martedì 5 luglio 2011

Sette tentati suicidi al Cara di Mineo, anni di attesa per l`asilo
terrelibere.org terrediconfine - autore dell"articolo Raffaella Cosentino - Redattore Sociale
Da un rapporto di Medici senza frontiere ("Dall’inferno al limbo") la voce dei profughi intrappolati nel centro per la lentezza della commissione. Abdoul: “Da quando sono arrivato a Mineo, non faccio altro che camminare in circolo, sembra di essere in carcere”. Prima intrappolati in Libia, ora nel limbo di una situazione kafkiana. In sette hanno già tentato il suicidio.

Il CARA di Mineo. Fotografia di Raffaella Cosentino

Roma – Depressione, solitudine, isolamento e sette persone che hanno già tentato il suicidio perché “dopo essere stati intrappolati in Libia, i cittadini stranieri sono ora intrappolati nei campi e nei centri di accoglienza, dove vivono condizioni molto precarie, senza prospettive per il futuro`. E` il ritratto a tinte fosche che arriva da una voce indipendente all`interno del Cara di Mineo, in provincia di Catania. Si tratta dell`Ong "Medici senza frontiere" che ha raccolto in un dossier le voci dei migranti “Dall`inferno al limbo`.

Msf è presente nel "Residence degli Aranci" di Mineo per un progetto di salute mentale che avrà una sperimentazione di due mesi, con attività psicosociali rivolte a 350 ospiti sul quasi duemila che affollano il mega centro di accoglienza per richiedenti asilo. Il rapporto è un modo per fare arrivare le testimonianze dei profughi ai giornalisti che non possono entrare nei centri a causa del divieto del Viminale.

“Sono arrivato a Mineo il 2 giugno. La situazione non è buona. Ogni giorno è uguale al precedente – dice Georges (nome di fantasia), nigeriano 29enne – Mi piacerebbe, per esempio, leggere il giornale. Non c`è niente per tenerci occupati. Non posso uscire dal centro. Possiamo solo stare seduti. Lasciarci seduti in un posto non significa aiutarci`. Più volte i migranti hanno denunciato di essere stati tagliati fuori dal mondo. “Abbiamo solo 3 minuti a settimana per chiamare le nostre famiglie – racconta Idrissa, 23 anni, del Niger – La commissione interroga solo due persone al giorno. Non sappiamo quando e come lasceremo questo posto. Siamo come prigionieri perché qui non c`è trasporto, stiamo soffrendo, abbiamo bisogno di aiuto`.

Le storie dei richiedenti asilo di Mineo sono quelle di persone comuni che avevano una vita in Libia, prima della guerra. Facevano gli autisti, le donne delle pulizie, lavoravano nelle lavanderie. Alcuni, come Patrick, 46 anni, congolese, vivevano a Tripoli dopo essere già fuggiti da una guerra, quella nel Nord Kivu. Si erano ricostruiti l`esistenza, ma poi è arrivato questo nuovo conflitto e ha spazzato via tutto. Nei loro racconti si legge non solo la paura per i bombardamenti ma anche le aggressioni da parte della popolazione locale, come le rapine con i coltelli e il tentativo di costringerli a partecipare alla guerra da parte delle milizie.

“Laggiù eravamo considerati delle armi - dice Akin, 34 anni, nigeriano – sono stato portato in un luogo chiuso con altre persone. Volevano usarci come mercenari`. Abdoul è scappato per paura di morire per mano di uomini armati. Ha mandato la moglie e i due figli in Niger, ma non è riuscito a raggiungerli. Ora non sa che fine abbiano fatto e la preoccupazione lo sta consumando. “Da quando sono arrivato a Mineo, non faccio altro che camminare in circolo – dice – sembra di essere in carcere. Per due mesi ci hanno detto che avremmo dovuto ricevere i documenti ma non è successo nulla. Il tempo passa e io non so nemmeno se la mia famiglia riesce a sfamarsi e può sopravvivere senza di me`.

A Mineo si rischia di attendere anni solo per uscire, per conoscere l`esito della domanda di asilo. Finora la commissione territoriale ha esaminato solo 2 casi al giorno. Per smaltire duemila persone ci vorrebbero quasi tre anni a questo ritmo. Perciò le proteste dei profughi sono continue. Diverse volte hanno bloccato l`autostrada Catania – Gela che passa vicino al "Residence degli Aranci". L`ultimo episodio risale al 20 giugno, durante la giornata del rifugiato, mentre l`attenzione era puntata su Angelina Jolie sbarcata a Lampedusa. Redattore Sociale ha verificato che quel giorno dieci migranti feriti con contusioni e lievi traumi sono arrivati all`ospedale di Caltagirone, subito dopo la protesta. Non si sa cosa abbia provocato le ferite.

La "Rete antirazzista catanese" ha denunciato presunte violenze da parte della polizia. “Non abbiamo visitato pazienti in quell`occasione e quindi non so cosa sia successo, ma sappiamo delle manifestazioni` dice Francesca Zuccaro, a capo della missione di Msf. Dalle testimonianze raccolte dall`Ong risulta chiaro che il Cara di Mineo, aperto a marzo dal governo dichiarando l`intenzione di farne un centro modello per l`Europa in una struttura lussuosa, non è adeguato alla funzione che deve svolgere.

“I Cara devono avere standard che garantiscano i servizi per le persone vulnerabili e per la tutela delle vittime di violenza e di tortura` spiega ancora Zuccaro. Da alcuni giorni a Mineo è stata potenziata la commissione, ma ancora non si sa esattamente quante sono le audizioni giornaliere. Sui centri di detenzione (Cie), Zuccaro ribadisce quanto scritto nel rapporto di Msf che chiedeva la chiusura delle tendopoli – carcere di Trapani Kinisia e di Palazzo San Gervasio (Pz). “Ci sono condizioni di vita intollerabili che mettono a rischio la salute mentale delle persone – afferma – impensabile la detenzione estesa a 18 mesi`.

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Formato per la citazione:
Raffaella Cosentino, "Sette tentati suicidi al Cara di Mineo, anni di attesa per l`asilo", terrelibere.org, 02 luglio 2011, http://www.terrelibere.org/terrediconfine/sette-tentati-suicidi-al-cara-di-mineo-anni-di-attesa-per-l-asilo

SCHEDA SUL DECRETO LEGGE N. 89/11

Il Consiglio dei Ministri nella seduta del 16 giugno 2011 ha licenziato un decreto-legge recante: “Disposizioni urgenti per la completa attuazione della Direttiva 2004/38/Ce e per il recepimento della Direttiva 2008/115/CE”. Il decreto legge è stato promulgato dal Capo dello Stato e quindi pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 23 giugno 2011 ed è entrato in vigore a decorrere dal 24 giugno 2011. Il Ministero dell’Interno ha immediatamente emanato una circolare (circolare n. 17102/04 del 23 giugno 2011), indirizzata a Prefetti ed altre autorità di Pubblica sicurezza. Di seguito verranno sintetizzati gli aspetti più salienti del decreto (relativamente alla sola parte riguardante i cittadini extracomunitari), confrontando le scelte compiute dal legislatore con quanto disposto dalla Direttiva 115/2008 (cosiddetta Direttiva Rimpatri) che il decreto n. 89/11 ha proprio lo scopo di attuare.

1.La partenza volontaria.

Il diritto alla concessione del termine per la partenza volontaria è attribuito solo su richiesta dell’interessato. Il cittadino straniero dovrà quindi essere debitamente informato di tale possibilità dalla Questura. In caso di concessione di tale termine, il questore chiede allo straniero di dimostrare la disponibilità di risorse economiche sufficienti derivanti da fonti lecite, per un importo proporzionato al termine concesso, compreso tra una e tre mensilità dell’assegno sociale annuo. Il questore dispone, altresì, una o più delle seguenti misure: - consegna del passaporto o altro documento equipollente in corso di validità, da restituire al momento della partenza; - obbligo di dimora in un luogo preventivamente individuato, dove possa essere agevolmente rintracciato; - obbligo di presentazione, in giorni ed orari stabiliti, presso un ufficio della forza pubblica territorialmente competente. Con riferimento a tali previsioni, si ritiene opportuno segnalare alcune discordanze con quanto previsto nella Direttiva Rimpatri. a.il governo ha indicato l’esistenza di una disponibilità economica in capo al cittadino di Paese terzo quale presupposto per la concessione del termine; al contrario, di tale presupposto, non è fatta menzione nella Direttiva Rimpatri che prevede unicamente che lo Stato possa imporre al cittadino di Paese terzo la “costituzione di una garanzia finanziaria adeguata”. E’ evidente, in questo caso, l’intento del legislatore di eludere l’effetto utile della direttiva posto che in sede di identificazione l’ipotesi che il cittadino straniero riesca a “dimostrare la disponibilità di risorse economiche sufficienti derivanti da fonti lecite” è molto remota. b.il decreto legge assegna un cruciale rilievo alla disponibilità, da parte del cittadino straniero, di un passaporto o documento equipollente: senza il passaporto può essere infatti ritenuto sussistente il rischio di fuga, possono essere applicate misure coercitive, può essere disposto il trattenimento in un C.I.E. Questa previsione rischia di avere una portata in concreto elusiva delle garanzie che la direttiva rimpatri assegna al cittadino straniero, soprattutto se si considera che nelle disposizioni del decreto legge non si fa alcun cenno ad un dato che, invece, potrebbe (e dovrebbe) avere un certo rilievo ossia l’incolpevole incapacità di esibire un passaporto. Ciò in palese violazione di quanto contenuto nella Direttiva Rimpatri. c.Il governo ha previsto che gli obblighi sopra richiamati siano sempre applicati a colui al quale è stata concessa la partenza volontaria; la Direttiva Rimpatri prevede invece che gli stati membri possano imporre obblighi diretti ad evitare il rischio di fuga.

2.Il trattenimento nei CIE.

L’art. 14 comma 1 e 1 bis D.lgs. n. 286/1998 prende in considerazione i casi in cui –non essendo stato concesso il termine per la partenza volontaria e non essendo possibile eseguire immediatamente l’espulsione si deve procedere al trattenimento del cittadino di Paese terzo in un Centro di identificazione ed Espulsione. Quanto alla durata del trattenimento si segnala che la procedura delineata nel decreto legge prevede – sostanzialmente - due fasi: una prima fase estensibile sino ad un massimo di 180 giorni (suddivisi in periodi di trenta giorni, trenta giorni, sessanta giorni, sessanta giorni) ed una seconda fase prolungabile sino ad un massimo di 12 mesi per effetto di singole proroghe di volta in volta non superiori ciascuna a 60 giorni (il che comunque non esclude che vi possano essere proroghe di durata inferiore a 60 giorni). Il decreto legge prevede che - qualora sia impossibile il trattenimento in un C.I.E, ovvero esso sia cessato per raggiungimento del termine massimo di trattenimento- al cittadino straniero venga impartito un distinto ed autonomo ordine di allontanamento dal territorio dello Stato entro sette giorni. Si rileva a tal proposito che il decreto legge, in violazione di quanto previsto dalla Direttiva Rimpatri, non fa alcun cenno all’Autorità che si dovrà occupare della vigilanza del rispetto della dignità della persona; trattandosi di detenzioni che – seppur amministrative- possono protrarsi fino a 18 mesi, la previsione di un intervento della magistratura di sorveglianza – in chiave di garanzia - sarebbe oltremodo auspicabile.

3.Le sanzioni penali.

Il decreto legge introduce diverse fattispecie incriminatrici e, in particolare: - la violazione delle misure coercitive impartite ai sensi dell’art. 13, comma 5.2., D.lgs.n. 286/1998, punita con la pena della multa da 3.000 a 18.000 euro; - la violazione delle misure coercitive impartite ai sensi dell’art. 14, comma 1 bis, D.lgs. n. 286/1998, punita con la pena della multa da 3.000 a 18.000 euro; - la violazione – senza giustificato motivo - dell’ordine di allontanamento emesso dal Questore ai sensi dell’art. 14 comma 5 bis, punibile – a seconda dei casi - con la multa da 6.000 a 15.000 euro (espulsione disposta ex art. 13, comma 5, D.lgs. n. 286/1998) o da 10.000 a 20.000 euro (negli altri casi); - la violazione – senza giustificato motivo - dell’ordine di allontanamento emesso dal Questore ai sensi dell’art. 14 comma 5 ter terzo periodo, punibile con la multa da 15.000 a 30.000 euro. La competenza per materia è stata attribuita al Giudice di Pace. Il decreto legge prevede che in casi di condanna per uno dei reati sopra elencati, il Giudice di Pace possa applicare, al posto della multa, la sanzione sostitutiva dell’espulsione. Tale possibilità determina – in concreto – l’elusione delle garanzie previste dalla Direttiva Rimpatri che non può essere applicata a coloro che sono sottoposti a rimpatrio come sanzione penale.

4.Il divieto di reingresso.

Il decreto legge dispone che il decreto di espulsione venga corredato da un divieto di reingresso per un periodo non inferiore ai tre anni e non superiore ai cinque. In caso di pericolosità del cittadino straniero il divieto deve avere una durata superiore ai cinque anni. Tale previsione si pone in contrasto con quanto previsto dalla Direttiva Rimpatri che impone agli Stati membri di corredare la decisione di rimpatrio con il divieto di reingresso in due soli casi, ossia: decisione di rimpatrio senza concessione del termine per la partenza volontaria e inottemperanza all’obbligo di rimpatrio. Negli altri casi la possibilità di corredare il divieto di reingresso alla decisione di rimpatrio è prevista come mera facoltà degli Stati membri.

Si rammenta, infine, che il decreto legge è stato pubblicato in G.U. il 23 giugno 2011 e perderà efficacia sin dall’inizio se il Parlamento non provvederà a convertirlo in legge entro 60 giorni dalla sua pubblicazione.

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