venerdì 31 luglio 2009

"Garantire l'assistenza ai clandestini"

L'assessore Rossi scrive ai medici: "Garantire l'assistenza ai clandestini"
L'assessore per il diritto alla salute della Regione Toscana Enrico Rossi ha inviato una lettera ai direttori generali delle Asl, agli operatori e agli ordini per invitarli a continuare a garantire l'assistenza anche agli immigarti clandestini. "Le malattie possono diffondersi e curare tutti significa tutelare la salute di tutti"


“Il 2 luglio u.s. È stato definitivamente approvato dal Senato della Repubblica il disegno di legge (DDL) n.733-b recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”, non ancora in vigore perché in attesa di promulgazione da parte del Presidente della Repubblica e della conseguente pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.

Tenuto conto del dibattito pubblico che si è sviluppato ampiamente sul tema, generando diverse prese di posizione, anche da parte della Federazione Nazionale dell’Ordine dei Medici e degli altri Ordini professionali, ritengo opportuno esprimere l’orientamento di questo Assessorato.

La preoccupazione principale è che, a fronte della situazione di incertezza che si è creata, venga, anche nei casi di necessità, condizionato e reso più difficile l’accesso ai servizi sanitari da parte delle persone immigrate, con conseguente pericolo per la tutela della salute di tutta la popolazione della Toscana, potendo cosi pregiudicare l’interesse generale della collettività.

Occorre, innanzitutto, evidenziare che, per le perplessità e le critiche sollevate anche dalla Regione Toscana, il testo di legge non procede all’abrogazione del comma 5 dell’art.35 del D.Lgs. 286/1998 (TU delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione), lasciando in essere il principio, in forza del quale, “l’accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno, non può comportare alcun tipo di segnalazione all’autorità, salvo i casi in cui sia obbligatorio il referto, a parità di condizioni con il cittadino italiano”. Inoltre, ai sensi, dell’ art.1, comma 22, lett. g) del dettato normativo, è disposta la modifica dell’art.6, comma 2, del D.Lgs. 286/1998, prevedendosi espressamente che per l’accesso alle prestazioni sanitarie non sussistel’obbligo della esibizione agli uffici della pubblica amministrazione dei documenti inerenti il soggiorno.

Da quanto premesso risulta chiaramente che chi deve prestare la propria opera sanitaria è esonerato dal richiedere al cittadino immigrato i documenti inerenti la regolarità del soggiorno e che l’accesso alle strutture sanitarie non può comportare alcun obbligo di segnalazione all’autorità, continuando a garantire al cittadino immigrato le cure e l’assistenza necessarie, nel rispetto dei principi del diritto alla salute della persona.

In merito alla introduzione del reato di clandestinità, quale reato contravvenzionale procedibile d’ufficio, ai dubbi interpretativi connessi e agli eventuali obblighi che deriverebbero a carico dei pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio che venissero a conoscenza del reato in questione nell’esercizio delle loro funzioni, ritengo che ipotizzare che a carico dei soggetti suddetti sussista un vero e proprio obbligo di segnalazione all’autorità determinerebbe una lesione oltre che delle elementari regole di etica e di civiltà di questo Stato, dei principi fondamentali della nostra Carta Costituzionale e dell’ordinamento regionale toscano, nonché dei codici deontologici.

Ricordo i principi fondamentali della nostra Carta Costituzionale e dell’ordinamento regionale toscano, nonché del codice deontologico medico.

L’art. 32 della Costituzione italiana sancisce il principio che: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.(...)”. Lo Statuto della Regione Toscana all’art. 4 recita che la Regione persegue tra le finalità prioritarie: “il diritto alla salute”; “il rifiuto di ogni forma di xenofobia e di discriminazione legata all’etnia, all’orientamento sessuale, e ogni altro aspetto della condizione umana e sociale”.

Il Codice di deontologia medica all'art. 3 prevede che: "Dovere del medico è la tutela della vita, della salute fisica e psichica dell'uomo e il sollievo della sofferenza nel rispetto della libertà e della dignità della persona umana, senza distinzioni di età, di sesso, di etnia, di religione, di nazionalità, di condizione sociale, di ideologia, in tempo di pace e in tempo di guerra, quali siano le condizioni istituzionali o sciali nelle quali opera. La salute è intesa nell'accezione più ampia del termine, come condizione cioè di benessere fisico e psichico della persona". Ed ancora, il Codice deontologico all'art. 10 prevede che: "Il medico deve mantenere il segreto su tutto ciò che gli è confidato o di cui venga a conoscenza nell 'esercizio della professione (...). Il medico deve informare i suoi collaboratori dell'obbligo del segreto professionale (...). La rivelazione è ammessa ove motivata da una giusta causa, rappresentata dall'adempimento di un obbligo previsto dalla legge (...)".

Occorre evidenziare, infine, che il giuramento professionale impone al medico di osservare "le norme deontologiche che regolano l'esercizio della medicina e quelle giuridiche che non risultano in contrasto con gli scopi della professione". Pertanto, sarà cura di questo Assessorato, nella convinzione che sia impossibile imporre agli esercenti le professioni sanitarie e quelle sociali la violazione dei diritti fondamentali dell'individuo e dei principi normativi ed etico-deontologici che sorreggono la professione, approfondire, anche in collaborazione con gli Ordini professionali interessati, la tematica in questione e, conseguentemente, percorrere tutte le vie giuridiche e politiche consentite dall'ordinamento per garantire la tutela della salute individuale e collettiva e per sostenere pienamente la scelta operata dal medico.

Tanto premesso, desidero invitare tutti Voi a proseguire in assoluta tranquillità nella Vostra opera di garanzia della abituale assistenza e cura, che il nostro SSR ha sempre garantito, a favore di tutti gli individui presenti sul territorio toscano, senza distinzione alcuna, invitando espressamente la popolazione immigrata a continuare ad avvalersi della assistenza sanitaria fornita dalla Regione Toscana.

Cordiali saluti
Enrico Rossi"

sabato 18 luglio 2009

RIUNIONE NAZIONALE ANTIRAZZISTA


SABATO 25 LUGLIO 2009 A ROMA dalle ore 10.00 alle 15.00
Via Giolitti 231

I diritti e le condizioni di vita dei cittadini e delle cittadine immigrati sono al centro di un grave e sempre più violento attacco da parte del governo Berlusconi, non a caso nuove iniziative legislative peggiorative (dopo la Bossi-Fini e il famigerato “pacchetto Sicurezza” aggravano la crisi sociale, lavorativa ed economica.

In questi tempi di dura crisi, un nuovo vento di xenofobia e intolleranza colpisce in particolare le comunità migranti.

A 20 anni dall’omicidio di Jerry Masslo e dalla prima grande manifestazione antirazzista che ne scaturì, i problemi che avevamo allora di fronte restano irrisolti e moltiplicati.

Di fronte alla drammatica situazione che è sotto gli occhi di tutti, riteniamo necessario dare una risposta, al più presto, e nella forma più estesa e unitaria possibile.

Per questo ci rivolgiamo a tutte le realtà, che in questi anni si sono impegnate sul terreno dell’antirazzismo, dell’affermazione dei diritti e della convivenza civile affinché ci si possa incontrare SABATO 25 LUGLIO A ROMA dalle ore 10.00 alle 15.00 in via Giolitti 231, per riflettere e discutere insieme sull’idea di una possibile grande mobilitazione nazionale da organizzare nel prossimo autunno.


Promuovono:

Unione Cittadini Immigrati Roma - Comitato Immigrati in Italia (Roma) - Centro sociale Ex Canapificio Caserta – Movimento Migranti e Rifugiati Caserta - Migrantes Y Familiares MFAM – Comitato Immigrati in Italia (Napoli) – Collettivo Immigrati Auto-Organizzati Torino - Ass. Dhuumcatu - Lega Albanesi Illiria – Ass. Filippini Roma – Ass. Sunugal Milano - Ass Insieme per la Pace - Ass Mosaico Interculturale (Monza-Brianza) – Federazione Senegalesi della Toscana - Ass. FOCSI (Roma) - Ass. Bangladesh (Roma) - Ass. Pakistan (Roma) Ass. Indiani (Roma) - El Condor (Roma) - Uai (Como) - Centro delle culture (Milano) – Ass. Punto di partenza (Milano) - Movimento lotta per la casa (Firenze) - Ass. El Mastaba (Firenze) - Ass. Arcobaleno (Riccione) - FAT (Firenze) – Ass. Interculturale Todo Cambia (Milano) - Studio 3R di mediazione (Milano) - Centro delle culture (Firenze) – Federazione Nazionale RdB-CUB – SdL intercategoriale – Confederazione Cobas - Naga – Coordinamento Migranti Verona - Sportello Immigrati RdB Pisa - Missionari Comboniani Castelvoturno – Piero Soldini (responsabile dipartimento immigrazione CGIL) – Arci – PRC - Ass.ne Razzismo Stop e ADL-Cobas – Federazione delle chiese Evangeliche in Italia – Sinistra Critica

LA LETTERA DI NAPOLITANO

Roma, 15 luglio 2009

Ho oggi promulgato la legge recante “Disposizioni in materia di pubblica sicurezza” approvata il 2 luglio scorso.

Ho ritenuto di non poter sospendere in modo particolare la entrata in vigore di norme – ampiamente condivise in sede parlamentare – che rafforzano il contrasto alle varie forme di criminalità organizzata sia intervenendo sul trattamento penitenziario da riservare ai detenuti più pericolosi (art. 2 commi 25 e 26) sia introducendo più efficaci controlli e sanzioni per le condotte di infiltrazione mafiosa nelle istituzioni e nella economia legale (art. 2 commi 2, 20, 22, 29-30). Non posso tuttavia fare a meno di porre alla vostra attenzione perplessità e preoccupazioni che, per diverse ragioni, la lettura del testo ha in me suscitato.

Il provvedimento trae origine dal disegno di legge presentato dal Governo in Senato il 3 giugno 2008, dopo che, per l’assenza dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza oltre che per la natura dei temi trattati, si era convenuto che alcune sue significative disposizioni non potevano essere inserite nel decreto legge – sempre in tema di sicurezza – emanato qualche giorno prima (decreto legge 23 maggio 2008, n. 92). Gli originari 20 articoli del disegno di legge divennero però ben 66 nel testo licenziato dall’Assemblea del Senato il 5 febbraio 2009 venendo poi accorpati in 3 attraverso la presentazione di “maxi-emendamenti” sui quali il Governo appose la questione di fiducia alla Camera : fiducia ottenuta il 14 maggio 2009 e poi nuovamente apposta al Senato sul medesimo testo per la definitiva approvazione del 2 luglio.

I tre articoli della legge si compongono ora, rispettivamente, di 32, 30 e 66 commi. Con essi si apportano modifiche o integrazioni a 43 disposizioni del codice penale, a 38 disposizioni del testo unico sulla immigrazione, a 16 disposizioni dell’ordinamento penitenziario e ad oltre circa 100 disposizioni inserite nel codice di procedura penale, nel codice civile e in 30 testi normativi complementari o speciali.

A spiegare il ricorso a una sola legge per modificare o introdurre disposizioni inserite in molti disparati corpi legislativi, tra i quali anche codici fondamentali, è stata la convinzione che esse attenessero tutte al tema della “sicurezza pubblica” nella sua accezione più ampia, funzionale all’intento di migliorare la qualità della vita dei cittadini rimuovendo situazioni di degrado, disagio e illegalità avvertite da tempo.

Dal carattere così generale e onnicomprensivo della nozione di sicurezza posta a base della legge, discendono la disomogeneità e la estemporaneità di numerose sue previsioni che privano il provvedimento di quelle caratteristiche di sistematicità e organicità che avrebbero invece dovuto caratterizzarlo.

In altre occasioni, ho rilevato pubblicamente (rivolgendomi alle “alte cariche dello Stato”, a partire dal dicembre 2006), come provvedimenti eterogenei nei contenuti e frutto di un clima di concitazione e di vera e propria congestione sfuggano alla comprensione della opinione pubblica e rendano sempre più difficile il rapporto tra il cittadino e la legge. Ritengo doveroso ribadire oggi che è indispensabile porre termine a simili “prassi”, specie quando si legifera su temi che – come accade per diverse norme di questo provvedimento – riguardano diritti costituzionalmente garantiti e coinvolgono aspetti qualificanti della convivenza civile e della coesione sociale. E’ in giuoco la qualità e sostenibilità del nostro modo di legiferare.

D’altronde è stato un organismo svincolato da ogni posizione di parte – il Comitato per la legislazione della Camera – a segnalare concordemente, nell’esaminare il disegno di legge in questione, nella seduta del 29 aprile 2009, che alcune disposizioni non rispondevano alle esigenze di “semplificazione della legislazione” ; altre non erano conformi alle esigenze di “coerente utilizzo delle fonti” ; altre adottavano “espressioni imprecise ovvero dal significato tecnico – giuridico di non immediata comprensione” o si sovrapponevano ad altre già vigenti ; altre, ancora, erano carenti sotto il profilo “della chiarezza e della proprietà della formulazione” (il richiamo è da intendersi ora all’art. 1 comma 28, all’art.3 commi 56 e 58, all’art. 2 comma 25 lett. f ) n. 3 e, infine, all’art. 3 commi 3,6 e 14). Ma tali stringenti osservazioni sono cadute nel vuoto.

In proposito, mi limito ad aggiungere che solo in casi eccezionali può tornarsi a legiferare sull’identico tema dopo brevissimo tempo ampliando l’area di applicabilità di istituti processuali, modificando fattispecie criminose o collocando altrove le stesse previsioni (come invece accade tra l’altro, per le disposizioni dell’art. 1 commi 2-5,14,26 e per quelle dell’art. 2 commi 21-22 e 27) ; così come appare contraria ai principi cardine di una corretta tecnica legislativa la circostanza che la modifica della stessa norma e dello stesso comma (art. 16 comma 1 del d.lgs. 286/1998) venga effettuata (come qui accade) in due diverse parti dello stesso provvedimento (art. 1 comma 16 lett. b ) e art. 1 comma 22 lett. o ).

La formulazione, la struttura e i contenuti delle norme debbono poter essere “riconosciuti” ( Corte costituzionale n. 364 del 1988 ) sia da chi ne è il destinatario sia da chi deve darvi applicazione. Il nostro ordinamento giuridico risulta seriamente incrinato da norme oscuramente formulate, contraddittorie, di dubbia interpretazione o non rispondenti ai criteri di stabilità e certezza della legislazione : anche per le difficoltà e le controversie che ne nascono in sede di applicazione.

Sulla base di quanto esposto, aggiungo di aver ravvisato nella legge anche altre previsioni che mi sono apparse – sempre a titolo esemplificativo – di rilevante criticità e sulle quali auspico una rinnovata riflessione, che consenta di approfondire la loro coerenza con i principi dell’ordinamento e di superare futuri o già evidenziati equivoci interpretativi e problemi applicativi.

Mi riferisco alle disposizioni che hanno introdotto il reato di immigrazione clandestina (art. 1 commi 16 e 17). Esso punisce non il solo ingresso, ma anche il trattenimento nel territorio dello Stato. La norma è perciò applicabile a tutti i cittadini extracomunitari illegalmente presenti nel territorio dello Stato al momento della entrata in vigore della legge. Il dettato normativo non consente interpretazioni diverse : allo stato, esso apre la strada a effetti difficilmente prevedibili.

In particolare, suscita in me forti perplessità la circostanza che la nuova ipotesi di trattenimento indebito non preveda la esimente della permanenza determinata da “giustificato motivo”. La Corte costituzionale ( sentenze n. 5/2004 e n. 22/2007 ) ha sottolineato il rilievo che la esimente può avere ai fini della “tenuta costituzionale” di disposizioni del genere di quella ora introdotta.

L’attribuzione della contravvenzione di immigrazione clandestina alla cognizione del giudice di pace non mi pare poi in linea con la natura conciliativa di questi e disegna nel contempo, per il reato in questione, un “sottosistema” sanzionatorio non coerente con i principi generali dell’ordinamento e meno garantista di quello previsto per delitti di trattenimento abusivo sottoposti alla cognizione del tribunale. Per il nuovo reato la pena inflitta non può essere condizionalmente sospesa o “patteggiata”, mentre la eventuale condanna non può essere appellata.

Le modifiche apportate dall’art. 1 comma 22 lett. m ) in materia di espulsione del cittadino extracomunitario irregolare, determinano – a ragione di un difettoso coordinamento normativo – il contraddittorio e paradossale effetto di non rendere più punibile (o al più punibile solo con un’ammenda) la condotta del cittadino extracomunitario che fa rientro in Italia pur dopo essere stato materialmente espulso. La condotta era precedentemente punita con la reclusione da uno a cinque anni.

L’art.1 comma 11 introduce una fattispecie di tipo concessorio per l’acquisto della cittadinanza da parte di chi è straniero e contrae matrimonio con chi è italiano. La norma non individua però i criteri in base ai quali la concessione è data o negata e affida qualsiasi determinazione alla più ampia discrezionalità degli organi competenti.

Tra le modifiche apportate al codice penale, si osserva in particolare che l’art. 3 comma 27 vieta di effettuare il giudizio di equivalenza o prevalenza tra alcune circostanze aggravanti del reato di rapina ed eventuali circostanze attenuanti. Le aggravanti del reato di rapina sono le stesse previste per quello di estorsione che, rispetto al primo, è punito più gravemente. La norma che impedisce il bilanciamento delle aggravanti non è però richiamata per la estorsione, con la irragionevole conseguenza che, per il delitto più grave, è consentito “neutralizzare” l’aumento sanzionatorio derivante dalla presenza delle circostanze. In via generale, comunque, i ripetuti e recenti interventi legislativi che hanno derogato al principio della bilanciabilità tra aggravanti a effetto speciale e attenuanti (art. 69 c.p.), sembrano ormai imporre una disciplina che regoli in modo uniforme l’intero sistema, razionalizzandolo e semplificandolo.

L’art. 1 comma 8, che ha reintrodotto il delitto di oltraggio stabilisce una singolare causa di estinzione del reato collegata al risarcimento del danno. La causa di estinzione è concettualmente incompatibile con i delitti che, come l’oltraggio, rientrano tra quelli contro la pubblica amministrazione.

Ai commi da 40 a 44, l’art. 3 stabilisce che i sindaci possono avvalersi della collaborazione di associazioni tra cittadini per segnalare alle forze di polizia anche locali eventi che possano arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni di disagio sociale. Essendo affidata non alla legge ma a un successivo decreto del Ministro dell’interno la determinazione degli “ambiti operativi” di tali disposizioni, appare urgente la definizione di detto decreto in termini di rigorosa aderenza ai limiti segnati in legge relativamente al carattere delle associazioni e al compito ad esse attribuito. Da ciò dipenderà la riduzione al minimo di allarmi e tensioni nell’applicazione della normativa in questione, anche sotto il profilo dell’aggravio che possa derivarne per gli uffici giudiziari.

Anche in rapporto all’innovazione sancita nei commi 40-44 dell’art. 3, va considerato il comma 32 dello stesso articolo, secondo il quale spetterà al Ministro dell’Interno stabilire “le caratteristiche tecniche degli strumenti di autodifesa”, con particolare riferimento alla nebulizzazione di un determinato principio attivo naturale, ovvero all’uso di uno spray al peperoncino. Il rischio da scongiurare è che si favorisca la delinquenza di strada o comunque si indebolisca la prescrizione che le associazioni, di cui al comma 40, debbano essere formate da “cittadini non armati”. Peraltro è da rilevarsi che, stando ai principi affermati dalla giurisprudenza, il porto dello spray potrebbe restare sempre vietato a norma dell’art. 4 della legge 110/1975.

Al Presidente della Repubblica non spetta pronunciarsi e intervenire sull’indirizzo politico e sui contenuti essenziali di questa come di ogni legge approvata dal Parlamento : essi appartengono alla responsabilità esclusiva del governo e della maggioranza parlamentare. Il Presidente della Repubblica non può invece restare indifferente dinanzi a dubbi di irragionevolezza e di insostenibilità che un provvedimento di rilevante complessità ed evidente delicatezza solleva per taluni aspetti, specie sul piano giuridico. Di qui le preoccupazioni e sollecitazioni contenute nella mia presente lettera, e rivolte all’attenzione di questo governo nello stesso spirito in cui mi sono rivolto - dinanzi a distorsioni nel modo di legiferare, ad esempio in materia di bilancio dello Stato - al precedente governo, e nello stesso spirito in cui auspico ne tengano conto tutte le forze politiche che si candidino a governare il paese.

La lettera di Napolitano sarà pure irrituale ma è importante

di Nicolò Zanon
17 Luglio 2009

Giorgio Napolitano, ha accompagnato la sua firma in calce al ddl sicurezza esprimendo però numerosi rilievi e chiedendo al governo una nuova riflessione soprattutto su immigrazione e ronde. Che si tratti di una lettera irrituale, è difficile non riconoscere. Il Capo dello Stato ha a disposizione, come ha sostenuto l’ex presidente del Senato, Marcello Pera, due possibilità, la promulgazione o il rinvio. La “promulgazione con rilievi” suscita serie perplessità, che la stessa dottrina costituzionale ha già espresso in passato, in riferimento ad analoghe iniziative del Presidente Ciampi (cfr. A. Ruggeri, Verso una prassi di leggi promulgate con “motivazione”…contraria? – in www.forumcostituzionale.it, 1 luglio 2002)”. Le stesse prese di posizione a favore dell’iniziativa del Capo dello Stato – come quella del Presidente della Camera – ne confermano, se lette in contro-luce, l’irritualità, perché lodando l’incisività “politica” dei rilievi contenuti nella lettera ne mettono in involontaria evidenza l’apparente invasione di ambiti riservati all’indirizzo politico di Governo e maggioranza.  
Cercherei, tuttavia, di non confinare l’importanza delle questioni istituzionali che la lettera pone nell’alternativa secca che queste considerazioni sembrano imporre. Nessuno, credo, intende avviare la nostra forma di governo verso un presidenzialismo “di fatto”, che si nutra, ad esempio, di una compartecipazione del Capo dello Stato alle scelte del legislatore. Scelte di questa importanza non si fanno in via di fatto, ma consapevolmente, attraverso revisioni costituzionali esplicite.
Non sembri allora paradossale, o un mero tentativo di minimizzare il rilievo della lettera, per ragioni tattiche, quanto ora sostengo: forse non è incongruo suggerire che quella di Napolitano è un’iniziativa che, a ben vedere, non contrappone un indirizzo politico “presidenziale” a quello di Governo e maggioranza, bensì suggerisce all’indirizzo politico governativo le opportune strade per non deviare dai suoi obbiettivi veri (e del tutto legittimi). Molti dei rilievi presidenziali evidenziano irragionevolezze intrinseche e contraddizioni interne delle norme, rispetto agli scopi perseguiti dallo stesso Governo. La lettera è indirizzata al Presidente del Consiglio e ai Ministri dell’Interno e della Giustizia, non ovviamente ai Presidenti delle Camere, come nel caso del rinvio. Il dato è significativo e non va lasciato cadere. Non si vuole arrivare a dire che si tratta di un aiuto al Governo, e di un sostegno alla sua azione. Ma la promulgazione c’è stata. Solo che il Presidente non poteva non rilevare che alcune scelte aprono seri problemi e gravi contraddizioni normative.
So bene che parti della magistratura militante sono già “di prontezza”, e non aspettano che l’occasione per irrobustire, con parti della lettera di Napolitano, le loro scontate ordinanze di rimessione alla Corte costituzionale. Ma questa è una ragione in più per cogliere in fretta i rilievi del Presidente e correggere il tiro, tagliando le unghie a chi intende smontare per via giudiziaria le scelte della maggioranza. Il Governo, del resto, l’ha già detto. Un’ultima cosa: se questo adeguamento dovesse condurre a qualche litigio con le posizioni della Lega, ebbene, sarebbe ora di far comprendere a questi amici che le loro stesse scelte di fondo avrebbero solo da guadagnare da maggiore attenzione e rigore nella redazione dei testi legislativi.
L'Occidentale 15/lug/2009‎

Ronde, ecco le regole del Viminale: non più di 3, disarmati e incensurati


I volontari devono avere più di 25 anni, non potranno essere armati e dovranno figurare in appositi registri nelle prefetture. Bando a chi tentasse di dare voce a partiti o tifoserie


ROMA, 17 luglio 2009 - SOLO L’ALTRO IERI il Quirinale aveva individuato nella mancanza di «limiti» e «competenze» l’aspetto problematico delle ronde. Ieri il Viminale, che sta mettendo a punto le regole del provvedimento tanto discusso, ha subito provveduto a far trapelare quali saranno i paletti imposti ai volontari della sicurezza nelle città.
E l’effetto placebo alle sferzate di Giorgio Napolitano non è nemmeno nascosto. Tanto che il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, ha commentato: «Il regolamento è un ottimo testo, fugherà tutti i timori». Del resto, dopo la lettera che Napolitano ha riempito di rilievi al pacchetto sicurezza, anche Berlusconi ha scelto di gettare acqua sul fuoco. «Con il Capo dello Stato — rassicura — ci diciamo tutto, c’è un rapporto positivo... terremo conto delle sue osservazioni».
La carota ha vinto sul bastone anche nei confronti di Gianfranco Fini, che ha definito «politicamente incisiva» la lettera del Colle. Quel «avvieremo una riflessione» era indirizzato anche all’ex leader di An. Intanto, il Viminale ha approntato le regole sulle ronde.
Ecco i limiti principali: non potranno essere formate da più di tre persone, che dovranno essere incensurate e avere più di 25 anni. Bando a chi tentasse di dare voce a partiti o tifoseri. I volontari della sicurezza, poi, non potranno essere armati e dovranno figurare in appositi registri nelle prefetture.
m. c.
Il Resto del Carlino 16/lug/2009‎

Sicurezza, Napolitano promulga la legge. Dubbi su ronde e clandestini

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha promulgato la legge sulla sicurezza. Nel promulgarla, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sottolinea tuttavia che «suscita perplessità e preoccupazioni l'insieme del provvedimento che, ampliatosi in modo rilevante nel corso dell'iter parlamentare, risulta ad un attento esame contenere numerose norme tra loro eterogenee, non poche delle quali prive dei necessari requisiti di organicità e sistematicità».

Palazzo Chigi esprime "soddisfazione e apprezzamento per la promulgazione" e in un comunicato sottolinea che "le considerazioni del capo dello Stato saranno valutate attentamente" e che "si terrà conto delle notazioni e dei suggerimenti" di Napolitano "già a partire dalla prima applicazione della legge".


  Non erano un mistero le forti riserve di Giorgio Napolitano sul pacchetto sicurezza. Erano note, fin dalla sua gestazione. Riguardavano lo spirito e in particolare le 'rondè e il reato di immigrazione clandestina, e anche l'accozzaglia di provvedimenti, e poi i maxi-emendamenti approvati con il voto di fiducia. Ma alla fine il capo dello Stato ha deciso di promulgare la legge. Lo ha fatto per non ritardare l'applicazione delle nuove norme antimafia, che giudica positivamente.

 Ma con una lettera al governo e ai presidenti delle Camere ha espresso motivi di «perplessità e di preoccupazione» sulle altre parti, segnalando incongruenze e sollecitando numerosi correttivi. Il governo si è rallegrato per la promulgazione e ha promesso che terrà conto delle osservazioni di Napolitano.  Prima di essere sottoposto alla firma del capo dello Stato, il provvedimento è stato passati ai raggi x dagli uffici del Quirinale.

Nella sua lettera, Napolitano dà conto del risultato del puntiglioso esame, fa una impressionante elencazione delle incoerenze introdotte nella legislazione penale, chiede che si interrompa la prassi dei «provvedimenti eterogenei» e un modo di legiferare «frutto di un clima di concitazione e di vera e propria congestione» che «mette in giuoco la qualità e la sostenibilità del nostro modo di legiferare», che si tenga conto delle osservazioni tecnico-giuridiche degli esperti e del Comitato per la legislazione che pur esiste alla Camera e 'le cui stringenti osservazioni sono cadute nel vuoto«.  Sono parole pesanti ma ben soppesate quelle di Napolitano che contesta, in generale, »la disomogeneità e la estemporaneità di numerose previsioni che privano il provvedimento di quelle caratteristiche di sistematicità e organicità che avrebbero invece dovuto caratterizzarlo«, che hanno contraddetto il principio per cui in materia penale solo in casi eccezionali si corregge una legge »dopo brevissimo tempo«, che hanno prodotto norme difficili da capire per i cittadini e per chi deve applicarle.

"Auspico una rinnovata riflessione", dice Napolitano, per »superare futuri o già evidenziati equivoci interpretativi e problemi applicativi".  Il primo di questi problemi, dice, riguarda il reato di immigrazione clandestina che »apre la strada a effetti difficilmente prevedibili« mettendo fuorilegge in modo inequivocabile, subito tutti gli extracomunitari senza permesso di soggiorno, (comprese le centinaia di migliaia di badanti) e senza prevedere alcun »giustificato motivo«, come chiede di
fare la Corte Costituzionale. Inoltre non funziona la competenza affidata al giudice di pace, e la nuova normativa di espulsione
produce l'effetto »contraddittorio e paradossale« che chi sia stato espulso se rientra incorrerà solo in una multa. Altri pasticci riguardano il bilanciamento di attenuanti e aggravanti nei processi penali, il reato di oltraggio. 

Sulle 'rondè Napolitano ricorda che sono stati fissati limiti molto rigorosi e chiede al ministro dell'Interno di emanare con urgenza un severo decreto regolatore  per »ridurre al minimo allarmi e tensioni e anche aggravio per gli uffici giudiziari, e anche per impedire che il tanto decantato spray al peperoncino, che è stato legalizzato, «favorisca la delinquenza di strada» diventando un'arma non contestabile.   Non tocca a me pronunciarmi o intervenire sull'indirizzo politico nè sui contenuti delle leggi, conclude Napolitano, ma «il presidente della Repubblica non può restare indifferente dinanzi a dubbi di irragionevolezza e di insostenibilità che un provvedimento di rilevante complessità ed evidente delicatezza solleva per taluni aspetti specie sul piano giuridico. Di qui le preoccupazioni e sollecitazioni contenute nella presente lettera, e rivolte all'attenzione di questo governo nello stesso spirito in cui mi sono rivolto, dinanzi a distorsioni nel modo di legiferare, ad esempio, in materia di bilancio dello Stato, al precedente governo, e nello stesso spirito in cui auspico ne tengano conto tutte le forze politiche che si candidino a governare il paese».

Duro il commento di Antonio Di Pietro, leader idv, che dal Transatlantico lancia l'ennesimo attacco al Quirinale, innescando una nuova lite col Pd: "Il presidente Napolitano doveva rinviare la legge sulla sicurezza alle Camere, anzichè esprimere lamenti che sono solo grida al vento". Di Pietro ha coninuato:  "Esprimo profondo dolore per questa continua titubanza del presidente della repubblica nel prendere in mano la situazione e soprattutto nell'affrontare i compiti che la costituzione gli impone. Se è vero come è vero che Napolitano aveva dei dubbi sulla coerenza costituzionale delle norme sulla sicurezza, il suo compito era quello di rinviare il testo alla Camera. il suo lamento dopo aver firmato il provvedimento è come un grido al vento, che ammanta di ipocrisia la scelta compiuta su una legge che meritava di essere espulsa dall'ordinamento".

Le parole di Di Pietro, in linea con il crescendo di attacchi che il leader dell'Idv ha rivolto al Quirinale, provocano la reazione del Pd, che considera l'uscita dell'ex pm un'esercitazione di irresponsabile demagogia.  «Ormai è una costante ma non per questo è meno grave - attacca Vannino Chiti, vicepresidente del Senato -  l'on. Di Pietro è solito fare opposizione politica, attaccando il Presidente della Repubblica. Giorgio Napolitano rappresenta, in un momento di crisi e di distacco dei cittadini dalla politica, un punto di riferimento serio, solido e autorevole». «Vorrei poter dire che l'on. Di Pietro non conosce la Costituzione, ma non è cosi: semplicemente pratica una facile e irresponsabile azione di demagogia -conclude- Picconare le istituzione non è mai servito a migliorarle nè a rafforzare la democrazia».

"Le parole del presidente della Repubblica sul disegno di legge sulla sicurezza confermano le preoccupazioni che noi avevamo per lungo tempo espresso nel corso del dibattito parlamentare e avremmo voluto che fossero ascoltate e valutate con più attenzione da parte del governo e della maggioranza. Si è invece proceduto a colpi di fiducia, anche per tacitare riserve e dissensi presenti all'interno della maggioranza". Lo affermano gli esponenti del Pd Lanfranco Tenaglia e Marco Minniti. "Questa iniziativa forte del presidente della Repubblica non può e non deve essere ignorata dal presidente del Consiglio e del governo. La via maestra è che il governo assuma l'iniziativa di tornare in Parlamento per affrontare e risolvere la questione aperta dal presidente della Repubblica. Per quanto ci riguarda, se il governo seguirà questa strada, non mancherà la nostra attenzione e la nostra cooperazione. Nel caso contrario saremo noi a presentare appositi disegni di legge in Parlamento".

Guglielmo Epifani, intanto, parlando ai 1200 delegati all'assemblea programmatica di Chianciano, ha annunciato che "la Cgilmetterà in atto tutti gli strumenti tesi a una sua correzione e a impedirne gli effetti più nefasti» e lo farà in primo luogo «interpellando la corte costituzionale e la corte di giustizia europea», soprattutto nella parte che riguarda gli immigrati. Tutto a posto, invece, per la maggioranza. "Il presidente Napolitano ha scelto di promulgare il ddl sicurezza, dunque ha ritenuto prevalenti le ragioni a favore della promulgazione rispetto alle perplessità", ha detto il ministro Alfano, mentre il capogruppo Pdl al Senato, Maurizio Gasparri, dice: "Salutiamo con grande favore l'entrata in vigore delle salutari e coerenti norme contenute nel pacchetto sicurezza. Terremo in considerazione talune osservazioni avanzate in proposito, ma a nostro avviso non mutano la realtà: il provvedimento è pienamente conforme in tutte le sue parti all'ordinamento ed ai principi della Costituzione".
L'Unità 15 luglio 2009

L'altolà del Quirinale, Napolitano firma la legge: ma così non va

L'altolà del Quirinale, Napolitano firma la legge: ma così non va
di Paolo Cacace
ROMA (16 luglio) - Le previsioni sono state rispettate. Giorgio Napolitano ha promulgato la legge sulla sicurezza, ma ha accompagnato il ”sì” con una durissima e articolata lettera di cinque pagine al premier, ai ministri Maroni e Alfano e (per conoscenza) ai presidenti delle Camere in cui esprime «perplessità» e «preoccupazioni» per le «criticità» dell’insieme del provvedimento, manifesta dubbi «di irragionevolezza» e d’«insostenibilità» del pacchetto, in particolare per alcuni punti come il reato di immigrazione clandestina e le ronde (per le quali si chiede di definire «compiti» e «limiti») o la questione delle badanti. O ancora: il ruolo del giudice di pace o addirittura l’uso dello spray al peperoncino come autodifesa.

Insomma, il capo dello Stato - pur non ravvisando quei profili d’incostituzionalità che lo avrebbero costretto a rinviare la legge alle Camere - ha voluto formalizzare le molteplici riserve che ha suscitato il ”pacchetto” e ammonire il governo e il Parlamento a porvi rimedio con le opportune correzioni. Nella lettera Napolitano spiega le ragioni d’opportunità che lo hanno spinto a non sospendere l’entrata in vigore delle norme «ampiamente condivise in sede parlamentare» e «volte ad assicurare un più efficace contrasto - anche sul piano patrimoniale e delle infiltrazioni nel sistema economico - delle diverse forme di criminalità organizzata» (leggi anti-mafia).

I rilievi dello staff giuridico del Colle sono molteplici ed articolati. Si parla di un ”pacchetto” «ampliatosi in modo rilevante nell’iter parlamentare» che contiene: 1) «numerose norme tra loro eterogenee non poche delle quali prive dei necessari requisiti di organicità e sistematicità e frutto di concitazione»; 2) «disposizioni di dubbia coerenza con i principi generali dell’ordinamento e del sistema penale vigente». Su tali criticità - spiega la lettera - si richiama l’attenzione del governo per «le iniziative» che riterrà opportuno assumere «anche alla luce che può comportare l’applicazione del provvedimento in alcune sue parti». Sulle misure concrete egli ovviamente non entra poiché al capo dello Stato non spetta pronunciarsi o intervenire sull’indirizzo politico e sui contenuti essenziali delle leggi approvate dalle Camere.

Immediata la risposta di Palazzo Chigi che fa buon viso a cattivo gioco. Esprime «soddisfazione» e «apprezzamento» per la promulgazione e sottolinea che «le considerazioni del capo dello Stato saranno valutate attentamente». Si terrà conto delle notazioni e dei suggerimenti del Quirinale sin dalla prima applicazione della legge. Anche Alfano ringrazia Napolitano: «Valuteremo eventuali modifiche». Chi invece spara a zero contro le ”osservazioni” critiche del Colle è Antonio Di Pietro secondo il quale «Napolitano doveva rinviare la legge alle Camere anziché esprimere lamenti che sono solo grida al vento».

Immediate le reazioni all’esternazione dipietrista. Cesa, segretario Udc: «Di Pietro la smetta di tirare per la giacca Napolitano e dirgli cosa debba o non debba fare». Anche dal Pdl pioggia di critiche. Chiti (Pd) accusa Di Pietro di essere «irresponsabile» e «demagogo». Anna Finocchiaro scrive a Schifani perché convochi una riunione dei capigruppo per avviare una discussione sui temi della nota presidenziale.

Bifronte la reazione della Lega. Maroni telefona a Napolitano per ringraziarlo mentre Brigandì, capogruppo in commissione giustizia, sostiene che «Napolitano non avrebbe dovuto scrivere al premier e al governo ma al Parlamento». Critico nei confronti del Colle è il senatore Pera: «Le parole di Napolitano sono fuori dai poteri che la Costituzione gli assegna».
Il Messaggero.it 16/lug/2009‎

giovedì 16 luglio 2009

ELIMINARE I BAMBINI

A proposito della nostra idea di azioni legali strategiche, guardate NEI LINK questa di gentilini... http://www.youtube.com/watch?v=0XP19KjWL1I



ciao,

martedì 14 luglio 2009

Il sindaco di Verona Tosi condannato per propaganda razzista

Il circolo Pink chiede le sue dimissioni
(12 luglio 2009)
E’ arrivata la condanna definitiva per Flavio Tosi, attuale sindaco di Verona, e per gli altri cinque esponenti della Lega, che nel 2001 avviarono una campagna contro gli zingari. Allora erano i sinti veronesi, sgomberati dall’assessore Fabio Gamba della giunta Sironi. Famiglie che per tutta l’estate di quell’anno vagarono da uno spiazzo all’altro finché il presidente della Sesta Circoscrizione, Luigi Fresco, non accettò di ospitarli in un parcheggio di borgo Venezia. Un’odissea a cui si aggiunse la violentissima (nei toni dei manifesti e delle interviste di allora) campagna della Lega Nord, promossa dall’attuale sindaco. Un’avversione, quella verso la minoranza zingara, sinta o rom che sia, che Flavio Tosi ha anche evidenziato nel suo programma elettorale. Una delle sue promesse, se fosse stato eletto, riguardava appunto la chiusura dei campi rom. Promessa mantenuta. In un recente incontro della Lega alla Gran Guardia il sindaco si è vantato di quella campagna, affermando che riguardava campi abusivi. Falso perché i sinti del quartiere Stadio abitavano in quella zona da più di dieci anni, come testimoniarono al processo anche i dirigenti scolastici della circoscrizione. Il Circolo Pink accoglie questa condanna con vera soddisfazione, ricordando che, tra i firmatari dell’esposto presentato in Procura, c’era uno dei portavoce del Coordinamento laico antirazzista Cesar K., di cui il Pink faceva parte (anche come ospite). Quando l’amministrazione Zanotto diede l’assenso allo sgombero del campo rom de La Rizza, fu la sede del circolo Pink ad accogliere e nascondere (allora i rumeni non erano ancora “comunitari”) nella sua sede le famiglie rom, composte per lo più da donne e bambini. Un atto di disobbedienza in nome dei più deboli, che saremmo pronti a rifare. L’odio di questo sindaco razzista, ora si può finalmente dire, nei confronti delle popolazioni rom e sinte è inaccettabile. Un primo cittadino non può permettersi atteggiamenti razzisti e xenofobi ma certo questo non lo si può pretendere da un leghista rampante, che punta su un elettorato i cui valori dichiarati sono l’egoismo, l’odio, il razzismo, esplicitati quasi sempre con linguaggi particolarmente violenti, salvo poi dichiarare “era una battuta”. Ma questo l’hanno imparato dal nostro presidente del consiglio. Questa sentenza riordina le cose, restituendo dignità a tante persone perseguitate e costrette alla clandestinità. Noi eravamo fra quelli che nel 2001 si opponevano alla raccolta di firme organizzata da Tosi e soci, tra cui un attuale parlamentare (Matteo Bragantini), un assessore comunale (Enrico Corsi), un consigliere comunale nonché vicepresidente della Provincia (Luca Coletto), la sorella del sindaco, Barbara, capogruppo della Lega in consiglio comunale, e il militante Filippi. Ci ricordiamo bene il loro atteggiamento ai “banchetti” di raccolta firme allo stadio mentre spargevano odio fra le persone del mercato. Ora sarebbe bene che Flavio Tosi e gli altri condannati si dimettessero dalle loro cariche istituzionali. Chissà, magari, al pari di altri veronesi in odor di condanna per fatti razzisti, potrebbero impiegare il loro tempo nei servizi sociali oppure nella pulizia della città dai tanti rifiuti ingombranti che vengono abbandonati in giro.
11 luglio 2009

Onu a Italia: chiarimenti su maltrattamenti migranti respinti

L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) ha inviato una lettera al governo italiano chiedendo chiarimenti sul trattamento riservato ad alcuni immigrati respinti in Libia e il rispetto della normativa internazionale sul diritto di asilo.
Lo annuncia una nota dell'agenzia Onu.
La decisione di scrivere al governo italiano segue una serie di colloqui che personale dell'Unhcr ha avuto nei centri di detenzione libici con alcune delle 82 persone respinte all'inizio di luglio, dopo essere state intercettate dalla Marina Militare italiana a circa 30 miglia da Lampedusa.
"Non risulta che le autorità italiane a bordo della nave abbiano cercato di stabilire la nazionalità delle persone coinvolte, né tantomeno le motivazioni che le hanno spinte a fuggire dai propri paesi", dice la nota.
Nel gruppo vi erano 76 cittadini eritrei, di cui 9 donne e almeno 6 bambini. "Sulla base delle valutazioni dell'Unhcr relative alla situazione in Eritrea e da quanto dichiarato dalle stesse persone, appare chiaro che un numero significativo di esse risulta essere bisognoso di protezione internazionale", afferma l'agenzia.
Nel corso dei colloqui, continua la nota, sono state raccolte testimonianze riguardo l'uso della forza da parte dei militari italiani durante il trasbordo sulla motovedetta libica che li ha riportati in terra africana.
In seguito ai maltrattamenti, sei eritrei avrebbero avuto necessità di cure mediche.
Inoltre, denuncia l'Unhcr, "gli stessi individui affermano che i loro effetti personali, fra i quali documenti di vitale importanza, sarebbero stati confiscati dai militari italiani durante le operazioni e non più riconsegnati".
Nei mesi scorsi critiche all'Italia per la politica dei respingimenti sono arrivate da parte del Consiglio d'Europa e dalla Chiesa. Sia L'Unhcr che l'Onu avevano già chiesto un cambiamento di atteggiamento ed espresso preoccupazione.
Dall'inizio di maggio, cioè da quando è stata introdotta la misura, fortemente voluta dal governo, l'Alto Commissariato stima che siano state respinte verso altri paesi almeno 900 persone.

venerdì 3 luglio 2009

COMUNICATO STAMPA

“salviamo la vita dei migranti e salvaguardiamo la Carta costituzionale italiana”

L'onda razzista, xenofoba e discriminatoria che il governo ha sapientemente alimentato, porta l’ennesimo schiaffo all’Italia. Non abbiamo dubbi che le norme del “Pacchetto (IN) sicurezza siano stati concepiti per andare incontro alle richieste di quella parte della cittadinanza italiana, che si ritiene “doc” e guarda con disprezzo chi è diverso. Cioè noi migranti, i rom, i gay, i precari, le donne, ecc… inoltre questa legge apre la porta ai parti “clandestini” e mette a rischio la vita di molte donne migrante.
Con l’approvazione di questa legge, viene negato il principio di eguaglianza sancito dall´art. 3 della Costituzione italiana: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Per questo rivolgiamo un appello al Presidente Giorgio Napiolitano a non firmare questa orrenda legge.






Assemblea Nazionale Immigrati