimilazione forzata e alla deportazione di massa, mentre nelle sue forme più gravi conduce a lutti, abbassamento della speranza di vita media, tragedie umanitarie.
Le operazioni di "purga etnica" dipendono sempre da precise scelte politiche di governi e autorità, sulla base di discriminazioni etnico-linguistiche, religiose e ideologiche e su considerazioni di ordine politico e strategico, in particolar modo riguardo a un concetto distorto di sicurezza. Le più gravi forme di pulizia etnica avvengono quando i governi fanno dipendere le loro politiche dai comparti di maggioranza delle popolazioni, ovvero alla percentuale di cittadini sufficiente a ottenere il successo alle elezioni politiche o amministrative. Ci si può opporre alle politiche di pulizia etnica solo rispettando le Carte dei Diritti Umani, che tutelano le minoranze. Senza tale rispetto, che dovrebbe essere obbligatorio, la democrazia si trasforma in un regime persecutorio e spesso gli eventi di pulizia etnica non vengono avvertiti fuori dai confini dello Stato divenuto regime razziale. Il caso dell'Italia è oggi emblematico, perché in nome di una maggioranza dell'elettorato definita dai politici italiani "popolo sovrano" si sono via via cancellati i diritti fondamentali di persone e popoli e le conquiste civili. Chi governa, a livello nazionale o locale, decide che si possono deportare impunemente i profughi, che distruggere insediamenti di Rom in crisi umanitaria - mettendo famiglie inermi in mezzo alla strada - diventa lecito, che nei Cie e nelle carceri sia tollerabile torturare, umiliare e a volte uccidere i detenuti, che una legge italiana può equiparare il rifugiato a un criminale (soggetto a persecuzione, arresto, trattamenti inumani e deportazione), che gli attivisti possono essere intimiditi o minacciati, che gli assassini etnici hanno diritto a una protezione di fatto, che stampa e tv sono libere di diffondere odio e calunnie razziali, che personalità politiche o comunque pubbliche possono lanciare invettive contro etnie di minoranza. Come nel Terzo Reich. Se si considerano poi i legami strettissimi e ormai fuori controllo fra criminalità organizzata e politica (per comprenderne la portata è sufficiente effettuare su google una ricerca, associando nome e cognome di deputati, senatori, ministri e alte cariche istituzionali alle parole "mafia", "pentiti", "collusione", "favoreggiamento"), se si considera tale inquietante realtà, si comprenderà come faccia comodo a chi gestisce affari illeciti per miliardi di euro concentrare il lavoro delle forze dell'ordine contro 'zingarelli' scalzi, senzatetto e poveracci rifugiatisi in Italia dall'Africa o dall'Afghanistan. E adesso torniamo al Casilino 700. Le operazioni di sgombero, iniziate all'alba di ieri, sono state metodiche e spietate. Donne, bambini e malati (con casi di gravi patologie oncologiche e cardiache) si sono trovati sulla strada, mentre le ruspe distruggevano le baracche e i beni dei Rom colpiti dalla purga. Oltre 500 Rom sono stati evacuati. Decine sono stati caricati su pullman e condotti nell'inferno dei Cie. Decine espulsi e costretti a tornare in Romania, dove nessuna speranza di sussistenza li attende. Moltissimi malati che ricevevano cure mediche essenziali si troveranno presto in grave pericolo di vita.
Grazie all'aiuto dei Blocchi precari metropolitani e all'intervento della Croce Rossa presso le autorità, è stato occupato l'ex deposito Heineken di via dei Gordiani. Cento bambini andranno ancora a scuola, perché i genitori vogliono che sia riconosciuto questo loro diritto basilare, ma non si sa per quanto potranno continuare a sedersi ai banchi, accanto ai "fortunati" bambini italiani. Quasi duecento persone, con giovani donne incinte, in preda al panico si sono allontanate, facendo perdere le tracce. Vi è notizia, da confermare, di un aborto spontaneo e diversi casi di malori causati al freddo e dal disagio di vivere senza riparo. Il Gruppo EveryOne sta cercando di rintracciare le famiglie che hanno intrapreso l'ennesimo calvario per i quartieri romani. Verso le dieci del mattino, abbiamo inviato un messaggio urgente a Istituzioni, associazioni, attivisti e autorità, chiedendo assistenza umanitaria immediata per le famiglie ridotte sul lastrico. Dopo un contatto con il Gruppo EveryOne, che gli descriveva la situazione sul campo, interveniva, contemporaneamente ad alcuni gruppi di attivismo, il dottor Marco Squicciarini, Responsabile Nazionale della Croce Rossa Italiana per le attività di accoglienza e assistenza Rom e soggetti senza fissa dimora. Il dottor Squicciarini attivava un'azione di sostegno alle famiglie, identificando alcuni dei soggetti in cattive condizioni di salute e fornendo loro assistenza. Contemporaneamente, avvalendosi di una piccola rete virtuosa, riusciva a fornire coperte e generi di prima necessità a una parte degli sfollati, nonché a collaborare alla creazione di condizioni di vita minime presso la ex Heinken. Con un intervento "disperato", siamo riusciti a evitare che il dramma umanitario colpisse tutti e 500 i Rom, ma il futuro delle famiglie ricoverate in via Gordiani è quanto mai incerto. Il sindaco Alemanno ha annunciato la consueta procedura: accoglienza nei quattro campi-ghetto che esisteranno a Roma per gli "aventi diritto" e condanna a una "marcia della morte" oltre i confini di Roma per gli altri. Intanto, i movimenti neonazisti esultano e nei loro luoghi di ritrovo, virtuali e non, annunciano nuove manifestazioni per avere una Roma "zigeunerfrei", libera da "zingari". Roberto Fiore, capo di Forza Nuova, coglie questo momento di catastrofe umanitaria per tentare di colpire al cuore i Rom di Roma. Il 27 il suo movimento anti-stranieri ha annunciato una manifestazione presso il campo del Casilino 900. Atto assolutamente irresponsabile, che acuirà l'odio razziale già ben vivo nella capitale verso il popolo Rom e che si è espresso attraverso innumerevoli episodi di violenza razziale. Il Gruppo EveryOne invierà nei prossimi giorni una lettera aperta alle Istituzioni e alle autorità romane - per conoscenza all'Alto Commissario ONU per i Diritti Umani, alla Commissione e al Consigli d'Europa - chiedendo che tale manifestazione non venga autorizzata e che invece siano attivati interventi di desegregazione e solidarietà per le comunità Rom fino ad oggi perseguitate in modo barbaro e iniquo.
Sottoscriviamo le dichiarazioni del dottor Marco Squicciarini: "Con i nostri interventi umanitari stiamo curando superficialmente le piaghe, mentre la patologia procede inarrestabile". Attendiamo un programma di intervento nazionale (cui forniremo volentieri un contributo), elaborato dal Responsabile Nazionale della Croce Rossa, necessario per definire efficacemente le politiche di intervento che occorrono per superare l'emergenza riguardante i Rom in Italia ed evitare che la crisi dei Diritti Umani nel nostro Paese si aggravi ulteriormente, con conseguenze sempre più catastrofiche. Ma è ormai impensabile che il solo dialogo con le Istituzioni, ormai malate incurabilmente di razzismo e xenofobia, possa limitare le politiche persecutorie, l'orgia di crudeltà e odio che inebria le autorità italiane. E' necessario sollecitare interventi da fuori, da parte di Istituzioni che ancora servono i valori della democrazia e le leggi che nei Paesi civili proteggono le minoranze e i poveri.

Gruppo EveryOne

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venerdì 6 novembre 2009

Prato contro il razzismo, il fascismo, il pacchetto sicurezza Maroni.

"L´italiano deve essere prevalente!"

“individuare le merceologie incompatibili con le esigenze di tutela della zona!”

Sindaco di Prato Roberto Cenni

Il sindaco di Prato Roberto Cenni e la sua amministrazione comunale hanno basato la loro campagna elettorale sulla promessa che avrebbero combattuto quella che loro chiamano “concorrenza sleale cinese”, mentre nel frattempo il presidente del C.d.a della azienda di Cenni ( la Sasch ), Antonio Rosati veniva rinviato a giudizio per aver usato fatture inesistenti al fine di evadere l’iva.

Una volta eletto e terminata la campagna elettorale Cenni in barba a tutte le promesse fatte sposta tutta la produzione della sua azienda in Cina causando licenziamenti e perdita di posti di lavoro.

Dalle fumose promesse elettorali in favore dei lavoratori autoctoni, ai licenziamenti e allo spostamento della produzione in Cina.

Dalla falsa costernazione all’indomani del pestaggio del giovane bengalese, al razzismo strisciante fomentato dalla sua amministrazione attraverso campagne denigratorie e persecutorie contro gli immigrati e le loro attività commerciali.

Questo è Roberto Cenni e questa è la risma dei personaggi che compongono la sua amministrazione che dopo il pestaggio dell’immigrato bengalese ha avuto anche l’arroganza di negare sale pubbliche ad una assemblea antirazzista regolarmente richiesta con varie scuse e pretesti. (nelle foto Roberto Cenni sindaco di Prato, una insegna cinese censurata e la Sasch azienda di proprietà del sindaco)



Venerdì 6 novembre scendiamo in strada a Prato contro il razzismo, il fascismo, il pacchetto sicurezza Maroni.



Ore 21.00 via S. Stefano (pochi passi dal Duomo)



Ronda popolare antifascista e antirazzista

Domenica 18 ottobre una squadraccia di quattro nazifascisti ha assalito e pestato un immigrato bengalese nel pieno centro di Prato.

Questo episodio arrivato agli “onori” delle cronache è soltanto uno dei tanti episodi che sempre più frequentemente si verificano anche nella rossa e antifascista Toscana.

Ovunque vengono aperti covi fascisti, i movimenti di estrema destra foraggiati dai padroni e dalla destra si insinuano nelle nostre scuole, nelle università, nei quartieri, negli stadi e ovunque venga lasciata loro libertà di azione e agibilità politica.

Il clima reazionario viene fomentato e foraggiato dalla politica del governo Berlusconi che con le leggi razziste e fasciste del “pacchetto sicurezza” da carta bianca alle peggio squadracce e ai più loschi personaggi della destra eversiva.

Abbiamo visto tutti quanto sono “apolitiche” le ronde di Maroni, la ronda SSS della Destra a Massa Carrara, la Guardia Nazionale Italiana del fascista Saya sotto inchiesta per apologia di fascismo, la Ettore Muti organizzata a Trieste da Fiamma Tricolore.

Queste squadracce fasciste sono solo alcuni degli effetti del “pacchetto sicurezza” Maroni, una accozzaglia di leggi vergognose e anticostituzionali che fomentano il razzismo, il fascismo, lo squadrismo, la xenofobia e tutto quanto queste piaghe si tirano dietro.



Non è un caso che il pestaggio dell’immigrato bengalese sia avvenuto a Prato.



Il governo locale è in mano all’alleanza del PDL con il sindaco Roberto Cenni in testa (maggioranza risicata).

Questa amministrazione in linea con il governo di mafiosi fascisti e razzisti di Berlusconi ha contribuito in maniera vergognosa a fomentare il clima di intolleranza e di razzismo.

Ha fatto da sponda alle ronde razziste della Lega Nord, ha censurato le insegne dei negozi degli immigrati mascherando dietro una serie di scuse e pretesti burocratici una vera e propria persecuzione razziale.

Proprio in questi giorni Cenni e i suoi hanno rincarato la dose con una nuova ordinanza razzista che vieta di fatto agli immigrati di possedere negozi in centro cittadino.

Anche in questo caso la persecuzione razziale è stata mascherata ad arte con una serie di argomentazioni che fanno vergogna alla storia e alla cultura della nostra regione.

Vi riportiamo un passaggio del comunicato stampa del comune del 30 ottobre 2009.

Con il provvedimento il Comune di Prato si propone quattro obiettivi: individuare le merceologie incompatibili con le esigenze di tutela della zona Apu (Area Pedonale Urbana) e di quelle incompatibili con l'intero centro storico; stabilire norme a tutela delle tradizionali caratteristiche culturali ed ambientali della zona; individuare criteri e requisiti per l'apertura delle attività commerciali nel centro storico; individuare criteri per il mantenimento del decoro cittadino e per prevenire il degrado.

In questo clima è maturato il pestaggio dell’immigrato bengalese, è in questo clima che il G.I.P. di Prato la dottoressa Angela Fedelino non ha ritenuto necessario mandare in carcere nessuno degli autori del pestaggio del bengalese, tra questi un noto picchiatore nazi fascista recidivo colto ancora una volta con le mani nel sacco.



E’ proprio “strana” questa amministrazione comunale!



Il sindaco Cenni non vuole i negozi dei cinesi e degli immigrati a Prato però poi sposta tutti i mezzi di produzione della sua azienda ( la Sasch ) in Cina.

Secondo quanto riferito dalla stessa azienda ormai in Italia veniva realizzato solo lo 0,7% della produzione, pari a circa 100 mila abiti confezionati nel reparto di Modelleria e dai lavoratori della Mi.Mill. Adesso anche questi vestiti saranno prodotti in Cina, mentre per nove lavoratori Sasch e altrettanti di Mi.Mill. è stata chiesta la cassa integrazione.

Questi fatti dimostrano se ce ne fosse bisogno che se ci sono tanti disoccupati la colpa è dei padroni come Cenni e non degli immigrati!



Aveva detto il sindaco Cenni all’indomani del pestaggio del trentenne immigrato bengalese:

“Si tratta di un’azione di estrema gravità, soprattutto per la nostra città che assume sempre di più i contorni di una polveriera”.

Il sindaco cenni prima soffia sul fuoco e poi si dice “preoccupato” per le fiamme!



Per contrastare questo clima, per contrastare il “pacchetto sicurezza” Maroni, per contrastare il razzismo, per contrastare il fascismo, l’omofobia, la xenofobia, per contrastare le ronde fasciste e razziste intendiamo scendere in strada.

Scenderemo in strada per promuovere e propagandare la mobilitazione popolare delle masse contro il degrado dei nostri quartieri, contro la violenza fascista e razzista, contro la devastazione ambientale del nostro territorio, contro lo smantellamento dei servizi pubblici, contro il governo Berlusconi e l’operato della giunta Cenni.

Scenderemo in strada per promuovere e propagandare la partecipazione attiva delle masse popolari alla conquista di una società migliore attraverso l’autorganizzazione e l’affermazione di un governo di Blocco Popolare formato da tutte le realtà associative democratiche e progressiste del nostro paese con al loro fianco le organizzazioni sindacali dei lavoratori.

Scenderemo in strada per promuovere e propagandare una verità che è sotto gli occhi di tutti: soltanto la mobilitazione delle masse popolari e l’autorganizzazione di queste può farci uscire dalla crisi che i padroni hanno prodotto e continuano ad incrementare.



Con questa iniziativa intendiamo inoltre protestare vivamente contro l’operato del G.I.P. di Prato Angela Fedelino che ha lasciato liberi tre degli aggressori dell’immigrato bengalese e contro l’operato della vicina procura di Pistoia che detiene in carcere ingiustamente l’antifascista Alessandro Della Malva (segretario regionale del Partito dei CARC) e agli arresti domiciliari gli antifascisti livornesi Elisabetta Cipolli e Alessandro Orfano.

Da una parte si lascia mano libera ai fascisti e dall’altra si perseguitano gli antifascisti.



Facciamo appello a tutti gli antifascisti, a tutti gli immigrati che vivono a Prato e nelle vicinanze, ai lavoratori, ai disoccupati, agli studenti, a tutti i sinceri democratici e a tutta la cittadinanza che è stufa di questa amministrazione razzista.

Unitevi a noi per sostenere gli ideali democratici di uguaglianza, di giustizia e di solidarietà, per dire no al fascismo e al razzismo, per dire no alle ronde nere, per riprendere il controllo dei nostri quartieri contro il degrado e la violenza fascista e per sviluppare la partecipazione attiva delle masse popolari verso la costruzione di una società giusta e migliore: quella che noi chiamiamo socialista.



10,100,1000 ronde popolari antifasciste e antirazziste!

Lottiamo per contrastare la riabilitazione del fascismo e le leggi razziste del governo Berlusconi!

Lottiamo per sviluppare il protagonismo e l’autorganizzazione delle masse popolari per la costruzione di un governo di Blocco Popolare composto dalle associazioni progressiste popolari e dai sindacati dei lavoratori in grado di porre fin da subito misure d’emergenza per uscire dalla crisi in cui i capitalisti ci stanno sprofondando!

Libertà per gli antifascisti arrestati ingiustamente e illegalmente a Pistoia!

Libertà per gli antifascisti sotto processo per la ronda popolare antifascista e antirazzista del 25 luglio a Massa!

Organizziamo e partecipiamo al presidio regionale che si terrà dalle ore 9 alle ore 13 a Massa di fronte al tribunale il 27 novembre prossimo in occasione del processo contro la Alessandro Della Malva e Samuele Bertoneri!







Venerdì ore 21.00 partenza da via S. Stefano (pochi passi dal Duomo di Prato) dove è avvenuto il pestaggio – verranno percorsi i vicoli e le strade del centro fino a ritornare a Via S. Stefano.

Durante il percorso verrà esposto uno striscione con la scritta “No al razzismo” in italiano e in cinese!



Inviamo lettere, mail e fax di protesta contro le ordinanze razziste emesse dell’amministrazione comunale di Prato indirizzandole al gabinetto del sindaco di Prato Roberto Cenni.

Piazza del Comune, 2 (Palazzo comunale) - 59100 Prato, Telefono. 0574 1836220 Fax. 0574 870223 - e-mail gabinetto.sindaco@comune.prato.it



Associazione Solidarietà Proletaria (ASP)

CP 380, 80133 Napoli – Italia

E-mail: info@solidarietaproletaria.org

Sito web: www.solidarietaproletaria.org





Partito dei Comitati di Appoggio alla Resistenza - per il Comunismo (CARC)

Federazione Toscana: v. Rocca Tedalda n° 277

e-mail: fedtoscana@libero.it; sito: www.carc.it

mercoledì 4 novembre 2009

Sintesi e conclusione della conferenza della Federazione romanì

Roma, 30 Ottobre 2009
Conferenza
“La voce del popolo Rom. Nuove politiche e strategie verso la rappresentatività”


Sintesi della conferenza e conclusioni del presidente Nazzareno Guarnieri

Si è svolta a Roma il 30 Ottobre 2009 la conferenza della Federazione romanì: “La voce del popolo rom. Nuove politiche e strategie verso la rappresentatività”.
Ottima la partecipazione alla conferenza e la presenza di Ferdi Berisha, il giovane rom vincitore del realty Grande fratello del 2008, è stata una bella sorpresa.
A tutti in partecipanti alla conferenza è stata consegnata una copia, con stampa in digitale, del libro “Nessuno libera nessuno, nessuno si libera da solo, gli uomini si liberano insieme” prodotto dagli aderenti alla federazione e nelle prossime settimane sarà stampato in offset per un’ampia distribuzione.

Il presidente della Federazione romanì ha aperto i lavori della conferenza presentando la strategia della Federazione romani: una partecipazione qualificata dei rom, riconoscere e valorizzare la professionalità rom e sinte; ricercare nuove politiche e strategie finalizzate alla rappresentatività del popolo rom, la rinuncia ad ogni forma di assistenzialismo ed alle fallimentari politiche differenziate del passato che malgrado il loro accertato e riconosciuto disastro continuano ad essere riproposte e realizzate.

I delegati della Federazione, Dimir Mustyafà di Firenze – Sergio Suffer di Brescia – Loris Levak di Venezia – Bruno Morelli di Tivoli – Santino Spinelli di Lanciano - Dimitris Argiropoulos di Bologna – Roberto Ermanni di Firenze – Nihad Smajovic di Napoli – Monica Rossi, Najo Adzovic, Graziano Halilovic e Toni Blazevic di Roma – Elio Salvatore di Isernia - Stojanovic Vojslav di Torino – sono intervenuti presentando denunce e proposte per migliorare la qualità e l’equità della vita di rom e sinti, proposte che dalle prossime settimane saranno oggetto di un confronto interno ed esterno alla federazione per arrivare a definire il proprio programma politico/socio-culturale.

Gli interventi presentati alla conferenza dai delegati della federazione sono riportati nel libro “Nessuno libera nessuno, nessuno si libera da solo, gli uomini si liberano insieme”, libro che può essere richiesto da tutti agli indirizzi della Federazione romanì

Ai lavori della conferenza è intervenuto Ferdi Berisha (vincitore di grande fratello 8) per portare il saluto ai partecipanti. E’ stato proiettato un video realizzato lo scorso anno al campo nomadi di Ciampino la sera della vittoria di Ferdi.
Il presidente della Federazione Romanì ha consegnato la tessera di aderente alla Federazione a Ferdi Berisha che ha accettato con piacere.
Le conclusioni della conferenza sono state fatte da Nazzareno Guarnieri, presidente della Federazione romanì.

Le conclusioni del presidente Nazzareno Guarnieri

Ringrazio il CESV Lazio e l’ass. Romà Onlus per la collaborazione all’organizzazione di questa conferenza. Oggi ho la certezza che il “progetto federazione” finalmente cresce di giorno in giorno e la buona partecipazione di rom e di amici del popolo rom alla conferenza ne è l’ennesima dimostrazione.
La Federazione Romanì ha deciso di tenere un profilo basso nei mesi scorsi e di non rispondere alle strumentali provocazioni.

Le critiche emerse anche in questa conferenza sono da addebitare al fallimento delle politiche del passato, ma si trattano di critiche senza pregiudizi o personalismi per gli interventi sbagliati del passato che continuano ad essere riproposte e realizzate.
Una critica è anche uno stimolo al cambiamento, ma non si può utilizzare questa critica quale pretesto per ostacolare la crescita di una rappresentatività rom.

Ancora una volta voglio sollecitare le organizzazioni che si occupano di Rom su tutto il territorio nazionale di prendere atto del fallimento di gran parte delle politiche del passato ed attivare un dialogo costruttivo, e ove necessario forme di collaborazione concreta a tutti i livelli, con la Federazione romanì con la partecipazione qualificata di rom, per passare dalla mediazione alla partecipazione attiva e per promuovere una politica per la cultura romanì.

Chi è amico del popolo rom sa bene quando è indispensabile una rappresentatività rom e invito tutte le organizzazioni pro rom “a prendere per mano” la Federazione romani ed accompagnarla verso l’autoderterminazione, verso la rappresentatività rom, percorso che possiamo fare anche insieme con pari dignità e con benefici per tutti, in primis per rom e sinti.
Questo permetterà anche di rendere visibili gli amici ed i nemici del popolo rom.

Sollecito la promozione ed attivazione NUOVE politiche, politiche radicalmente diverse dal passato, politiche che abbiamo un successo concreto e visibile nel migliorare le condizioni di vita di rom e sinti.
Per essere compreso cosa intendo per nuove politiche, faccio un esempio, uno dei tanti possibili esempi di radicale cambiamento di metodo, sull’istruzione dei bambini rom e sinti.
Alcuni decenni fa mi sono permesso di criticare la politica dei campi nomadi e sono stato considerato, sotto l’aspetto umano e professionale, un incompetente, un razzista che discriminava i rom immigrati che arrivavano in Italia.

Oggi tutti vedono il disastro di quella politica abitativa e riconoscono che era giusta la mia critica, accadrà ugualmente oggi?

Una grande maggioranza di bambini rom e sinti frequentano la scuola elementare (e spesso beneficiano anche di un progetto di scolarizzazione), ma non riescono ad acquisire la strumentalità di base utile per poter continuare gli studi.
Questo è una dato di fatto incontestabile, e non è questa la sede giusta per un’analisi dettagliata perché questo accade, ma certamente a questi bambini è negato un diritto fondamentale, cioè il diritto all’istruzione.
Non è questa una discriminazione?

Il diritto all’istruzione è garantito con la opportunità di frequentare UN MODELLO di una scuola pubblica o privata oppure altra soluzione coerente alla realtà ed ai bisogni del bambino come definito nelle Convenzione sui diritti del fanciullo.

La finalità del percorso scolastico è quella di dare anche al bambino rom un processo di insegnamento/apprendimento senza discriminarlo, ma è disonesto chi non riconosce oggi la discriminazione per un generalizzato insuccesso scolastico del bambino rom. Una doppia beffa, oltre ad essere discriminato il bambino rom non ha le corrette opportunità per impossessarsi dell’istruzione, strumento essenziale per non essere escluso nel futuro.

Cosa facciamo proseguiamo con questo modello di frequenza scolastica discriminante che non permette al bambino rom di acquisire l’istruzione?
Oppure prendiamo atto dei fallimenti del passato per maturare, nella istituzione scolastica ed nelle organizzazioni, l’attivazione di percorsi individualizzati e diversificati, capaci di fornire risposte adeguate ai bisogni ed alla realtà per garantire il successo del processo di insegnamento/apprendimento del bambino rom e non interromperlo.

Percorsi che devono essere della scuola con la collaborazione di specifiche professionalità rom e non, e delle organizzazioni presenti nel territorio.
Percorsi progettati per fare acquisire “la strumentalità di base” al bambino rom e finalizzati al ritorno in classe per una frequenza attiva e regolare.
Percorsi individualizzati e diversificati: dalla “scuola paterna” all’istruzione a distanza, dall’istruzione in alternanza ai laboratori, dove non sarà il mezzo che farà istruzione, ma sarà il metodo.
Come è accaduto qualche decennio fa con la politica dei campi nomadi anche ora diranno che questa mia proposta discrimina il bambino rom?

Oggi devono dimostrare che la proposta è una discriminazione diversa da quella che già il bambino rom subisce e devono proporre ed attivare altra soluzione che non sia discriminatoria e che contemporaneamente permetta concretamente al bambino rom di acquisire, fin dai primi anni della scuola elementare, la strumentalità di base che gli permetta di continuare gli studi, altrimenti sono solo degli opportunisti, come è accaduto ieri con i campi nomadi.
Ho fatto l’esempio dell’istruzione, potrei fare altri esempi in altre aree sociali, culturali e politici.

Tutti riconoscono il fallimento della politica dei campi nomadi e sostengono il superamento di questa disastrosa politica. La Federazione romanì è convinta che il superamento dei campi nomadi può realizzarsi solo con il rifiuto della gestione dei campi e l’avvio dell’autogestione da parte dei rom.

Concludo dichiarando che nelle prossime settimane avvierò un tentativo di confronto costruttivo con le associazioni pro rom e un confronto sulle relazioni presentate oggi per definire un programma politico della federazione con una condivisione più ampia possibile oltre la Federazione romanì.
Per quanto emerso in questa conferenza e per quando deliberato dagli organi sociali posso affermare con certezza che nell’anno 2010 la Federazione romanì attiverà le seguenti iniziative:
1.un calendario nazionale di manifestazione culturali
2.un meeting nazionale delle comunità Rom e Sinte
3.la costituzione di un ente formativo
4.la costituzione di una editoria romanì
5.una ricerca territoriale, storico/culturale anche quale stimolo per il riconoscimento di minoranza linguistica
6.una progettualità sperimentale e di monitoraggio della discriminazione
7.la costituzione di un comitato scientifico della Federazione romanì con la partecipazione di ricercatori del mondo accademico e di professionalità Rom Italiani ed Europei
8.la costituzione di comitati tecnico scientifico per singole aree quale metodo di progettazione e di valutazione

Invito rom e sinti ed amici del nostro popolo a formulare la richiesta di adesione alla Federazione romanì, ringrazio tutti i partecipanti a questa conferenza ed un arrivederci alla prossima iniziativa pubblica della Federazione romanì.
Nazzareno Guarnieri

mercoledì 28 ottobre 2009

Arci immigrazione: Rassegna stampa 27-28 ottobre 2009

Arci immigrazione: Rassegna stampa 27-28 ottobre 2009
CORRIERE DELLA SERA MILANO 26/10/09

L’ASSEDIO DEGLI IRREGOLARI SCATENA LA PROTESTA. MERCOLEDÌ IL CORTEO
Rivolta in Buenos Aires. «Via gli abusivi»

Commercianti e residenti: una strada fuori controllo.
«Bloccheremo il traffico». Il volantino: «Basta degrado»
MILANO - «Via gli abusivi, basta degrado, sì al rispetto delle regole». Il lato A dello striscione racconta
tutto. L’esasperazione, la rabbia, la delusione. Corso Buenos Aires è in rivolta. Per una volta tutti insie-
me, residenti e commercianti. Contro il degrado, appunto, e «quei clochard accampati sotto la galleria»,
i profughi un tempo appostati in piazza Oberdan che ora hanno cambiato dimora e riparo. Mercoledì
mattina la protesta scenderà in strada. Manifestazione, corteo, blocco del traffico, cori, e quello striscio-
ne. Dal lato B rimbalza un messaggio ancora più esplicito: «Pdl&Pd ci avete stufato. Basta gossip e
ciance, lavorate per il bene dell’Italia e della Dispiace per i disagi, ma non ci sono più alternative». «Alla
manifestazione — spiega Uguccioni — ha aderito, per dire, anche qualche ultraottantenne. E ci saranno
anche nostra Milano». Spiega Paolo Uguccioni, presidente del Comitato Baires-Venezia: «Non ne
possiamo davvero più. Le istituzioni devono darsi una mossa. Questa dovrebbe essere la vetrina di Mi-
lano e ci troviamo invece con 70 commercianti abusivi che vendono ogni genere di merce». E poi, «i
bivacchi», «il degrado».

Un buon numero di profughi africani si è trasferito qui dalla vicina piazza Oberdan. «Sono
rifugiati e hanno diritto di assistenza? Benissimo, e allora il Comune li ospiti in qualche dormitorio.
Sotto le nostre finestre non possono vivere». In strada, allora. «La occuperemo e bloccheremo il traffico.
i giovani, i ragazzini delle medie esasperati quanto noi per il degrado del loro quartiere». Di corso
Buenos Aires si parlerà anche in Consiglio comunale. Carlo Montalbetti della Lista Ferrante ha pronta
un’interrogazione a sindaco e giunta. La strada è un suk. «Li ho contati», dice Montalbetti: «Lungo
corso Buenos Aires ci sono 1200 ostacoli. Pali, vasi, bancarelle e tappetini. «Centomila persone che ogni
sabato si accalcano su marciapiedi larghi poco più di due metri». Il Comune ha già annunciato il
restyling della via. Strade più larghe e nuove luci. «È ora che il Comune dia un segnale. In zona tre,
quella di corso Buenos Aires e porta Venezia, i vigili sono da anni sotto organico. Abusivismo e degrado
non possono stupire, allora».

Per invitare alla manifestazione, è anche comparso un volantino, sulle vetrine dei negozi:
«Via gli abusivi, basta degrado, sì al rispetto delle regole», si legge nel foglio giallo che annuncia la
«rivolta» dei residenti di via Masera e dei commercianti di corso Buenos Aires. Con toni duri si chiede
l’intervento del sindaco e del prefetto prima che qualcuno «decida di risolvere il problema con quattro
bastoni», è scritto. Alla manifestazione hanno già annunciato la loro presenza numerosi esponenti locali
dei partiti di maggioranza e opposizione.



Corriere della Sera 27/10/09

Treviso Al raduno della Lega disse: pulizia etnica, no alle moschee
Divieto di comizi per tre anni L’accusa a Gentilini: razzismo
«Se mi scappa qualche parola di troppo, è colpa della mia vis oratoria. Sono un tribuno ». Giancarlo Gentilini dixit.
Ma la giustificazione dello sceriffo di Treviso, questa volta, non ha funzionato. E l’inchiesta sulle sue esternazioni
«sopra le righe» (non è la prima), dopo essere approdata in Tribunale, gli ha procurato una condanna: 4.000 euro
di multa e l’interdizione per tre anni dai comizi politici (il reato contestato è propaganda e istigazione alla
discriminazione razziale) a causa di alcune frasi pronunciate a Venezia, nel settembre 2008, durante il raduno
della Lega.

L’ottantenne Gentilini, prima del comizio conclusivo di Umberto Bossi, lanciò invettive contro gli immigrati che delinquono e le moschee che gli islamici vorrebbero costruire. Frasi (tonanti) del tipo: «Bisogna far pulizia da quelle
etnìe che distruggono il nostro Paese ». «Non voglio vedere neri, marroni o grigi che insegnano ai nostri bambini.

Che cosa insegnano? La civiltà del deserto? ». «No alle moschee e ai centri islamici». Passati 15 giorni dallo show
lagunare, il prosindaco del capoluogo della Marca risultò iscritto nel registro degli indagati. Così l’iter giudiziario si
è messo in moto arrivando ora a conclusione, con rito abbreviato.
L’accusa sostenuta da Vittorio Borraccetti, capo della Procura di Venezia, aveva chiesto 6.000 euro di multa, pari
a un anno e 5 mesi di reclusione. Il gip Luca Marini, accogliendo in parte le richieste, ha sentenziato 4.000 euro e
il divieto di partecipare ai comizi per 3 anni. Poiché lo sceriffo di Treviso è incensurato, ha ottenuto la sospensione
della pena. In concreto: ai comizi potrà andare se lo vorrà; con l’accortezza a non reiterare il reato. Altrimenti,
addio benefici.

La reazione di Gentilini al verdetto del giudice è in linea con il suo carattere. Sostiene, infatti, che lui «è abituato ad
andare all’assalto e ad esporsi porgendo il proprio petto». «Mentre qualcuno è pronto a spararmi alle spalle». Da
qui le accuse che gli vengono mosse. Il difensore, avvocato Luigi Ravagnan, annunciando il ricorso in Appello,
rilascia dichiarazioni decisamente più caute. «Nelle frasi del mio assistito — spiega — non c’era maliziosità alcuna
contro le razze, bensì il sostegno alle sue idee ben note, finalizzate all’integrazione tra etnìe diverse».

Coincidenza vuole che la condanna del prosindaco, collezionista di gaffe politicamente ultrascorrette (dalla
rimozione delle panchine usate dagli extracomunitari, agli immigrati- leprotti da impallinare, alla campagna anti-
gay), s’intrecci con una biografia (agiografica) di recente pubblicazione: «Gentilini, il sindaco sceriffo». La tesi: con
lui alla guida della città, Treviso ha conosciuto il suo «secondo Rinascimento ». Punti di vista.
Marisa Fumagalli


Il manifesto 27/10/09

GENTILINI NON POTRA’ FARE COMIZI PER TRE ANNI
Lo «sceriffo» condannato per razzismo

VENEZIA

Il prosindaco di Treviso Giancarlo Gentilini (foto a fianco) è un razzista e non potrà fare comizi
politici per i prossimi tre anni. Lo ha deciso, in primo grado con rito abbreviato, il tribunale di
Venezia condannandolo per propaganda ed istigazione al razzismo a 4mila euro di multa e alla
sospensione dai comizi. Il giudice ha sostanzialmente accolto tutte le richieste del procuratore
Vittorio Borraccetti, che aveva chiesto 17 mesi di carcere, pari a 6mila euro di multa. Le frasi
incriminate risalgono al 14 settembre dell’anno scorso, quando dal palco della «Festa dei popoli
padani» Gentilini inneggiò alla «tolleranza doppio zero» con frasi pesanti contro nomadi e
immigrati. Il video è tra i più gettonati di Youtube. Gentilini inneggiava, tra le altre cose, alla
«pulizia dalle strade di tutte le etnie che distruggono il nostro paese» e all’«eliminazione di
tutti i bambini dei zingari (sic) che rubano agli anziani». Il suo difensore, l’avvocato Luigi
Ravagnan ha già annunciato il ricorso in appello. Per Ravagnan nelle frasi citate «non c’è
nessuna maliziosità contro le razze, bensì il sostegno a idee note finalizzate all’integrazione tra
etnie diverse».

Il «sindaco sceriffo» della Lega, 80 anni, non è nuovo a sparate razziste e omofobe. Ha fatto
due mandati con la fascia tricolore, che poi ha ceduto al compagno di partito Giampaolo
Gobbo, rimanendo al suo fianco come vice. Nel 2007 inneggiò alla «pulizia etnica» contro i gay
e le associazioni omosessuali protestarono davanti al comune di Treviso con un bacio in piazza.
Famigerate anche le sue campagne contro le panchine nei parchi cittadini perché occupate
dagli extracomunitari e contro gli immigrati tout court, che secondo lui sono da vestire come
leprotti e da impallinare.


Il manifesto 27/10/09

FORTEZZA EUROPA Rimpallati tra Italia e Malta, sbarcano a Pozzallo. Il maltempo ha impedito
il respingimento in Libia
. In Italia i 200 migranti bloccati nel canale di Sicilia per 5
giorni

S. Li.

ROMA

Si è conclusa ieri dopo cinque giorni l’odissea di 207 immigrati, fra cui alcune donne e 30
minori, in preda al mare in burrasca nel canale di Sicilia. I cittadini stranieri – in maggioranza
somali ed eritrei – sono stati scortati nel pomeriggio al porto di Pozzallo, nel ragusano, da tre
unità navali della marina militare italiana. A bordo c’era anche un morto.
A bordo di un peschereccio partito dalle coste libiche, precisamente a largo di Bengasi, i
viaggiatori hanno lanciato un Sos già venerdì sera, quando ancora si trovavano in acque
libiche. In loro soccorso, è giunta una petroliera italiana, l’Antignano, che non potendo
avvicinarsi alla barca, la ha «protetta». Ha cioè navigato sopra vento per spezzare le onde e
rendere la traversata del barcone meno rischiosa. Nel frattempo, è iniziato l’ormai consueto
rimpallo di responsabilità tra Roma e La Valletta su chi dovesse farsi carico delle operazioni di
soccorso. Malta ha sostenuto – per bocca del suo portavoce militare Ivan Consiglio – che «gli
immigrati hanno rifiutato ogni soccorso da parte delle autorità maltesi». L’Italia si è attenuta
alle ultime disposizioni del Viminale, secondo le quali se un barcone è in acque di competenza
maltese i mezzi italiani non intervengono, a differenza di quanto avevniva fino all’anno scorso.
Così, la vicenda si è conclusa senza bilanci drammatici solo grazie all’intervento dell’Antigano,
che di fatto ha scortato il peschereccio fino alle acque di competenza italiane. Probabilmente e
paradossalmente, proprio il mare in burrasca ha evitato agli immigrati la sorte che dal maggio
scorso è riservata a coloro che tentano di attraversare il canale di Sicilia, ossia il respingimento
in acque libiche. Lo ha sostenuto peraltro esplicitamente Rodolfo Ronconi, responsabile della
Direzione centrale immigrazione e polizia della frontiera del Viminale, che ha dichiarato: «Il
barcone si trovava in acque libiche e se la petroliera italiana avesse preso a bordo i migranti, li
avrebbe poi condotti, in accordo con Tripoli, verso le coste libiche da cui erano partiti. La
Antignano non è però riuscita ad avvicinarsi al barcone. Le cattive condizioni del mare hanno
vanificato in seguito anche i tentativi (ben quattro) di una motovedetta libica di raggiungere
l’imbarcazione, che nel frattempo aveva raggiunto le acque maltesi».
Da quando sono cominciati i respingimenti, i viaggi si sono fatti più rari, ma avvengono anche
con condizioni di mare difficili e soprattutto da punti di partenza più lontani. La barca soccorsa
ieri era salpata dalle coste della Cirenaica, molto più distanti da quelle italiane rispetto a quelle
della Tripolitania, che però sono molto più controllate (anche dalle famose motovedette che
Roma ha donato a Tripoli).

Ieri intanto, a quanto riferisce il Viminale, la polizia libica avrebbe arrestato due dei presunti
organizzatori del viaggio verso l’Italia. Si tratterebbe di un cittadino libico a cui risulta intestata
la barca e di un «intermediario» eritreo trovato in possesso di un passaporto sudanese.


La Repubblica

MARTEDÌ, 27 OTTOBRE 2009

Immigrati, un morto sul barcone

Dopo tre giorni in balia delle onde soccorsi i quasi 300 extracomunitari
La marina maltese ha scortato l ́imbarcazione fino alle acque territoriali italiane
FRANCESCO VIVIANO

PALERMO – Dopo tre giorni di rimpalli, di accuse di mancato soccorso tra Italia e Malta, ieri finalmente i
297 extracomunitari sono stati salvati dalle motovedette italiane e da un rimorchiatore e portati a
Pozzallo. Tutti, tranne uno, un uomo di colore, che è stato trovato cadavere quando sono arrivati i
soccorsi. Com ́è è morto? Poteva essere salvato se Italia e Malta avessero deciso cosa fare già tre
giorni fa? Sono domande alle quali dovrà trovare una risposta l ́inchiesta della procura di Siracusa o di
Ragusa.

Per tre giorni e tre notti i migranti, partiti dalle coste libiche, sono stati in balia delle onde con il rischio di
affondare con un mare che ha anche raggiunto forza sette. E, come è già accaduto altre volte, Malta ed
Italia hanno a lungo discusso su chi dovesse intervenire. Fino a quando l ́Italia non ha dirottato sul
posto una petroliera, l ́”Antignano”, che ha raggiunto il barcone senza però poter eseguire il trasbordo
degli immigrati. «Non potevamo fare granché, è stato uno strazio vedere tutta quella gente ammassata
su quel barcone che rischiava di affondare», racconta al telefono Agata Torrisi, allieva di coperta che
con il comandante Mariano Ad ragna e gli altri componenti dell ́equipaggio ha seguito e scortato il
barcone. Soltanto ieri sera, dopo che il comandante della petroliera aveva segnalato più volte alle
autorità maltesi ed italiane che spesso perdeva di vista quel barcone che si confondeva tra le onde del
mare in tempesta, Malta ha inviato una motovedetta ed un elicottero. E, come è già accaduto più volte,
la motovedetta maltese si è limitata ad osservare: «Fino a quando li barcone non è in pericolo noi non
possiamo intervenire», afferma il portavoce della marina maltese. Alla fine Malta ha raggiunto il suo
obiettivo guidando di fatto il barcone con gli extracomunitari a bordo verso le acque territoriali italiane.
A quel punto la nostra Marina è dovuta intervenire e, per fortuna, non è accaduto quel che molti
temevano, cioè il respingimento. Peraltro i migranti minacciavano di buttarsi in mare se li avessero
rispediti nell ́inferno libico da dove erano fuggiti dopo mesi di sfruttamento e di violenze. E quando le
unità della marina militare e della Guardia di Finanza italiana hanno raggiunto il barcone a bordo ci
sono state scene di gioia ma anche lacrime. Con difficoltà il trasbordo alla fine è riuscito e gli
extracomunitari sono stati suddivisi tra le unità della marina e della finanza ed il rimorchiatore Kerop
che ieri sera hanno raggiunto il porto di Pozzallo dove quei disperati hanno avuto finalmente i primi
soccorsi. «Sono stati tre giorni abbastanza complicati – dice il comandante Mariano Adragna – per tre
giorni siano stati ad osservare, impotenti, perché qualunque tipo di intervento avrebbe potuto
pregiudicare la vita di quelle persone. Le condizioni del mare erano pessime, l ́altro ieri erano un po ́
migliorate ma oggi sono nuovamente peggiorate e temevamo che il barcone affondasse. Per fortuna
poi sono arrivate le motovedette italiane ed abbiamo tirato un sospiro di sollievo». Un altro componente
dell ́equipaggio che ha risposto al satellitare di bordo mentre il comandante era impegnato nelle
operazioni di soccorso e, soprattutto, nei contatti radio con Italia e Malta che non volevano saperne di
intervenire accusandosi l ́un l ́altro di non soccorrere quel barcone, dice che quel che è accaduto «è
ignobile: perché scaricano su di noi responsabilità che non possiamo assumerci? Noi siamo marinai e
non rifiutiamo soccorso a nessuno ma in questo caso potevamo fare ben poco. I maltesi quando ieri
sera ci hanno raggiunto, non hanno fatto altro che “scortarci” verso le acque territoriali italiane ed una
volta che hanno raggiunto il loro obiettivo, sono andati via».


La Repubblica Milano 27/10/09

Buenos Aires, il questore vieta il corteo

Gli abitanti: “Fermate il degrado prima che qualcuno impugni i bastoni”
FRANCO VANNI

Il questore non ha autorizzato il “presidio per la sicurezza” di domani mattina in corso Buenos Aires,
ma residenti e commercianti scenderanno in piazza comunque. «Siamo ostaggi del degrado, se non
saranno allontanati venditori abusivi e senza tetto molesti faremo barricate in strada», minaccia Paolo
Uguccioni, uno dei negozianti della zona. Il nulla osta per il corteo non può essere concesso dalla
questura per una disposizione che vieta ogni manifestazione sul corso.
La protesta nasce dal disagio di chi abita in via Masera, all ́imboccatura della galleria Buenos Aires,
dove ogni notte dormono quindici africani senza casa, cacciati dai vigili da via Vittorio Veneto. «Si
ubriacano, urinano e fanno sesso in strada, si trovi loro una sistemazione dignitosa», dice la portavoce
dei residenti, che il mese scorso ha inviato una lettera con 180 firme al Comune per segnalare il
problema. Con il passare delle settimane, gli animi si sono esasperati. Mercoledì i residenti hanno fatto
una “veglia notturna” per impedire agli africani di mettere in terra i cartoni e dormire. E nella locandina
shock che annuncia il presidio di domani si chiede l ́intervento del sindaco, prima che qualcuno
«decida di risolvere il problema con quattro bastoni».
Il prefetto Gian Valerio Lombardi annuncia «l ́invio di pattuglie miste di militari, polizia e vigili in via
Masera», forse già questa notte. Intanto il Comune, assieme al consiglio di Zona 3, ragiona sulla
possibilità di chiudere la galleria con cancellate e cerca una collocazione per gli accampati. Il prefetto
ha anche rafforzato controlli contro i venditori abusivi, «che sul corso sono cento», sostiene Luigi
Ferrario, di Buenos Aires Futura. Nonostante il carattere “apolitico” della protesta e la volontà da parte
degli organizzatori di esporre uno striscione “contro Pdl e Pd”, al presidio è annunciata la presenza di
consiglieri comunali dei partiti di maggioranza e opposizione, Pd e Pdl compresi.


LA Repubblica MARTEDÌ, 27 OTTOBRE 2009

Milano

Moschea, il Comune fissa le regole

Sì al diritto degli islamici ad avere luoghi di culto decorosi ma nel rispetto della legalità. È il consiglio

comunale ad approvare per la prima volta delle linee guida sul tema moschee che serviranno al
ministro dell ́Interno Maroni come “traccia” per un futuro disegno di legge. L ́ordine del giorno,
presentato dal Pdl, è passato con 37 voti a favore e sei astenuti (i consiglieri della sinistra radicale). In
missione in Cina l ́unico consigliere leghista, Matteo Salvini.
La proposta del consiglio parte dall ́idea di istituire in prefettura una Consulta delle comunità islamiche
e di approvare una legge che disciplini la nascita di nuove moschee e il riconoscimento di quelle
esistenti. Tra i doveri: leader della comunità incensurati, bilanci trasparenti, rifiuto del terrorismo e
spinta all ́integrazione anche con i corsi di italiano. Il Comune, invece, dovrà adottare strumenti
urbanistici generali per la realizzazione di eventuali nuove moschee: distanza di almeno 300 metri da
altri luoghi di culto, capienza massima 500 persone, sì ai progetti solo se autofinanziati. Dalla Cina non
fa mancare il suo pensiero Salvini: «La convinzione di tutta la Lega, da Bossi in giù, è che a Milano non
ci sia spazio né bisogno di una moschea». Una posizione che resta eccentrica rispetto alla sua
maggioranza, nonostante il ministro Ignazio La Russa ricordi: «L ́ordine di scuderia è chiaro: sui grandi
temi si va insieme».

(or. li.)


Il Messaggero Veneto (Udine) 28/10/09

Arci, 200 manifesti anti-razzismo C’è anche il patrocinio del Comune
«Il razzismo e le tante modalità in cui si manifesta, rappresentano un pericolo non solo per chi
direttamente ne subisce le conseguenze, ma per la democrazia di un paese, perché solo difendendo i
diritti di tutti è possibile garantire i diritti di ognuno». È per questo che il Comitato territoriale Arci
di Udine, insieme con il Comitato provinciale Arcigay Nuovi Passi e Arcilesbica Udine ha
organizzato, con il patrocinio del Comune di Udine, una campagna di affissioni nel capoluogo
friulano. Già da ieri è quindi possibile osservare per le strade il manifesto “Il razzismo è un
boomerang, prima o poi ti ritorna”. In tutta la città ne verranno affissi 200 con la foto degli
onorevoli Anna Paola Concia e Jean Leonard Touadì, parlamentari italiani fotografati da Marco
Delogu, che hanno prestato la loro immagine per la campagna ideata dall’Arci nazionale con un
pool di associazioni che si battono per il superamento di tutte le forme di razzismo e
discriminazione.

«Si tratta di un’ulteriore tappa dell’impegno dell’associazione contro ogni forma di discriminazione

• spiegano le associazioni udinesi promotrici dell’iniziativa – per cercare di contrastare una deriva
culturale preoccupante, un imbarbarimento delle relazioni sociali, che porta sempre più a chiudersi
nel proprio microcosmo e a vedere nell’altro, nel diverso, il nemico da cui difendersi».
Scopo della campagna è ribadire il principio dell’universalità dei diritti, a fronte di provvedimenti
legislativi che, a livello nazionale e regionale, secondo l’associazione «riconoscono diritti solo ad
alcune “categorie” che rispondono a determinati requisiti, escludendo dalle garanzie dello stato di
diritto e dai benefici di quel che resta del welfare un pezzo di umanità, rendendola “meno uguale”».


la repubblica (bari) 28/10/09

Sono 192, quasi tutti di origine africana, i reclusi nella struttura blindata “fiore all ́occhiello”
del Viminale

“Pronti a morire per la libertà”

Viaggio nell ́inferno del Cie al San Paolo: raffica di tentati suicidi
Radersi la barba ogni giorno non è possibile. Lame e coltelli non possono entrare nel Cie, il centro
di identificazione ed espulsione di Bari. Bisogna aspettare il barbiere, una volta a settimana.
Neanche tentare il suicidio sarebbe possibile. Eppure succede, una volta a settimana. Ognuno dei
192 reclusi, quasi tutti di origine africana, ha un compagno di modulo, un conoscente, un amico che
ci ha provato con qualunque mezzo a disposizione. Sedie, armadi, tavoli non si possono usare: sono
inchiodati al pavimento, come nei manicomi. Le coperte non bastano, né per dormire, né per
pregare, figurarsi per uccidersi. Allora si ricorre a pezzi di plastica, posate, flaconi ingoiati: tutto
vale, perché qui un tentato suicidio può significare la libertà. Niente è come sembra nel casermone
blindato alle porte del quartiere San Paolo, fiore all ́occhiello del ministero dell ́Interno e pietra
dello scandalo per le associazioni che si scagliano da anni contro “il carcere degli innocenti”.
“Disumano” lo definisce don Angelo Cassano.

«Ci sono gli uni accanto agli altri, stranieri ai quali è scaduto il contratto di lavoro, persone in fuga
da conflitti e gente appena uscita di galera» denunciava lo scorso inverno Livia Cantore,
responsabile immigrazione Arci Puglia. La loro strada è senza ritorno: dal Cie si esce, dopo
un ́attesa che può durare fino a 180 giorni, solo per tornare nel Paese da cui si è scappati. Prima la
via di fuga passava dalle rivolte. Oggi ci sono gli atti di autolesionismo: i reclusi sperano di andare
in ospedale per poi fuggire da lì. Ci hanno provato in tanti. Ci ha provato anche Billel, 25 anni, data
di rimpatrio in Algeria già fissata. Una scadenza che per lui equivaleva a una condanna a morte:
così il ragazzo ha ingoiato un tubetto. Tentato suicidio, per i soccorritori che hanno richiesto il
ricovero al Policlinico. Ma subito dopo la radiografia, l ́algerino è scappato senza lasciare traccia.
Molti falliscono, ma per quasi tutti vale la pena tentare.
Abdul, invece, non riusciva a dormire. Un suo compagno urlava da ore per il mal di testa, e a lui
non è rimasto altro che ferirsi: meglio un letto di ospedale che quella stanza, ha pensato. Qualcuno
ha chiamato le guardie battendo la testa e le mani sulle porte in ferro e cemento armato dei moduli.
Abdul e il suo compagno sono stati portati nell ́infermeria interna. Quello che è successo dopo è un
mistero, chiuso in un filmato sul web e in un ́interrogazione parlamentare del deputato Pd Dario
Ginefra che parla di “pestaggio”. Secondo la denuncia, il personale di servizio, quella notte di fine
settembre, ha “dato loro una lezione”. Abdul e l ́altro ne hanno parlato al loro avvocato. Sono stati
fortunati: quasi tutti gli ospiti del centro hanno un legale d ́ufficio, quasi nessuno riesce a parlarci.


La repubblica (Milano) 28/10/09

Il boom dell ́italiano per immigrati

Per imparare il primo strumento d ́integrazione 12mila a scuola
L ́importanza della lingua è tale che perfino le agenzie interinali organizzano corsi
È il boom dell ́italiano. Tutti vogliono imparare, fare il corso, meglio se di livello avanzato, come se
il sapere la lingua fosse una chiave per entrare in questo sempre più complicato mondo del lavoro
milanese. In città fino sono disponibili fra i 12 e i 15mila posti nelle scuole pubbliche e private che
insegnano l ́abc agli immigrati. C ́è chi li organizza gratuitamente nelle sacrestie delle parrocchie,
chi a pagamento negli istituti di formazione professionale, chi in modo artigianale per puro spirito
di solidarietà, chi in modo scientifico, con anni di esperienza alle spalle, come nei centri territoriali
permanenti dello Stato. Ma su una cosa gli operatori sono tutti d ́accordo: le richieste quest ́anno
sono così aumentate che in qualche caso non c ́è posto per tutti e gli aspiranti alunni devono vagare
da una sede all ́altra per trovare un banco libero. Certo si tratta di scolari particolari: uomini e
donne, spesso con titolo di studio estero, arrivati magari da molti mesi in Italia, ciascuno con il suo
doloroso desiderio di una migliore integrazione nella società, con la sua affannosa ricerca di un
lavoro stabile.

Lo dice anche Giancarla Boreatti, storica e meticolosa dirigente del settore Stranieri del Comune,
che ha fatto realizzare persino un censimento delle centinaia di corsi di italiano pubblici e privati in
città. «Il campionario dell ́offerta formativa è molto vasto. A chi può permettersi di dedicare
maggiore tempo io consiglio i corsi civici o quelli statali, che hanno almeno 7mila posti e rilasciano
alla fine un titolo di studio valido. Equiparato alla scuola dell ́obbligo italiana, quindi non solo la
lingua. Un ottimo modo per presentarsi sul lavoro. I costi variano, ma in genere con meno di 100
euro di tassa di iscrizione ce la si cava».

Ci sono poi corsi comunali (in via Fleming e via Pepe), che uniscono l ́italiano alla formazione
professionale, corsi regionali che rilasciano un titolo riconosciuto a livello europeo, ma anche
piccole scuole d ́italiano che funzionano a livello di quartiere e che aiutano a conquistare i primi
rudimenti per comunicare a un livello base. Solo le parrocchie fanno lezione a 4.300 immigrati e ce
ne sono alcune – come quella di Santa Francesca Romana – che festeggiano i 20 anni di attività.
Celebri sono anche i corsi della Fondazione Verga, della Comunità di Sant ́Egidio, dell ́Arci, del
Cidi di via San Dionigi, ma gli indirizzi sono troppi per citarli tutti.
Inoltre, l ́importanza della conoscenza della lingua è tale che oggi persino le agenzie interinali
reclutano personale e offrono corsi di italiano gratuiti. Lo spiega Maurizio Crippa, responsabile
dello Sportello orientamento lavoro della Cgil (in corso di Porta Vittoria), che in un anno ha
incontrato oltre 1550 persone in cerca di lavoro: «Ci sono programmi di breve durata, che
forniscono competenze trasversali valide in ogni contesto lavorativo, e contenuti didattici più
specifici ed adeguati al contesto lavorativo dei partecipanti. Le aziende, quando si rivolgono alle
agenzie, chiedono personale che abbia una formazione e che sappia parlare bene la lingua».
L ́unico l ́ostacolo è il tempo, perché spesso gli immigrati lavorano tutto il giorno e di ore da
dedicare allo studio ne rimangono poche. «Ma almeno l ́italiano, tutti hanno capito che devono
impararlo», conclude la Boreatti. Per questo sono in aumento i corsi serali.


La Nazione (Livorno) 28/10/09

Simoncini solidale con i dirigenti dell’Arci querelati da Maroni
CECINA L’ASSESSORE regionale Gianfranco Simoncini esprime solidarietà all’Arci per l’azione
legale del ministro degli Interni Maroni nei confronti del presidente toscano dell’associazione
Vincenzo Striano e del responsabile immigrazione Filippo Miraglia. Entrambi sono stati querelati,
con richiesta di danni economici, per un comunicato nell’ambito del meeting antirazzista di Cecina
del 2008 in cui i due dirigenti Arci prendevano posizione contro gli annunciati provvedimenti
sull’immigrazione. Per Simoncini quel comunicato rientrava nell’ambito di una polemica politica
aperta in quel periodo.