martedì 20 dicembre 2011

STRAGE DEL 13/12 A FIRENZE


I nostri fratelli Mor Diop e Samb Modou sono stati assassinati e Moustapha Dieng, Sougou Mor e Mbenghe Cheike gravemente feriti da una mano armata dall’odio xenofobo, lucido e determinato. Tutti sono vittime della manifestazione estrema di un razzismo quotidiano che umilia sistematicamente la nostra dignità.
La strage del 13/12 a Firenze necessita di una risposta ampia e plurale, che esprima lo sdegno per i barbari assassinii e la ferma volontà di operare concretamente perché simili fatti non si ripetano. E' necessario che non ci si limiti all'abbraccio solidale verso la nostra comunità colpita ed alla partecipazione al nostro dolore solo per un giorno.
Occorre andare più a fondo e individuare tutte e tutti insieme come si è costruito nel tempo il clima che rende possibile l'esplodere della violenza razzista come è avvenuto il 13 dicembre a Firenze e solo due giorni prima a Torino con il pogrom contro un insediamento Rom. Bisogna interrogarci su come siano stati dati spazi, per disattenzione e/o per complicità, ai rigurgiti nazi-fascisti di gruppi come Casa Pound, quale ruolo abbiano avuto in questa escalation non solo i veleni sparsi dalle forze "imprenditrici" del razzismo, ma anche gli atti istituzionali che, a livello nazionale e locale, hanno creato, in nome dell'ordine e della sicurezza, discriminazioni e ingiustizie.
Chiediamo l’impegno di tutte e tutti per cambiare strada, intervenendo sul piano culturale e della formazione del senso comune, promuovendo il rispetto della dignità di ogni persona.
E’ necessario avere come punto di riferimento costante il riconoscimento dei diritti sociali, civili e politici delle persone immigrate, dei rifugiati e richiedenti asilo e dei profughi, eliminando i molti ostacoli istituzionali che contribuiscono a tenere in condizione di marginalità la vita di molti migranti in Italia.
Occorre dare piena applicazione al dettato costituzionale e alle leggi ordinarie che consentono la chiusura immediata dei luoghi e dei siti come Casa Pound, dove si semina l'odio e si incita alla violenza xenofoba.
Bisogna che tutte le energie positive, che credono nella costruzione di una città e di un Paese della convivenza e della solidarietà, si mobilitino unite per fare barriera contro l'inciviltà, il razzismo, l'intolleranza.
Nel 1990 Firenze fu teatro di spedizioni punitive contro gli immigrati e vi fu una reazione popolare, che dette luogo ad una grande manifestazione di carattere nazionale.
Facciamo un appello rivolto a tutte le persone di buona volontà, nella società e nelle istituzioni, ad unirsi a noi, in una manifestazione ampia, partecipata, pacifica, non violenta e contro la violenza, di carattere nazionale.
Una manifestazione che segni una svolta e l'inizio di un cammino nuovo, onorando le persone uccise e ferite in quella tragica giornata e capace di affermare in modo inequivocabile: mai più atti di barbarie come la strage del 13 dicembre. 


martedì 27 settembre 2011

martedì 5 luglio 2011

Sette tentati suicidi al Cara di Mineo, anni di attesa per l`asilo
terrelibere.org terrediconfine - autore dell"articolo Raffaella Cosentino - Redattore Sociale
Da un rapporto di Medici senza frontiere ("Dall’inferno al limbo") la voce dei profughi intrappolati nel centro per la lentezza della commissione. Abdoul: “Da quando sono arrivato a Mineo, non faccio altro che camminare in circolo, sembra di essere in carcere”. Prima intrappolati in Libia, ora nel limbo di una situazione kafkiana. In sette hanno già tentato il suicidio.

Il CARA di Mineo. Fotografia di Raffaella Cosentino

Roma – Depressione, solitudine, isolamento e sette persone che hanno già tentato il suicidio perché “dopo essere stati intrappolati in Libia, i cittadini stranieri sono ora intrappolati nei campi e nei centri di accoglienza, dove vivono condizioni molto precarie, senza prospettive per il futuro`. E` il ritratto a tinte fosche che arriva da una voce indipendente all`interno del Cara di Mineo, in provincia di Catania. Si tratta dell`Ong "Medici senza frontiere" che ha raccolto in un dossier le voci dei migranti “Dall`inferno al limbo`.

Msf è presente nel "Residence degli Aranci" di Mineo per un progetto di salute mentale che avrà una sperimentazione di due mesi, con attività psicosociali rivolte a 350 ospiti sul quasi duemila che affollano il mega centro di accoglienza per richiedenti asilo. Il rapporto è un modo per fare arrivare le testimonianze dei profughi ai giornalisti che non possono entrare nei centri a causa del divieto del Viminale.

“Sono arrivato a Mineo il 2 giugno. La situazione non è buona. Ogni giorno è uguale al precedente – dice Georges (nome di fantasia), nigeriano 29enne – Mi piacerebbe, per esempio, leggere il giornale. Non c`è niente per tenerci occupati. Non posso uscire dal centro. Possiamo solo stare seduti. Lasciarci seduti in un posto non significa aiutarci`. Più volte i migranti hanno denunciato di essere stati tagliati fuori dal mondo. “Abbiamo solo 3 minuti a settimana per chiamare le nostre famiglie – racconta Idrissa, 23 anni, del Niger – La commissione interroga solo due persone al giorno. Non sappiamo quando e come lasceremo questo posto. Siamo come prigionieri perché qui non c`è trasporto, stiamo soffrendo, abbiamo bisogno di aiuto`.

Le storie dei richiedenti asilo di Mineo sono quelle di persone comuni che avevano una vita in Libia, prima della guerra. Facevano gli autisti, le donne delle pulizie, lavoravano nelle lavanderie. Alcuni, come Patrick, 46 anni, congolese, vivevano a Tripoli dopo essere già fuggiti da una guerra, quella nel Nord Kivu. Si erano ricostruiti l`esistenza, ma poi è arrivato questo nuovo conflitto e ha spazzato via tutto. Nei loro racconti si legge non solo la paura per i bombardamenti ma anche le aggressioni da parte della popolazione locale, come le rapine con i coltelli e il tentativo di costringerli a partecipare alla guerra da parte delle milizie.

“Laggiù eravamo considerati delle armi - dice Akin, 34 anni, nigeriano – sono stato portato in un luogo chiuso con altre persone. Volevano usarci come mercenari`. Abdoul è scappato per paura di morire per mano di uomini armati. Ha mandato la moglie e i due figli in Niger, ma non è riuscito a raggiungerli. Ora non sa che fine abbiano fatto e la preoccupazione lo sta consumando. “Da quando sono arrivato a Mineo, non faccio altro che camminare in circolo – dice – sembra di essere in carcere. Per due mesi ci hanno detto che avremmo dovuto ricevere i documenti ma non è successo nulla. Il tempo passa e io non so nemmeno se la mia famiglia riesce a sfamarsi e può sopravvivere senza di me`.

A Mineo si rischia di attendere anni solo per uscire, per conoscere l`esito della domanda di asilo. Finora la commissione territoriale ha esaminato solo 2 casi al giorno. Per smaltire duemila persone ci vorrebbero quasi tre anni a questo ritmo. Perciò le proteste dei profughi sono continue. Diverse volte hanno bloccato l`autostrada Catania – Gela che passa vicino al "Residence degli Aranci". L`ultimo episodio risale al 20 giugno, durante la giornata del rifugiato, mentre l`attenzione era puntata su Angelina Jolie sbarcata a Lampedusa. Redattore Sociale ha verificato che quel giorno dieci migranti feriti con contusioni e lievi traumi sono arrivati all`ospedale di Caltagirone, subito dopo la protesta. Non si sa cosa abbia provocato le ferite.

La "Rete antirazzista catanese" ha denunciato presunte violenze da parte della polizia. “Non abbiamo visitato pazienti in quell`occasione e quindi non so cosa sia successo, ma sappiamo delle manifestazioni` dice Francesca Zuccaro, a capo della missione di Msf. Dalle testimonianze raccolte dall`Ong risulta chiaro che il Cara di Mineo, aperto a marzo dal governo dichiarando l`intenzione di farne un centro modello per l`Europa in una struttura lussuosa, non è adeguato alla funzione che deve svolgere.

“I Cara devono avere standard che garantiscano i servizi per le persone vulnerabili e per la tutela delle vittime di violenza e di tortura` spiega ancora Zuccaro. Da alcuni giorni a Mineo è stata potenziata la commissione, ma ancora non si sa esattamente quante sono le audizioni giornaliere. Sui centri di detenzione (Cie), Zuccaro ribadisce quanto scritto nel rapporto di Msf che chiedeva la chiusura delle tendopoli – carcere di Trapani Kinisia e di Palazzo San Gervasio (Pz). “Ci sono condizioni di vita intollerabili che mettono a rischio la salute mentale delle persone – afferma – impensabile la detenzione estesa a 18 mesi`.

tag Tag: mineo migranti_asilo
Formato per la citazione:
Raffaella Cosentino, "Sette tentati suicidi al Cara di Mineo, anni di attesa per l`asilo", terrelibere.org, 02 luglio 2011, http://www.terrelibere.org/terrediconfine/sette-tentati-suicidi-al-cara-di-mineo-anni-di-attesa-per-l-asilo

SCHEDA SUL DECRETO LEGGE N. 89/11

Il Consiglio dei Ministri nella seduta del 16 giugno 2011 ha licenziato un decreto-legge recante: “Disposizioni urgenti per la completa attuazione della Direttiva 2004/38/Ce e per il recepimento della Direttiva 2008/115/CE”. Il decreto legge è stato promulgato dal Capo dello Stato e quindi pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 23 giugno 2011 ed è entrato in vigore a decorrere dal 24 giugno 2011. Il Ministero dell’Interno ha immediatamente emanato una circolare (circolare n. 17102/04 del 23 giugno 2011), indirizzata a Prefetti ed altre autorità di Pubblica sicurezza. Di seguito verranno sintetizzati gli aspetti più salienti del decreto (relativamente alla sola parte riguardante i cittadini extracomunitari), confrontando le scelte compiute dal legislatore con quanto disposto dalla Direttiva 115/2008 (cosiddetta Direttiva Rimpatri) che il decreto n. 89/11 ha proprio lo scopo di attuare.

1.La partenza volontaria.

Il diritto alla concessione del termine per la partenza volontaria è attribuito solo su richiesta dell’interessato. Il cittadino straniero dovrà quindi essere debitamente informato di tale possibilità dalla Questura. In caso di concessione di tale termine, il questore chiede allo straniero di dimostrare la disponibilità di risorse economiche sufficienti derivanti da fonti lecite, per un importo proporzionato al termine concesso, compreso tra una e tre mensilità dell’assegno sociale annuo. Il questore dispone, altresì, una o più delle seguenti misure: - consegna del passaporto o altro documento equipollente in corso di validità, da restituire al momento della partenza; - obbligo di dimora in un luogo preventivamente individuato, dove possa essere agevolmente rintracciato; - obbligo di presentazione, in giorni ed orari stabiliti, presso un ufficio della forza pubblica territorialmente competente. Con riferimento a tali previsioni, si ritiene opportuno segnalare alcune discordanze con quanto previsto nella Direttiva Rimpatri. a.il governo ha indicato l’esistenza di una disponibilità economica in capo al cittadino di Paese terzo quale presupposto per la concessione del termine; al contrario, di tale presupposto, non è fatta menzione nella Direttiva Rimpatri che prevede unicamente che lo Stato possa imporre al cittadino di Paese terzo la “costituzione di una garanzia finanziaria adeguata”. E’ evidente, in questo caso, l’intento del legislatore di eludere l’effetto utile della direttiva posto che in sede di identificazione l’ipotesi che il cittadino straniero riesca a “dimostrare la disponibilità di risorse economiche sufficienti derivanti da fonti lecite” è molto remota. b.il decreto legge assegna un cruciale rilievo alla disponibilità, da parte del cittadino straniero, di un passaporto o documento equipollente: senza il passaporto può essere infatti ritenuto sussistente il rischio di fuga, possono essere applicate misure coercitive, può essere disposto il trattenimento in un C.I.E. Questa previsione rischia di avere una portata in concreto elusiva delle garanzie che la direttiva rimpatri assegna al cittadino straniero, soprattutto se si considera che nelle disposizioni del decreto legge non si fa alcun cenno ad un dato che, invece, potrebbe (e dovrebbe) avere un certo rilievo ossia l’incolpevole incapacità di esibire un passaporto. Ciò in palese violazione di quanto contenuto nella Direttiva Rimpatri. c.Il governo ha previsto che gli obblighi sopra richiamati siano sempre applicati a colui al quale è stata concessa la partenza volontaria; la Direttiva Rimpatri prevede invece che gli stati membri possano imporre obblighi diretti ad evitare il rischio di fuga.

2.Il trattenimento nei CIE.

L’art. 14 comma 1 e 1 bis D.lgs. n. 286/1998 prende in considerazione i casi in cui –non essendo stato concesso il termine per la partenza volontaria e non essendo possibile eseguire immediatamente l’espulsione si deve procedere al trattenimento del cittadino di Paese terzo in un Centro di identificazione ed Espulsione. Quanto alla durata del trattenimento si segnala che la procedura delineata nel decreto legge prevede – sostanzialmente - due fasi: una prima fase estensibile sino ad un massimo di 180 giorni (suddivisi in periodi di trenta giorni, trenta giorni, sessanta giorni, sessanta giorni) ed una seconda fase prolungabile sino ad un massimo di 12 mesi per effetto di singole proroghe di volta in volta non superiori ciascuna a 60 giorni (il che comunque non esclude che vi possano essere proroghe di durata inferiore a 60 giorni). Il decreto legge prevede che - qualora sia impossibile il trattenimento in un C.I.E, ovvero esso sia cessato per raggiungimento del termine massimo di trattenimento- al cittadino straniero venga impartito un distinto ed autonomo ordine di allontanamento dal territorio dello Stato entro sette giorni. Si rileva a tal proposito che il decreto legge, in violazione di quanto previsto dalla Direttiva Rimpatri, non fa alcun cenno all’Autorità che si dovrà occupare della vigilanza del rispetto della dignità della persona; trattandosi di detenzioni che – seppur amministrative- possono protrarsi fino a 18 mesi, la previsione di un intervento della magistratura di sorveglianza – in chiave di garanzia - sarebbe oltremodo auspicabile.

3.Le sanzioni penali.

Il decreto legge introduce diverse fattispecie incriminatrici e, in particolare: - la violazione delle misure coercitive impartite ai sensi dell’art. 13, comma 5.2., D.lgs.n. 286/1998, punita con la pena della multa da 3.000 a 18.000 euro; - la violazione delle misure coercitive impartite ai sensi dell’art. 14, comma 1 bis, D.lgs. n. 286/1998, punita con la pena della multa da 3.000 a 18.000 euro; - la violazione – senza giustificato motivo - dell’ordine di allontanamento emesso dal Questore ai sensi dell’art. 14 comma 5 bis, punibile – a seconda dei casi - con la multa da 6.000 a 15.000 euro (espulsione disposta ex art. 13, comma 5, D.lgs. n. 286/1998) o da 10.000 a 20.000 euro (negli altri casi); - la violazione – senza giustificato motivo - dell’ordine di allontanamento emesso dal Questore ai sensi dell’art. 14 comma 5 ter terzo periodo, punibile con la multa da 15.000 a 30.000 euro. La competenza per materia è stata attribuita al Giudice di Pace. Il decreto legge prevede che in casi di condanna per uno dei reati sopra elencati, il Giudice di Pace possa applicare, al posto della multa, la sanzione sostitutiva dell’espulsione. Tale possibilità determina – in concreto – l’elusione delle garanzie previste dalla Direttiva Rimpatri che non può essere applicata a coloro che sono sottoposti a rimpatrio come sanzione penale.

4.Il divieto di reingresso.

Il decreto legge dispone che il decreto di espulsione venga corredato da un divieto di reingresso per un periodo non inferiore ai tre anni e non superiore ai cinque. In caso di pericolosità del cittadino straniero il divieto deve avere una durata superiore ai cinque anni. Tale previsione si pone in contrasto con quanto previsto dalla Direttiva Rimpatri che impone agli Stati membri di corredare la decisione di rimpatrio con il divieto di reingresso in due soli casi, ossia: decisione di rimpatrio senza concessione del termine per la partenza volontaria e inottemperanza all’obbligo di rimpatrio. Negli altri casi la possibilità di corredare il divieto di reingresso alla decisione di rimpatrio è prevista come mera facoltà degli Stati membri.

Si rammenta, infine, che il decreto legge è stato pubblicato in G.U. il 23 giugno 2011 e perderà efficacia sin dall’inizio se il Parlamento non provvederà a convertirlo in legge entro 60 giorni dalla sua pubblicazione.

Unione Sindacale di Base/Immigrazione e Ufficio Legale via Mossotti, 1 – Milano metro gialla fermata Zara, bus 90, 91, 92 tel. 026072576 cell. 3479271955

martedì 7 giugno 2011

A Mineo i diritti dei migranti richiedenti asilo vengono sempre più calpestati e per questo motivo stanno manifestando

Da stamattina alcune centinaia di richiedenti asilo, buona parte di origine africana, hanno bloccato la statale Catania-Gela, di fronte al cosiddetto villaggio della “solidarietà”.Motivi della protesta sono i tempi lunghi per l’esame della richiesta d’asilo , la pessima qualità e la scarsa quantità del cibo. Oramai l’esasperazione sta crescendo fra i migranti e ci si ostina a non tener conto della giusta richiesta di accelerare i tempi potenziando la commissione ed il servizio d’interprete; in fondo la concezione che prevale è quella del parcheggio di oggetti, negando la soggettività di persone che sono sopravvissute a guerre e violenze ed hanno urgenza di costruirsi un futuro e di ricongiungersi con i propri cari.

A nulla sono serviti la manifestazione ed il blocco della Catania-Gela del 10 maggio ed un Consiglio territoriale sull’immigrazione in Prefettura sul “Cara” del villaggio degli aranci, tenutosi il 25/5 (a cui tra l’altro è stata negata la partecipazione ad associazioni che da mesi intervengono a Mineo): le condizioni di vivibilità sono pessime e la commissione per l’esame delle richieste d’asilo procede a rallentatore (in 3 settimane sono state esaminate solo poche decine di domande).

Come abbiamo sostenuto dai primi di marzo critichiamo a monte la scellerata decisione di deportare da altri Cara in Italia centinaia di richiedenti (che così sono costretti a ripartire da zero nell’attesa e nei percorsi d’inserimento) , di trattenervi immotivatamente quasi 50 minori, di trasferire da Lampedusa centinaia di migranti che dopo settimane ancora non hanno formalizzato la domanda d’asilo; non ci voleva molto ad intuire che il megaCara di Mineo sarebbe diventato un ottimo business per dilapidare ingenti risorse pubbliche a favore della cricca degli amici degli amici ed un laboratorio di sadiche pratiche segregazioniste per ridurre drasticamente i diritti e la libera circolazione dei richiedenti asilo.

Nelle numerose iniziative che abbiamo promosso all’esterno del villaggio degli aranci abbiamo avuto modo di verificare come l’organizzazione della quotidianità da parte degli enti gestori e delle forze di polizia con le interminabili e spesso inutili file sia funzionale al controllo militare . Ai migranti viene impedito di cucinare ciò che preferiscono, non vengono forniti quei pochi euro che negli altri Cara vengono dati e, con la scusa che Mineo svolge anche funzione di CDA(Centro d’accoglienza), si formano lunghe file per telefonare solo per pochi minuti nei paesi d’origine con pochi telefoni in funzione solo per un paio di ore al giorno.

Facciamo pertanto appello all’associazionismo democratico del calatino, agli enti locali realmente solidali con i nuovi cittadini migranti e soprattutto ai media (ai quali nel villaggio degli aranci è negato l’accesso) a vigilare e ad accendere i riflettori sulle quotidiane ingiustizie che subiscono i migranti per impedire che il rispetto dei diritti dei richiedenti asilo venga affrontato come un problema di ordine pubblico, dimostrando ancora una volta che il sonno della ragione genera mostri.

Ct 6/6/ Rete Antirazzista Catanese

giovedì 26 maggio 2011

Con la lotta si vince.


Dopo otto mesi di lotta, dal presidio davanti agli uffici della Prefettura in settembre all'occupazione della gru per 17 giorni fino al recente presidio di quattro giorni sul sagrato del Duomo di Brescia, e le due sentenze del Consiglio di Stato e della Corte di Giustizia Europea, il Governo e il Ministero dell'Interno sono stati costretti a diramare una circolare che riconosce i diritti dei migranti che avevano fatto domanda di sanatoria nel 2009. La condanna per non aver obbedito all'espulsione non è ostativa per l'ottenimento del permesso di soggiorno.

Sono stati mesi molto duri e difficili in cui ci siamo scontrati con il razzismo istituzionale dell'amministrazione comunale e della Prefettura, con politiche securitarie che vedono i migranti come un problema di ordine pubblico, con la repressione e le espulsioni dei migranti che in prima persona hanno portato avanti la lotta. Sono stati però anche mesi che hanno insegnato molto. Dalla solidarietà tra migranti, tra antirazzisti e migranti, tra migranti e una parte significativa della città, alla necessità dell'autorganizzazione dei migranti, del conflitto sociale per affermare i propri diritti. La determinazione dei migranti è stato un esempio per tutti coloro, nativi e migranti, che sono costretti a subire discriminazioni, tagli dello stato sociale, peggioramento delle condizioni di reddito e di vita.

Oggi possiamo dire che con la lotta si vince, un passo importante è stato fatto ma non ci fermeremo.

Se i migranti che sono stati condannati per la cosiddetta clandestinità avranno il permesso di soggiorno, ci sono ancora purtroppo migliaia di migranti che sono stati truffati da imprenditori senza scrupoli che stanno aspettando il permesso di soggiorno. Questa è l'ennesima dimostrazione che la legge Bossi-Fini, con il legame tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro, produce solo clandestinità, precarietà e sfruttamento.

Per noi questa vittoria è solo una tappa, la lotta dei migranti e degli antirazzisti contro il razzismo istituzionale continuerà.

Brescia 26 maggio 2011


Presidio sopra e sotto la gru

Associazione Diritti per Tutti

lunedì 2 maggio 2011

4_6 MAGGIO I MIGRANTI DI ROSARNO A ROMA. ADERISCI ALL'APPELLO

I braccianti africani da Rosarno a Roma

Mobilitazione per il diritto al soggiorno

A più di un anno dalla rivolta di Rosarno del 7 gennaio 2010, il percorso di rivendicazione di diritti e dignità dei braccianti africani impiegati nelle campagne del Sud sbarca nelle piazze di Roma. Dal 4 al 6 maggio reteRADICI e le comunità africane provenienti da tutte le regioni del Meridione d’Italia rivendicheranno nella Capitale il diritto al soggiorno attraversando lo sciopero generale del 6 maggio.

Al centro della mobilitazione la condizione dei migranti dell’Africa subsahariana (entrati in Italia tra il 2007 e il 2009 prima dei controversi e falliti accordi con la Libia di Gheddafi) doppiamente vulnerabili, in forza della loro provenienza da Paesi a rischio e delle condizioni di sfruttamento nei campi. La lotta per i documenti è la via maestra per sovvertire le condizioni di sfruttamento nel mercato del lavoro, perché l’invisibilità determina ricatto e discriminazione.



4 maggio 2011 - Piazza Esquilino



14.00: Conferenza stampa di presentazione della vertenza meridionale per il diritto di soggiorno dei braccianti africani sfruttati nelle campagne del Sud e delle richieste avanzate da reteRADICI al ministero dell’Interno



17.00-20.00: “Storie migranti dall’Africa al Sud Italia”. Testimonianze, relazioni, interventi a microfono aperto per raccontare le condizioni di sfruttamento dei braccianti africani e i drammi vissuti nei rispettivi Paesi di provenienza (a cura delle comunità migranti e di reteRADICI)




- la mostra fotografica: “Campagne del Sud: gli invisibili schiavi” (a cura di reteRADICI)

- il dossier: dal 1 maggio su reteradici.blogspot.com il dossier RADICI/Rosarno con i risultati del monitoraggio condotto nelle campagne della Piana di Gioia Tauro nel corso dell’ultima stagione agrumicola



5 maggio 2011 - Piazza Esquilino

10.00-14.00: Presidio in piazza per rivendicare il diritto al soggiorno

5 maggio 2011 - tutti a Piazza Campo dei Fiori

18.00-20.00: Benvenuta dignità! Contro il ritratto della clandestinità e dello sfruttamento, indietro non si torna!

(a cura della campagna WELCOME_roma)

6 maggio 2011 - Sciopero generale per i Diritti

L’appello

Una vertenza meridionale per il diritto di soggiorno

dei braccianti africani sfruttati nelle campagne del Sud

L’Unione europea ha da tempo imposto il controllo dei movimenti migratori anche a costo di sostenere regimi dittatoriali. Anno dopo anno le condizioni dei migranti e dei rifugiati sono peggiorate. Dal 2008 il governo Berlusconi ha messo in atto tattiche e strategie discriminatorie, con l’obiettivo non dichiarato di creare una forza lavoro priva di diritti. Tra il 2009 e il 2010 vi è stato l’apice di quella che possiamo definire guerra contro i migranti ed i rifugiati. Nel Sud del mondo la povertà è cresciuta e molti vogliono lasciare il proprio paese, mentre l’Europa ha costruito la paura dell’invasione, della precarietà lavorativa causata da chi emigra e che diventa il potenziale nemico. Ma in queste ultime settimane questo sistema “fortezza” crolla clamorosamente. La necessità e il diritto di centinaia di persone ad una condizione di vita migliore mettono in crisi le politiche securitarie dell’Occidente.

Le lotte dei migranti degli ultimi due anni e la drammatica e attuale condizione che si sta consumando sulle coste del sud e alle frontiere europee ci catapulta in una nuova fase. Dallo sciopero dei migranti di Castel Volturno alla manifestazione dei braccianti africani a un anno dalla rivolta di Rosarno, ai tumulti nordafricani che ci raccontano di libertà e democrazia, una sfida è stata lanciata, alla politica, alle istituzioni, a tutti noi: molto si può fare se si lavora all’organizzazione delle comunità migranti, a partire dalle loro rivendicazioni primarie. Una lotta che indica un modello, nel metodo e nel contenuto.

La via da seguire è quella della lotta-vertenza: ogni mobilitazione un risultato, facendo seguire alle sacrosante rivendicazioni globali dei diritti dei migranti una pratica vertenziale capace di raggiungere obiettivi concreti ai tavoli di confronto con le istituzioni. Una pratica che genera circoli virtuosi perché a ogni risultato raggiunto si rafforza il principio che la lotta paga, perché si struttura l’organizzazione delle comunità migranti, perché cresce la forza contrattuale del movimento, perché si sposta su posizioni sempre più avanzate l’asse politico-sindacale. In più, il sistema ha delle forti contraddizioni, che la crisi ha acuito. Si tratta di fare esplodere le contraddizioni e incassare risultati vertenziali e politici.

Ma qual è il nodo centrale delle rivendicazioni? L’esperienza dell’ultimo decennio ci dice che tutto passa attraverso l’affermazione del diritto di soggiorno dei migranti. Dice bene chi dice che la legge Bossi-Fini non ha a che fare solo con le politiche migratorie, ma anche e soprattutto con le politiche del lavoro: genera irregolarità e alimenta sfruttamento e lavoro nero. Quindi la lotta per i documenti attraverso l’organizzazione delle comunità migranti è la via maestra per sovvertire le condizioni di sfruttamento nel mercato del lavoro.

La condizione che i migranti trovano nelle campagne del Sud sono il paradigma di questo stato di cose: diritti negati e sfruttamento. In particolare, alcune migliaia di migranti dell’Africa subsahariana (entrati in Italia tra il 2007 e il 2009 prima dei controversi e falliti accordi con la Libia di Gheddafi) hanno cominciato un percorso di lotta per il diritto a permanere sul nostro territorio, un diritto negato, un diritto da rivendicare con una vertenza meridionale che assicuri loro tutele concrete a partire dalla valutazione dell’esistenza di una doppia condizione di vulnerabilità: la provenienza da paesi a rischio, lo sfruttamento nei campi. Alle quali si aggiunge la condizione di inespellibilità in cui si trovano molti migranti.

La vertenza partita il 7 gennaio 2011 deve andare avanti ed estendere la lotta chiamando in causa tutte le realtà attive per garantire diritti e dignità ai migranti, e che condividono il percorso aperto a partire dal nodo di Rosarno. Per questo lanciamo un appello per costruire la vertenza meridionale con la quale rivendicare diritto al soggiorno e libertà di scelta, la cui prossima tappa attraverserà lo sciopero generale del 6 maggio, con centinaia di migranti che si ritroveranno a Roma uniti per rivendicare diritti e dignità.

per aderire reteradici@gmail.com


A Sud
A Buon DIRITTO_Associazione per le libertà
Arci Roma
associazione Carta Clandestino
associazione Città migrante - Reggio Emilia
associazione Cominciate a pensare

associazione Dhuumcatu - Roma
associazione Laboratorio 53 onlus
associazione Somebody
associazione Un ponte per...
Casa dei diritti sociali
Cgil-Comprensorio di Gioia Tauro

Cooperativa sociale "Ruth" - Isola Capo Rizzuto
Esc_infomigrante

Fp-Cgil Crotone

Legambiente - Reggio Calabria

Link Roma
Osservatorio sulla repressione

Prc - Calabria
Prc - Lazio
Prc - Vibo Valentia
Radio Ciroma-Cosenza
Rete romana di solidarietà per il popolo palestinese
Riminesi globali contro il razzismo

Servizio civile internazionale

Sezione Anpi “Franco Bartolini” (Trullo –Magliana)
Sportello migranti e sportello lavoratori c\o associazione Rumori Sinistri

Strike Yomigro
Ya Basta- Moltitudia




Adesioni individuali:

Andrea Alzetta (consigliere comunale Roma), Imma Barbarossa (Forum donne Prc), Nuccio Barillà (direzione nazionale Legambiente), Stefania Brai (responsabile nazionale cultura Prc), Fortunato Maria Cacciatore (docente di Filosofia all'Università della Calabria), Canio Calitri (segretario regionale Fiom Lazio), Annalice Furfari, Heidi Gaggio Giuliani, John Gilbert (Rsu Università Firenze), Giuseppe Lavorato (ex parlamentare Pci ed ex sindaco di Rosarno), Barbara Lechiara, Giovanni Maiolo (attivista per i diritti dei migranti), Omar Minniti (consigliere provinciale Prc - Reggio Calabria, Direttivo nazionale Unione Province d'Italia), Sandro Modafferi (consigliere comunale Sel - Pisa), Mario Parretta, Ilario Pinnizzotto, Francesca Re David (segretario nazionale Fiom), Rocco Tassone (segretario Prc - Calabria), Roberta Turi (Fiom Roma Sud)


Artisti:
Assalti frontali, Christian Carmosino (regista e componente dell'associazione italiana documentaristi), Collettivo d'attori "Voci del deserto", Madya Diebate (musicista), Elio Germano (attore), Sabina Guzzanti (regista e attrice), Sandro Joyeux (musicista), Citto Maselli (regista), Kalafro (musicisti), Kalamu (musicisti), Kento (musicista), Gwya Sannia (regista), Andrea Satta (musicista), Carmine Torchia (musicista)

martedì 12 aprile 2011

Un mare di guerra,

Annamaria Rivera,

il manifesto, pp. 1 e 3

Ancora cadaveri di uomini, donne e bambini che vanno a ingigantire l’immenso sepolcro che è divenuto il Mare Nostrum, un tempo mare che affratellava genti, costumi, culture, oggi confine blindato che separa e stermina, uccidendo quel che resta della nostra umanità. Le ultime duecentocinquanta vittime del Canale di Sicilia, eritrei e somali -che alcuni media tuttora, pur di fronte a una tale tragedia, osano chiamare “clandestini” o “extracomunitari”- non sono morte solo di proibizionismo, ma anche della nostra colpevole ingerenza “umanitaria” in Libia. Che ha preferito i bombardamenti ai corridoi davvero umanitari, che ha ignorato cinicamente il dovere di salvare anzitutto gli esseri umani e fra i primi i rifugiati, perseguitati e intrappolati dalla guerra civile.

Lo sappiamo già ora: neppure queste vittime per eccellenza, annegate (per ritardi o imperizia altrui?) nel corso delle operazioni di soccorso della guardia costiera italiana, varranno a sollecitare l’empatia che fa scattare la molla della solidarietà collettiva e che induce a riflettere sulla follia delle guerre “umanitarie” che uccidono umani. E’ da molto tempo che il nostro infelice Paese non prova più il sentimento che giusto vent’anni fa spinse gli abitanti di Brindisi, città di neppure 90mila abitanti, a rifocillare, soccorrere, ospitare nelle proprie case 27mila profughi albanesi.

Sotto i ponti son passate acque assai torbide: la propaganda razzista e sicuritaria, il veleno leghista somministrato giorno dopo giorno in dosi sempre più elevate, una politica mediocre che compete in cattiveria verso gli “estranei” a fini elettorali, un’Europa unita che sa unirsi quasi solo quando si tratta di denaro e di difesa dei propri confini dall’irruzione dei barbari. Sicché neppure quest’ultima tragedia, neanche le immagini dei volti sofferenti e terrorizzati degli scampati e i racconti di chi fra loro ha perso in mare l’intera famiglia, neppure l’idea atroce dei bambini ingoiati dalle acque che avrebbero dovuto sospingerli verso la salvezza varranno a riflettere sulla follia collettiva di cui siamo preda. Plaudiamo, più o meno tardivamente, con più o meno entusiasmo, al vento di primavera che travolge i regimi dispotici dell’altra sponda e accettiamo il dispotismo grossolano degli idraulici di governo: quelli che parlano di esseri umani in cerca di fortuna o di salvezza nei termini di rubinetti da fermare e vasche da svuotare. Partecipiamo all’esercito dei “volenterosi” che vanno a pacificare la Libia con i bombardamenti e non ci preoccupiamo dei nostri infelici ex colonizzati, prima discriminati o schiavizzati, poi impastoiati fra la guerra civile e l’intervento “umanitario”: ultimi del mondo, senza pace e senza patria, che non hanno dove andare e dove tornare anche grazie agli effetti nella lunga durata delle nostre politiche coloniali e neocoloniali. Anche per i superstiti eritrei e somali e per gli altri di loro che riusciranno ad arrivare da noi, gli idraulici di governo faranno le vittime dell’Europa cinica e bara che non riesce a difenderli dallo “tsunami umano”? Oseranno, i “volenterosi” nostrani, subordinare il dovere di accogliere degnamente i rifugiati a qualche accordicchio, strappato in tal caso al prossimo (forse) governo di transizione libico? Infine una considerazione basilare. Le rivolte che hanno rovesciato o sconvolto i regimi dittatoriali dell’altra sponda sono animate in molti casi dal desiderio di libertà e dalla pretesa di dignità: libertà e dignità significano per i giovani rivoltosi anche libertà di movimento e diritto di cercare altrove un destino più dignitoso, senza mettere a rischio la propria vita. Perciò i governi di transizione non potrebbero pretendere di rappresentare la rottura radicale con i vecchi regimi senza spezzarne i cardini portanti: fra questi, gli accordi bilaterali che fecero di essi i gendarmi feroci e prezzolati della Fortezza Europa. Insomma, una delle condizioni perché quelle in corso siano davvero rivoluzioni, capaci di conquistare a sé strati popolari, risiede nella volontà e possibilità di resistere ai ricatti europei e più in generale atlantici. Non è facile né scontato. Ma sarebbe meno arduo se chi, rifiutando di ricoprire il vecchio ruolo da cane da guardia dei confini altrui, avesse come alleati su questa sponda chi decide davvero che non ne può più di neocolonialismo, di guerre “umanitarie” e di frontiere blindate e per questo e altro è disposto a rivoltarsi contro idraulici e “volenterosi” di tutte le specie.

sabato 9 aprile 2011

CIRCOLARE_MINISTER_INTERNO_FRANCESE_6_APRILE.2011




domani...


Presidio Domenica 10 Aprile 2011 ore 10

Porta Portese 2

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Chiediamo il rilascio del permesso di soggiorno, l'autorizzazione per i venditori ambulanti, il riconoscimento delle sale di culto per tutte le religioni, luoghi e spazi di aggregazione per uno scambio culturale!