martedì 15 settembre 2009

LAMPEDUSA PORTA D'EUROPA

SABATO 19 settembre 2009 – ore 17 ASSEMBLEA

Interverranno: Francesco Viviano – giornalista, Dagmawi Yimer- protagonista e autore di “Come un uomo sulla terra”,Maria, Elena Vittorietti – giornalista, rappresentanti delle associazioni promotrici

DA LAMPEDUSA: NO AI RESPINGIMENTI

ED ALLE STRAGI DI MIGRANTI NEL MEDITERRANEO


L’Italia deve rivedere le politiche di accoglienza dei migranti rispettando i diritti umani e gli accordi internazionali
Il nostro paese non può tagliarsi fuori dal novero dei paesi tenuti al rispetto del principio di non respingimento previsto dalla Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati. Ai migranti che arrivano sul territorio nazionale spinti dalla disperazione, dalla miseria, dalla fame nessuno può negare i trattamenti previsti da specifici accordi internazionali sottoscritti anche dall’Italia. Rinviarli in paesi come la Libia che non ha sottoscritto la Convenzione di Ginevra del 1951 e dove non sono garantiti i diritti umani basilari, costituisce un atto di barbarie oltre che una violazione degli accordi. Riteniamo che sia necessario fermare le violenze inflitte a migliaia di esseri umani arrestati e deportati dalla polizia libica al fine di impedirne l'emigrazione verso l'Europa .Riteniamo che sia necessario chiarire le responsabilità del governo italiano rispetto a questa situazione e auspichiamo che su questo si pronuncino la Commissione Europea, la Corte Europea dei diritti dell’uomo e la magistratura italiana

È per questo motivo che chiediamo:
- che il Governo riveda le politiche di contrasto, piuttosto che di accoglienza, dei migranti diretti verso l’Italia in modo che in violazione del divieto di respingimenti collettivi non si ripetano episodi di respingimenti di massa di persone intercettate o soccorse in mare o comunque prima che possano esercitare il loro diritto di richiesta di asilo, come previsto dalle direttive comunitarie e dalla Costituzione italiana ; - che non siano sottoposti a procedimento penale tutti coloro che operano azioni di salvataggio in mare conducendo i naufraghi in un “luogo sicuro”, come imposto dal diritto internazionale del mare
- che si renda possibile a tutti gli operatori del servizio sanitario nazionale, delle scuole e di tutte le strutture pubbliche di esercitare il loro dovere secondo il principio di universalità, prestando assistenza a tutti coloro che glielo richiedano senza esclusioni legate alla nazionalità o al possesso della regolare documentazione prevista dalle regole di soggiorno sul nostro Paese;
- che si provveda a migliorare le condizioni di vita nelle strutture di prima accoglienza dei migranti permettendo agli operatori delle associazioni di volontariato di svolgere opera di assistenza e di integrazione - che non si sottopongano i titolari della protezione sussidiaria a pratiche defatiganti per il rinnovo periodico dei permessi di soggiorno, con la richiesta di documenti come il passaporto che molti di loro non possono chiedere alle rappresentanze diplomatiche dei paesi di origine.



ADERISCONO: SIMM – Società Italiana Medicina delle Migrazioni,SIMET – Società italiana di medicina tropicale,Associazi one Askavusa – arci Lampedusa,Rete comuni solidali, ASGI Associazione studi giuridici italiani,Centro Astalli – Palermo.LILA Catania,Rete antirazzista catanese, ANLAIDS Sicilia,La terra di Balum – Associazione culturale. , IUP- Intercultural unity point, I Contemplari

Il 17 ottobre e oltre


Negli ultimi decenni in tutta Italia i migranti sono stati protagonisti di lotte importanti nelle città, nei posti di lavoro, nelle grandi manifestazioni nazionali come quelle di Roma del 2002, 2004 e 2005 e, da ultimo, dello scorso 23 maggio a Milano con la campagna nazionale “Da che parte stare”. Uno scopo tutt’altro che secondario della legge Bossi-Fini e del pacchetto sicurezza è schiacciare questo protagonismo con il razzismo istituzionale e con una precarizzazione sempre più selvaggia delle condizioni di vita e di lavoro, accentuata da una crisi che colpisce tutte le lavoratrici e i lavoratori e che ancora non ha mostrato in pieno i suoi effetti. Di fronte a tutto questo, una risposta emergenziale, che persegua una visibilità del movimento antirazzista e mandi un segnale di rifiuto delle politiche di questo governo sembra importante, anche se forse non sufficiente.

Sosteniamo e aderiamo alla manifestazione antirazzista del prossimo 17 ottobre a Roma come risposta a un’emergenza che ci impone di guardare oltre. Oggi più che mai ci pare necessario ripensare collettivamente a come organizzare in modo stabile ed efficace rivendicazioni plausibili, attingendo all’esperienza del passato senza alcuna nostalgia. Oggi più che mai ci pare necessario mettere a frutto fino in fondo l’autonomia e il protagonismo che i migranti si sono conquistati in questi anni.



Rete Migranti Torino

Coordinamento Migranti Bologna e provincia

Coordinamento Migranti basso mantovano

Coordinamento Immigrati Brescia

MayDay Milano

sabato 12 settembre 2009

Il RAZZISMO ISTITUZIONALE DEL GOVERNO

Rassegna Stampa
Il RAZZISMO ISTITUZIONALE DEL GOVERNO Pubblichiamo la relazione del filosofo all'incontro «La frontiera dei diritti. Il diritto alla frontiera» organizzato a Lampedusa da Magistratura democratica, dal Medel e dal Movimento per la Giustizia

12/09/2009 | Manifesto | Immigrazione-Diritti
fuori legge

È con un senso di sgomento e di mortificazione civile che siamo oggi qui a Lampedusa per discutere della vergognosa politica italiana in materia di immigrazione: delle scandalose leggi razziste e incostituzionali varate dall'attuale governo contro gli immigrati, fino alla criminalizzazione della stessa condizione di immigrato irregolare; dei respingimenti di massa illegittimi, in violazione del diritto d'asilo, di migliaia di disperati che fuggono dalla fame, o dalle persecuzioni o dalle guerre; delle violazioni dei diritti e della dignità della persona negli attuali centri di espulsione, e più ancora nei lager libici nei quali gli immigrati respinti vengono destinati; delle centinaia di morti, infine - fino alla tragedia dei 73 eritrei lasciati annegare in mare lo scorso agosto, dopo 21 giorni alla deriva - vittime della disumanità del nostro governo, immemore della lunga tradizione di emigrazione del nostro paese
La guerra ai migranti
Ci troviamo di fronte ad un cumulo di illegalità istituzionali, che hanno provocato critiche e proteste da parte dell'Onu, dell'Unione Europea e della Chiesa cattolica e che deturpano i connotati essenziali della nostra democrazia. (...) Credo sia opportuno, in via preliminare, misurarne la contraddizione profonda con i principi più elementari della tradizione liberale. Entro questa tradizione, il diritto di emigrare è il più antico dei diritti naturali, essendo stato proclamato alle origini della civiltà giuridica moderna. Ben prima della teorizzazione hobbesiana del diritto alla vita e di quella lockiana dei diritti di libertà, lo ius migrandi fu infatti configurato dal teologo spagnolo Francisco de Vitoria, nelle sue Relectiones de Indis svolte a Salamanca nel 1539, come un diritto universale e insieme come il fondamento del nascente diritto internazionale moderno.
Di fatto la sua proclamazione era chiaramente finalizzata alla legittimazione della conquista spagnola del Nuovo mondo: anche con la guerra, ove all'esercizio di quel diritto fosse stata opposta illegittima resistenza. Tuttavia - benché asimmetrico, non essendo certo esercitabile dalle popolazioni dei «nuovi» mondi, ma solo dagli europei che lo invocarono a sostegno delle loro conquiste e colonizzazioni - lo ius migrandi rimase da allora un principio fondamentale del diritto internazionale consuetudinario.
In nome della proprietà privata
John Locke lo teorizzò come essenziale al nesso proprietà, lavoro, sopravvivenza sul quale fondò la legittimità del capitalismo: «la stessa norma della proprietà», in forza della quale ciascuno è proprietario dei frutti del proprio lavoro, egli scrisse, «può sempre valere nel mondo senza pregiudicare nessuno, poiché vi è terra sufficiente nel mondo da bastare al doppio di abitanti» (...). Kant, a sua volta, enunciò ancor più esplicitamente non solo il «diritto di emigrare», ma anche il diritto di immigrare, che formulò come «terzo articolo definitivo per la pace perpetua». Infine il diritto di emigrare fu consacrato nell'art.13 della Dichiarazione universale dei diritti nel 1948 e in quasi tutte le odierne costituzioni, inclusa quella italiana (...).
Ho ricordato queste origini dello ius migrandi perché la loro memoria dovrebbe quanto meno generare una cattiva coscienza in ordine all'illegittimità morale e politica, ancor prima che giuridica, della legislazione contro gli immigrati. Quell'asimmetria, in forza della quale quel diritto fu utilizzato dai soli occidentali a danno delle popolazioni dei nuovi mondi, si è oggi rovesciata. Dopo cinque secoli di colonizzazioni e rapine non sono più gli europei ad emigrare nei paesi poveri del mondo, ma sono al contrario le masse affamate di questi stessi paesi che premono alle nostre frontiere. E con il rovesciamento dell'asimmetria si è prodotto anche un rovesciamento del diritto. Oggi che l'esercizio del diritto di emigrare è divenuto possibile per tutti ed è per di più la sola alternativa di vita per milioni di esseri umani, non solo se ne è dimenticato l'origine storica e il fondamento giuridico nella tradizione occidentale, ma lo si reprime con la stessa feroce durezza con cui lo si è brandito alle origini della civiltà moderna a scopo di conquista e colonizzazione. Nel momento in cui si è trattato di prenderne sul serio il carattere «universale», quel diritto è infatti svanito, capovolgendosi nel suo contrario: tramutandosi in reato.
È questa l'enorme novità dell'attuale legislazione italiana rispetto alle stesse leggi anti-immigrazione del passato, come la Bossi-Fini o le varie leggi contro gli immigrati degli altri paesi europei: la criminalizzazione degli immigrati clandestini. (...)
Ma oggi la novità della criminalizzazione degli immigrati compromette radicalmente l'identità democratica del nostro paese. Giacché essa ha creato una nuova figura: quella della persona illegale, fuorilegge solo perché tale, non-persona perché priva di diritti e perciò esposta a qualunque tipo di vessazione; destinata dunque a generare un nuovo proletariato, discriminato giuridicamente e non più solo, come i vecchi immigrati, economicamente e socialmente.
Il salto di qualità consiste dunque nei connotati intrinsecamente razzisti della nuova legislazione: dapprima del decreto legge n.92/2008, convertito in legge il 24 luglio del 2008, che ha introdotto, per qualunque reato, l'aggravante della condizione di clandestino, l'aumento della pena fino a un terzo e il divieto di concedere le attenuanti generiche sulla sola base dell'assenza di precedenti penali; poi, soprattutto, della legge sulla sicurezza (...) È stato infine allungato da 2 a 6 mesi il tempo di permanenza dei clandestini nei centri di espulsione (Cie). Infine le norme apertamente razziste, di triste memoria nel nostro paese: il divieto dei matrimoni misti per l'immigrato irregolare, gli ostacoli alle rimesse di denaro alle famiglie; il divieto per quanti sono privi del permesso di soggiorno di iscrivere i figli all'anagrafe, con il conseguente pericolo che questi, non essendo riconosciuti, possano essere dati in adozione e sottratti alle loro madri, la cui sola alternativa sarà il parto clandestino e la clandestinità dei loro figli.(...)
Buttati a mare
La cosa più sconfortante è che queste leggi non sono bastate a soddisfare le pulsioni razziste presenti nell'attuale governo. Anch'esse, benché crudelmente discriminatorie, sono state violate dal nostro governo. È quanto è accaduto in questi mesi, a partire dallo scorso 6 maggio, con l'infamia dei respingimenti in mare, nel corso dei quali centinaia di persone sono state rigettate, a rischio della loro vita, nei campi libici o nei loro paesi di provenienza. Questi respingimenti sono illegali sotto più aspetti. Hanno violato, anzitutto, il diritto d'asilo stabilito dall'articolo 10 (comma 3) della Costituzione per «lo straniero al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche», giacché le navi italiane con cui gli immigrati vengono riportati in Libia sono territorio italiano, siano esse in acque territoriali o in acque extraterritoriali. E lo hanno violato doppiamente, giacché questi disperati vengono respinti in quei veri lager che sono i campi libici, dove sono destinati a rimanere senza limiti di tempo e in violazione dei più elementari diritti umani. Hanno violato, in secondo luogo, la garanzia dell'habeas corpus stabilita dall'articolo 13 (3 comma) della Costituzione: questi respingimenti si sono infatti risolti in accompagnamenti coattivi, non sottoposti a nessuna convalida giudiziaria. (...) Infine sono state violate le convenzioni internazionali che l'Italia, nell'articolo 10 della Costituzione si è impegnata a rispettare: l'art.13 della Dichiarazione universale dei diritti umani sulla libertà di emigrare; l'art.14 della stessa Dichiarazione sul diritto d'asilo; l'art.4 del protocollo 4 della Convenzione europea dei diritti umani che vieta le espulsioni collettive.
Infine l'ultimo, dolente capitolo: quello dei «centri» che prima si chiamavano «di accoglienza» e che la nuova legge chiama «centri di identificazione e di espulsione», nei quali gli immigrati possono restare reclusi non più per 60 giorni, come secondo la vecchia legge, ma per sei mesi. Questi centri sono veri luoghi di detenzione: una detenzione, peraltro, ancor più grave e penosa di quella carceraria, dato che è sottratta a tutte le garanzie previste per i detenuti, a cominciare dal ruolo di controllo svolto dalla magistratura di sorveglianza.
Sono stati così creati dei centri, dei luoghi, dei campi di concentramento - chiamiamoli come vogliamo - in cui vengono recluse persone che non hanno fatto nulla di male, ma che vengono private di qualunque diritto e sottoposte a un trattamento punitivo senza neppure i diritti e le garanzie che accompagnano la stessa pena della reclusione. In questi centri la violazione dell'habeas corpus è totale.(...)
Queste norme e queste pratiche rivelano insomma un vero e proprio razzismo istituzionale. (...) Esse esprimono l'immagine dell'immigrato come «cosa», come non-persona, il cui solo valore è quello di mano d'opera a basso costo per lavori troppo faticosi, o pericolosi o umilianti: tutto, fuorché un essere umano, titolare di diritti al pari dei cittadini.
Categorie criminali
C'è un altro aspetto, ancor più grave, del razzismo istituzionale espresso da queste norme e dalla campagna sulla sicurezza a loro sostegno: il veleno razzista da esse iniettato nel senso comune. Queste norme e questa campagna non si limitano a riflettere il razzismo diffuso nella società, ma sono esse stesse norme razziste - le odierne «leggi razziali», è stato detto, a distanza di 70 anni da quelle di Mussolini - che quel razzismo valgono ad assecondare e a fomentare, stigmatizzando come pericolosi e potenziali delinquenti non già singoli individui sulla base dei reati commessi, ma intere categorie di persone sulla base della loro identità etnica. (...)
Questo razzismo istituzionale rischia di minare alle radici la nostra democrazia. Al tempo stesso, le politiche e le leggi che ne sono espressione possono solo aggravare e drammatizzare tutti i proble-mi che si illudo-no di risolvere. Mentre non saranno mai in grado di fermare l'immigrazione, avranno come effetto principale l'aumento esponenziale del numero dei clandestini e la loro emarginazione sociale inevitabilmente criminogena. E' infatti evidente che, come già è accaduto per l'emigrazione italiana negli Stati Uniti negli anni venti e trenta del secolo scorso, la condizione di debolezza e di inferiorità degli immigrati finisce inevitabilmente per spingerli nell'illegalità, alla ricerca della solidarietà e della protezione di altri immigrati clandestini e di consegnarli, magari, al controllo delle mafie. Occorre al contrario essere consapevoli della complementarità e della convergenza tra sicurezza e integrazione sociale: una politica a garanzia della sicurezza non solo non esclude, ma implica la massima integrazione degli immigrati, attraverso il riconoscimento della loro dignità di persone e la garanzia di tutti i diritti della persona.
Luigi Ferrajoli

mercoledì 9 settembre 2009

APPELLO


MANIFESTAZIONE NAZIONALE ANTIRAZZISTA
ROMA 17 OTTOBRE


Il 7 ottobre del 1989 centinaia di migliaia di persone scendevano in piazza a Roma per la prima grande manifestazione contro il razzismo. Il 24 agosto dello stesso anno a Villa Literno, in provincia di Caserta, era stato ucciso un rifugiato sudafricano, Jerry Essan Masslo.

A 20 anni di distanza, il razzismo non è stato sconfitto, continua a provocare vittime e viene alimentato dal governo Berlusconi. Il pacchetto sicurezza varato dal governo di Centro-Destra offende la dignità umana, introducendo il reato di “immigrazione clandestina”.

La morte degli immigrati nel canale di Sicilia, che si sta trasformando in un cimitero marino, è la tragica conseguenza della logica disumana che ispira la politica governativa.

Questa drammatica situazione sta pericolosamente alimentando e legittimando nella società la paura e la violenza nei confronti di ogni diversità.

E’ il momento di reagire e costruire insieme una grande risposta di lotta e solidarietà per difendere i diritti umani respingendo ogni tipo di razzismo.

Pertanto facciamo appello a tutte le associazioni laiche e religiose, alle organizzazioni sindacali, alla società civile e a tutti i movimenti a scendere in piazza il 17 ottobre per fermare il dilagare del razzismo sulla base di questa piattaforma׃

* No al razzismo
* Per la regolarizzazione generalizzata per tutti
* Ritiro del pacchetto sicurezza
* Accoglienza per tutti
* No ai respingimenti e agli accordi bilaterali che li prevedono
* Per la rottura netta del legame tra il permesso di soggiorno e il contratto di lavoro
* Diritto di asilo per i rifugiati e profughi
* Per la chiusura definitiva dei Centri di Identificazione ed Espulsioni (CEI)
* No alle divisioni tra italiani e stranieri
* Diritto al lavoro, alla salute, alla casa e all’istruzione per tutti
* Mantenimento del permesso di soggiorno per chi ha perso il lavoro
* Contro ogni forma di discriminazione nei confronti di LGBT
* Solidarietà a tutti i lavoratori in lotta per la difesa del lavoro



SABATO 17 OTTOBRE 2009

MANIFESTAZIONE NAZIONALE ANTIRAZZISTA ROMA

PIAZZA DELLA REPUBBLICA ORE 14.30



Promuove: COMITATO 17 OTTOBRE

Hanno aderito:

Unione Cittadini Immigrati Roma - Comitato Immigrati in Italia (Roma) - Centro sociale Ex Canapificio Caserta - Movimento Migranti e Rifugiati Caserta - Migrantes Y Familiares MFAM - Comitato Immigrati in Italia (Napoli) - Collettivo Immigrati Auto-Organizzati Torino - Ass. Dhuumcatu - Lega Albanesi Illiria - Ass. Filippini Roma - Ass. Sunugal Milano - Ass Insieme per la Pace - Ass Mosaico Interculturale (Monza-Brianza) - Federazione Senegalesi della Toscana - Ass. FOCSI (Roma) - Ass. Bangladesh (Roma) - Ass. Pakistan (Roma) Ass. Indiani (Roma) - El Condor (Roma) - Uai (Como) - Centro delle culture (Milano) - Ass. Punto di partenza (Milano) - Movimento lotta per la casa (Firenze) - Ass. El Mastaba (Firenze) - Ass. Arcobaleno (Riccione) - FAT (Firenze) - Ass. Interculturale Todo Cambia (Milano) - Studio 3R di mediazione (Milano) - Centro delle culture (Firenze) - Federazione Nazionale RdB-CUB - SdL intercategoriale - Confederazione Cobas - Naga - Coordinamento Migranti Verona - Sportello Immigrati RdB Pisa - Missionari Comboniani Castelvoturno - PRC – Pdci - Ass.ne Razzismo Stop e ADL-Cobas - Sinistra Critica - Rete Antirazzista Catanese - Coordinamento Stop razzismo - Ass. antirazzista e interetnica `3 febbraio´ - Partito Umanista - Partito di Alternativa comunista - Socialismo Rivoluzionario - Unicobas - Socialismo Libertario - Centro delle Culture - Ass.Umanista Help To Change - Comitato antirazzista Abba (Fi) - Comitato Antirazzista (Vi) - Donne in Nero (Italia) - Clan Destino Doc - Medici e Operatori della salute dalla parte dei migranti - Ass.LibLab - Libero laboratorio - Associazione Culturale Musicale illimitate Villaricca (Napoli) – CIPAX (Centro interconfessionale per la pace) - Sud Pontino Social Forum - Cooperativa Immigrazionisti (Mi) - Gruppo Every One - Rifugiati di piazza Oberdan Milano - Gruppo Watching the Sky, Ass. culturale molisana " Il bene comune" - Associazione Utopia Rossa - Punto pace di Napoli movimento Pax Christi - Ass. Donne e colori ( Roma) - Marenia (gruppo musicale) - Bidonvillarik (gruppo musicale) - Associazione Peppino Impastato - Casa Memoria (Cinisi) - Slai Cobas Nazionale - Action (Roma) - Associazione "Kamilla" (Cassino) - Collettivo Teatri OFFesi di pescara - Associazione Arrakkè - Centro per la tutela dei diritti umani (Siracusa) - USI AIT Nazionale - Associazione Yakaar Italia-Senegal - Corrispondenze Metropolitane (Roma) - RETELEGALE (Torino) - ASIA-RdB (Bologna) - L'associazione Solidarietà Proletaria (Napoli) - Coordinamento Diversi Uguali (Arezzo) - Periodico Bianco e Nero - PCL - Rivista CARTA - Associazione "Romano pala tetehara" Rom per il futuro - Associazione Nazionale USICONS - Associazione cittadini del mondo - COLLETTIVO " IQBAQL MASIH" DI LECCE - Associazione interculturale Grammelot (Napoli) - Emergency - Casa Internazionale delle donne (Roma) - Piattaforma Comunista - Associazione-centro interculturale delle donne trama di terre (Imola) - Libreria la locomotiva (Savona) - perUnaltracittà (Firenze) - G.A.S TAPALLARA di Catania - Circolo di cultura glbt Maurice (Torino) - Comitato spontaneo per la pace di Faenza - Centro di documentazione don Tonino Bello di Faenza - PdCI Fed Prov di Torino - Ass. Culturale Artiglio - Mondo senza Guerre- Il centro Open Mind GLBT di Catania - Centro delle Culture di Roma - Collettivo MAREMMANO AUTORGANIZZATO (GROSSETO) - Organizzazione Comunista Alternativa Proletaria - IL MONDO IN IV (Roma) - Collettivo Antagonista Primaverile (Roma) - Associazione Postribù - Collettivo l'evasione (Cosenza) - Cobas pt cub - Sinistra Unita e Plurale (Firenze) – JVP Italia - Padri Sacramentini (Caserta) - Casa Rut (Caserta) - Pastorale Giovanile (Caserta) - Radio Vostok - Associazione Agora - CARC - Gruppo Antifascista Partigiano (Cremona) - DONNE PER L'INTEGRAZIONE di Borgomanero (NO) - Rete28Aprile - Centro Open Mind GLBT (Catania) – ARCI – Sinistra e Liberta - Piero Soldini (dipartimento immigrazione CGIL) - Comitato antirazzista e contro l'omofobia “ALZIAMO LA TESTA " (Milano) - Cantieri Sociali - Cooperativa Sociale Dedalus (Napoli) - Associazione Priscilla (Napoli) - Federazione dei Comunisti Anarchici - Assolei sportello donna - Associazione voceDonna (Forli) - Csoa Villaggio Globale (Roma) - Associazione SocialismoeSinistra - FGCI (Roma) - Comitato Solidarietà Antirazzista (Martesana) – Sindacato lavoratori in Lotta – ATTAC (Roma) - EMMAUS – BPM (Roma) – PLT

Per adesioni:

comitatoroma17ottobre@gmail.com

lunedì 7 settembre 2009

Roma, presentato il piano di concentramento per tutti i Sinti e i Rom

lunedì 3 agosto 2009

Roma vara "il numero chiuso" per Rom e Sinti.

Un tetto massimo di 6.000 persone censite da integrare «nella legalità e nella solidarietà» che vivranno in soli 13 villaggi autorizzati, che cancelleranno una «vergogna europea» ha detto il sindaco di Roma Gianni Alemanno.
A via di Salone le ruspe stanno già lavorando per trasformare l'inferno in paradiso: villette con veranda per le 500 famiglie che ci vivono, acqua, luce, gas e fogne a norma, e strade asfaltate, così quando passano i camion che lavorano nelle aziende della zona la polvere non gli entra in casa.
Il campo di via Salone, location scelta dal sindaco Gianni Alemanno per la presentazione del Piano nomadi, il 31 luglio pomeriggio, sarà uno dei 13 villaggi (ma tra questi ce ne sono due nuovi dentro Roma e la località è top secret, sennò cominciano le proteste; più uno a Latina su un campo di proprietà della Regione) dove vivranno i 6.000 Rom e Sinti, è questo il tetto, che il comune di Roma vuole «integrare in sicurezza», «nella legalità e nella solidarietà», un «modello romano» su cui cammineranno anche «Veneto e Piemonte», e che sarà presentato come «modello» anche ai «nostri partner europei» ambisce il ministro dell'Interno Roberto Maroni, presente in conferenza stampa.
Ecco il piano in sintesi. Ci saranno solo 13 villaggi autorizzati, per la maggior parte periferici e di medie dimensioni: Salone, Candoni, Gordiani, Camping River, Castel Romano rimarranno dove si trovano adesso ma verranno ristrutturati e ampliati così come Cesarina e Lombroso che saranno, però delocalizzati, ma sempre negli stessi municipi.

A questi si aggiungeranno tre strutture al momento solo "tollerate" ma che verranno ristrutturate, La Barbuta, Salviati e Ortolani e due nuove aree sulle quali vige ancora il più stretto riserbo. Inoltre è previsto un campo di semitransito dove alloggiare i nomadi sgomberati che ora vengono sistemati nell'ex Fiera di Roma. A Latina, ha detto il prefetto Pecoraro, «su un terreno di proprietà della Regione Lazio è previsto un altro campo che andrà ad accogliere i nomadi che già vivono nella zona e quelli di Aprilia». Il prefetto ha auspicato anche che «non ci siano ricorsi per mantenere i termini prefissi». Il tetto dei Rom e dei Sinti è fissato in 6.000 persone, mentre il censimento ne ha contati 7.200, e il 25% non si è fatto censire.
Saranno chiusi 9 campi tollerati, oltre a quelli di Naide e Dameta già sgomberati 5 giorni fa. Si parte con: Casilino 900, Tor de Cenci e La Martora con una riduzione del 50% del campo entro fine ottobre. Il piano prevede inoltre la chiusura degli insediamenti abusivi, la ristrutturazione dei villaggi autorizzati e la ricollocazione della popolazione rom e sinta avente diritto nelle nuove e all'interno di alcuni dei 7 campi attrezzati che verranno ampliati.
Saranno realizzati presidi di vigilanza e socio-educativi, la consegna del documento di autorizzazione allo stanzionamento temporaneo (Dast) ai Rom e Sinti in possesso dei requisiti previsti dal regolamento, l'avvio delle operazioni di bonifica e recupero delle aree interessate dalla chiusura dei campi che verranno restituiti alla cittadinanza e infine il completamento delle operazioni di censimento effettuate dalle forze dell'ordine in collaborazione con gli uffici del dipartimento V diretto da Angelo Scozzafava (che è soggetto attuatore del Commissario straordinario) nei campi non autorizzati.
Le forze dell'ordine inizieranno il censimento negli insediamenti abusivi e nei campi tollerati dopo la pausa estiva. La stima nei 14 campi tollerati è di 2.700 persone presenti e di 2.200 negli insediamenti abusivi. Le operazioni di chiusura riguarderanno gli insediamenti abusivi presenti sul territorio del Comune di Roma e 9 campi ad oggi tollerati. A questi si aggiungono i villaggi di Naide e Dameta sgomberati il 27 luglio 2009. I campi tollerati interessati alla chiusura sono: Casilino 900, Tor de Cenci, La Martora, Baiardo, Foro Italico, Monachina, Naide, Dameta, Arco di Travertino, Spellanzon, Sette Chiese. Si prevede dunque che entro fine ottobre si riuscirà a chiudere almeno il 50% di Casilino 900, Tor de' Cenci e La Martora. E parte il toto-siti misteriosi. «L'area di semitransito nell'ex Fiera di Roma» o «i nomadi nel Cpt di Ponte Galeria» azzarda più di qualcuno. da Il Tempo
http://sucardrom.blogspot.com

Giudici di pace e immigrati


Clandestini, beffata la legge

A Genova un giudice non sanziona il nuovo reato: vicenda tenue. Timori a Roma. Una decisione che è pericoloso precedente. Così ha inizio il sabotaggio del nuovo testo sull'immigrazione.
Fatta la legge, trovato l’inganno. Solo che stavolta a scovare l’inghippo non sono i colpevoli di un reato bensì i giudici. Che si sono messi a fare una sorta di sciopero bianco nei confronti nella legge sulla sicurezza appena varata che istituisce anche una nuova fattispecie: quella di clandestinità. Per ora c’è un piccolo caso. Ma che apre uno squarcio come accadde della legge Bossi-Fini nel 2002, quando alcuni magistrati fecero obiezione di coscienza. Andiamo a vedere da vicino quello che rischia di diventare un nuovo solco lungo la già esistente superstrada delle scappatoie. A Recco, vicino Genova, un giudice di pace ha ritenuto di «non doversi procedere per particolare tenuità del fatto» nei confronti di un clandestino. In pratica, il giudice ligure ha motivato la sua scelta poiché l'imputato era «incensurato, non aveva mai avuto problemi con la giustizia e svolgeva un'attività lecita, seppure in forma irregolare, così che non appariva giustificata l'azione penale nei suoi confronti».
E si è aggrappato all'articolo 34 del decreto legislativo 274/2000. Questo articolo, di un testo che regolamenta le funzioni dei giudici di pace, spiega che «rispetto all'interesse tutelato, l'esiguità del danno o del pericolo che ne è derivato, nonché la sua occasionalità e il grado della colpevolezza, non giustificano l'esercizio dell'azione penale». Così però si corre il rischio è che il magistrato si sostituisca al legislatore. Il problema è che la legge sulla clandestinità, nelle sue linee originarie, è stata disegnata proprio da un governo di centrosinistra, con Giuliano Amato ministro dell'Interno e ispiratore delle norme. Il governo di centrodestra non ha certo violentato i principi, ma ha affermato con l'introduzione della legge il reato di «ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato».
Nella dinamica, la norma non è certo di stampo reazionario: infatti, non si parla di arresto, ma di un'ammenda da 5.000 ai 10.00 euro, oltre all'espulsione. Dunque, in ossequio alle leggi del'Unione Europea la legge recentemente approvata al Senato (con 157 sì, 124 no e 3 astenuti) rappresenta un deterrente significativo, un disincentivo ai viaggi della speranza, un invito alla regolarizzazione legata al collocamento nel mercato del lavoro ufficiale. Principi inattaccabili nei quali qualcuno ha voluto aprire una crepa. Deputati al ruolo di «guastatori» paiono in questo momento i giudici di pace, coinvolti nel tessuto del controllo proprio dal tipo di sanzione amministrativa.
Purtroppo molti di loro non hanno «compreso» o «capito» lo spirito della legge e il dettato della stessa. Proviamo ad «aiutarli» a comprendere con un esempio. Se un cittadino che non è dentista, e tantomeno medico, esercita la professione di odontoiatra non commette un reato specifico quando cava un dente o ottura una carie: semplicemente, non è abilitato al ruolo, non avendo uno status professionale accertato, esigibile e ripettoso delle normative del Paese in cui si trova a operare. E ciò accade nelle grandi città (ma anche in quelle più piccole) alle prese col problema ancora irrisolto della prostituzione in strada.
Nella Capitale, ad esempio, la frustrazione delle forze dell'ordine è evidente quando, dopo aver proceduto a identificare cittadine e cittadini privi di permesso di soggiorno, senza un lavoro ufficiale o una giustificazione legata agli studi, e senza dimora, si rivedono rigettare il decreto prefettizio dal giudice. La motivazione è sempre la stessa: prostituirsi in Italia non è un reato. Ma la nuova normativa contesta il reato di clandestinità e non l'operato eventualmente delinquenziale all'interno dello stesso. Eppure i clandestini, perseguiti dalla legge, continuano a farla franca. Con «buona pace» dei giudici. da Il Tempo
di Marino Collacciani e Fabrizio Dell'Orefice
05/09/2009
L'intervista a Carlo Vizzini
"Interpretazione bizzarra Maroni venga a riferire"
Il presidente della commissione Affari Costituzionali del Senato: "Si intervenga".
Carlo Vizzini è nella sua Palermo. E a Palermo è festa, è Santa Rosalia. Lui, presidente della commissione Affari Costituzionali e relatore sulla legge sulla sicurezza, s'è concesso un po' di riposo con una nuotata. Ascolta a telefono le ultime novità che arrivano dalla Liguria dove un giudice di pace ha mandato «assolto» un immigrato accusato di clandestinità. Vizzini, pacatamente, non ci sta: «I giudici sono chiamati ad applicare la legge. Una volta chiusa la fase della discussione si dovrebbe concludere anche quella della contestazione».
Presidente, non teme che possa partire una sorta di sciopero bianco magari da quella parte della magistratura più politicizzata?
«Comunque sia non sarebbe ammesso. Nè scioperi bianco e nè obiezioni di coscienza. Mi auguro che non ci sia nessun comportamento che vada contro l'ordinamento».
Il giudice di Recco si è appellato però al fatto che si tratta di un reato tenue e dunque può non procedere. Che cosa ne pensa?
«Dovrei leggere le carte, non me la sento di giudicare così. La legge l'abbiamo lungamente approvata, discussa ed esaminata. Non ho mai sentito parlare della possibilità di appellarsi, da parte di un clandestino, alla tenuità del reato».
Nemmeno da parte dell'opposizione è stata sollevata questa obiezione?
«Guardi, le contestazioni che sono state fatte a questa legge sono state davvero le più varie. Ma questa non l'ho mai sentita e mi pare un'interpretazione vagamente bizzarra».
Ma perché è stata scelta la strada dell'ammenda per chi viene contestato il reato di clandestinità?
«Oddio, si rende conto se avessimo stabilito invece la detenzione? Già così ci accusa di aver fatto dei lager, figuriamoci se avessimo previsto il carcere. E le dirò di più».
Che cosa senatore?
«Pur essendo prevista la sanzione pecuniaria, c'è chi ci accusa di aver riempito i penitenziari. A costoro rivolgo solo un invito: prima di criticare almeno leggete il testo. Ed è un invito rivolto a tutti».
A chi si vuole riferire?
«Anche al Pdl».
Anche al Pdl?
«Ho letto una dichiarazione di un esponente del Pdl che accusava appunto la legge di aver provocato il sovraffollamento delle carceri. E per carità di patria non mi chieda il nome».
Presidente, ma le sono giunte notizie di altre «inosservanze» della legge?
«No, mi auguro che il governo stia facendo questo monitoraggio. Anzi, sono sicuro che lo starà facendo. Anzi, chiuderò al ministro dell'Interno di venire a riferire al Senato».
Quando?
«Non lo so, quando lui lo riterrà opportuno. Appena tornerò in ufficio, lo contatterò per sapere quando lui pensa di avere un quadro della situazione tale da fare un'analisi sull'applicazione della legge».
E secondo lei quanto tempo è necessario?
«La legge è entrata in vigore ad agosto. Un mese per giunta di scarsa attività. Secondo me occorrono almeno tre mesi, forse quattro. Insomma, mi auguro che possa venire entro la fine dell'anno in modo anche da verificare altre questioni come la tessera del tifoso».
Berlusconi immagina a modifiche del testo soprattutto sul fronte dell'integrazione. Lei sarebbe d'accordo?
«Ripeto, bisognerebbe fare un'analisi. Tuttavia siamo pronti a fare delle correzioni laddove ci rendessimo conto che è necessario intervenire. Sull'integrazione, in particolare quella che riguarda le grandi città, posso solo dire che proprio la prima commissione del Senato ha avviato un'indagine conoscitiva. Nelle prossime settimane dovremmo avere già qualche risultato. Ma non me la sento di anticipare nulla». da Il Tempo
Fabrizio Dell'Orefice
05/09/2009

mercoledì 2 settembre 2009

In 15 foto le prove del massacro dei somali a Benghazi

02 September 2009

ROMA – Adesso abbiamo le prove. Sono quindici foto in bassa definizione. Scattate con un telefono cellulare e sfuggite alla censura della polizia libica con la velocità di un mms. Ritraggono uomini feriti da armi di taglio. Sono cittadini somali detenuti nel carcere di Ganfuda, a Bengasi, arrestati lungo la rotta che dal deserto libico porta dritto a Lampedusa. Si vedono le cicatrici sulle braccia, le ferite ancora aperte sulle gambe, le garze sulla schiena, e i tagli sulla testa. I vestiti sono ancora macchiati di sangue. E dire che lo scorso 11 agosto, quando il sito in lingua somala Shabelle aveva parlato per primo di una strage commessa dalla polizia libica a Bengasi, l'ambasciatore libico a Mogadiscio, Ciise Rabiic Canshuur, aveva prontamente smentito la notizia. Stavolta, smentire queste foto sarà un po' più difficile.

A pubblicarle per primo sulla rete è stato il sito Shabelle. E oggi l'osservatorio Fortress Europe le rilancia in Italia. Secondo un testimone oculare, con cui abbiamo parlato telefonicamente, ma di cui non possiamo svelare l'identità per motivi di sicurezza, i feriti sarebbero almeno una cinquantina, in maggior parte somali, ma anche eritrei. Nessuno di loro però è stato ricoverato in ospedale. Sono ancora rinchiusi nelle celle del campo di detenzione. A venti giorni dalla rivolta.

Tutto è scoppiato la sera del 9 agosto, quando 300 detenuti, in maggioranza somali, hanno assaltato il cancello, forzando il cordone di polizia, per scavalcare e fuggire. La repressione degli agenti libici è stata fortissima. Armati di manganelli e coltelli hanno affrontato i rivoltosi menando alla cieca. Alla fine degli scontri i morti sono stati sei. Ma il numero delle vittime potrebbe essere destinato a salire, visto che ancora non si conosce la sorte di un'altra decina di somali che mancano all'appello.

Il campo di Ganfuda si trova a una decina di chilometri dalla città di Bengasi. Vi sono detenute circa 500 persone, in maggior parte somali, insieme a un gruppo di eritrei, alcuni nigeriani e maliani. Sono tutti stati arrestati nella regione di Ijdabiyah e Benghazi, durante le retate in città. L'accusa è di essere potenziali candidati alla traversata del Mediterraneo. Molti di loro sono dietro le sbarre da oltre sei mesi. C’è chi è dentro da un anno. Nessuno di loro è mai stato processato davanti a un giudice. Ci sono persone ammalate di scabbia, dermatiti e malattie respiratorie. Dal carcere si esce soltanto con la corruzione, ma i poliziotti chiedono 1.000 dollari a testa. Le condizioni di detenzione sono pessime. Nelle celle di cinque metri per sei sono rinchiuse fino a 60 persone, tenute a pane e acqua. Dormono per terra, non ci sono materassi. E ogni giorno sono sottoposti a umiliazioni e vessazioni da parte della polizia.

Sull'intera vicenda, i deputati Radicali hanno depositata lo scorso 18 agosto un'interrogazione urgente al Presidente del Consiglio e al Ministro degli Esteri, chiedendo se l'Italia “non ritenga essenziale, anche alla luce e in attesa della verifica dei fatti sopraesposti, garantire che i richiedenti asilo di nazionalità somala non siano più respinti in Libia”. Probabilmente la risposta all'interrogazione tarderà a venire in sede parlamentare. Ma nella realtà dei fatti una risposta c'è già. E il respingimento dei 75 somali di ieri ne è la triste conferma.

Siamo finalmente riusciti a parlare telefonicamente con uno di loro. A bordo erano tutti somali, ci ha detto. E avevano chiesto ai militari italiani di non riportarli indietro, perché volevano chiedere asilo. Inutile. In questo momento, mentre voi leggete, si trovano nel centro di detenzione di Zuwarah. Da quando sono sbarcati, ieri alle tredici, non hanno ancora ricevuto niente da mangiare. Né hanno potuto incontrare gli operatori dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite di Tripoli. Li hanno rinchiusi in un'unica cella, tutti e 75, comprese le donne e i bambini. Nessuno di loro ha idea di quale sarà la loro sorte. Ma nessuno si azzardi a criticare l'Italia per la politica dei respingimenti o per l'accordo con la Libia. Tanto meno l'Unione europea e i suoi portavoce...
Le foto le trovate nel link: http://fortresseurope.blogspot.com/