martedì 26 gennaio 2010

CUB IMMIGRAZIONE: SCIOPERO/MOBILITAZIONE 1 MARZO. ASSEMBLEA 6 FEBBRAIO



MILANO, 6 febbraio 2010 ore 15

Consiglio di Zona 3 – via Sansovino nr. 9
(metro verde Piola, bus 92)

ASSEMBLEA PER INFORMARSI E DISCUTERE SU:

Primo marzo 2010
mobilitazione/sciopero generale
dei lavoratori immigrati e italiani.

Interverrà

Moustapha WAGNE

segretario Coordinamento Migranti Verona

In Francia e il Italia il movimento dei lavoratori immigrati ha promosso per l'1 marzo 2010 una giornata di mobilitazione e di sciopero generale contro lo sfruttamento del lavoro e le condizioni di discriminazione che sopportano i lavoratori immigrati.

Il sistema economico capitalista è sottoposto ad crisi economica è profonda e strutturale. che fa ricadere sui lavoratori, in particolare gli immigrati: privatizzazioni dei servizi pubblici, tagli allo stato sociale, lavoro precario e irregolare, cassa integrazione, licenziamenti.

In Italia, negli ultimi 15 anni, gli interventi di politica economica hanno trasferito 120miliardi di Euro dai salari ai profitti: 7mila euro medie all'anno sono state perse da ogni singolo lavoratore, in attività o in pensione, a favore dei padroni italiani.

In più, il recente “decreto sicurezza” del governo Berlusconi sanziona l'immigrato indocumentato con il reato penale di “clandestinità”, che si aggiunge alla legge Bossi/Fini che colpisce il lavoratore immigrato che, quando perde il lavoro, dopo sei mesi perde anche il permesso di soggiorno: doppiamente discriminato e sfruttato.

In Lombardia gli immigrati sono circa 850mila (su una popolazione di 9.700mila) e lavoratori immigrati sono circa 567mila: manodopera utilizzata e sfruttata nell'agricoltura (15mila), nell'industria (120mila), nell'edilizia (92mila), nel commercio (40mila), nei servizi (300mila).
La reazione disperata degli immigrati che lavoravano a Rosarno, nel settore agro-industriale della Calabria, è stata causata dai gravi atti di violenza cui, da tempo, sono stati fatto oggetto, e dalla diffusa e permanente condizione di estremo ed assoluto sfruttamento cui è sottoposta la forza-lavoro agricola immigrata, attuato dalle imprese che operano in quel settore produttivo, che vogliono assicurarsi, con ogni mezzo lecito ed illecito, la massimizzazione dei loro profitti economici.

Tale reazione è stata presa a pretesto dal Governo Berlusconi per riprendere ed intensificare la campagna discriminatoria contro i lavoratori immigrati (repressione, allontanamento e confinamento nei vari centri per immigrati).

Lottiamo per la regolarizzazione di tutti i lavoratori immigrati indocumentati, per la cittadinanza, per l'estensione dei diritti diritti civili, sociali e politici agli immigrati, per la difesa dei posti di lavoro e contro i licenziamenti, per il diritto alla casa e all'istruzione.

Lavoratori e lavoratrici, italiani e immigrati,

uniti nella lotta comune per la difesa e la conquista dei diritti.

NO al RAZZISMO, NO allo SFRUTTAMENTO!

CUB IMMIGRAZIONE

sede nazionale

viale Lombardia, 20 – Milano

tel. 0270631804

Assemblea nazionale delle realtà migranti ed antirazziste



Comunicato finale



Le drammatiche vicende di Rosarno sono un'espressione dell'offensiva razzista e contro i diritti dei lavoratori in corso nel nostro paese.

L'assemblea solidarizza con le ragioni che hanno spinto gli immigrati di Rosarno a ribellarsi reagendo allo sfruttamento, alla criminialità organizzata e agli attacchi razzisti.

La politica repressiva del Governo colpisce gli immigrati e alimenta xenofobia e razzismo nella nostra società.



Queste vicende rafforzano l'esigenza di costruire una rete permanente di collegamento tra le diverse realtà di migranti e antirazziste sulla base della piattaforma del 17 Ottobre per rendere più stabile e efficace l'iniziativa.

L'asemblea esprime la necessità di articolare territorialmente le mobilitazioni in solidarietà con gli immigrati di Rosarno, impegnandosi a sviluppare prioritariamente iniziative per la libertà degli immigrati e dei rifugiati provenienti da Rosarno ancora rinchiusi nei CIE di Bari e Crotone affinchè sia loro concesso un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

L'assemblea si impegna a sostenerere iniziative e mobilitazioni eventualmente promosse in Calabria, compresa la convocazione di un incontro nazionale da realizzarsi ad Aprile come momento di approfondita riflessione comune.



L'assembela si pronuncia per promuovere una forte campagna di sensibilizzazione antirazzista a partire dal mese di marzo.

Decidiamo, anche in solidarietà con i migranti francesi promotori dello sciopero del 1° Marzo e raccogliendo lo spirito dei promotori del Comitato 1° Marzo, di indire per quella stessa data una giornata di forte mobilitazione nazionale sulla base della piattaforma del 17 Ottobre e in special modo per la regolarizzazione di tutti gli immigrati e il pieno godimento dei diritti di cittadinanza, riconoscendo il valore politico delle lotte dei migranti in particolar modo quando investono il terreno dei rapporti di lavoro.

Ogni realtà territoriale articolerà l'iniziativa attraverso forme diverse compreso lo sciopero là dove se ne presenti la possibilità concreta a partire dai posti di lavoro.

Sosteniamo inoltre l'esigenza di convocare uno sciopero generale sui temi del lavoro migrante.



Ci adoperiamo fin d'ora ad organizzare dal basso un Convegno le cui modaltà e forme saranno discusse nella prossima assemblea.



L'assemblea Nazionale si riconvoca per il 7 Marzo a Roma.



In preparazione della stessa proponiamo che il gruppo di collegamento si riunisca Sabato 20 Febbraio alle ore 10.30 in Via Giolitti 23, Roma



Roma 24 gennaio 2010

L'Assemblea nazionale delle realtà migranti e antirazziste

Rosarno:Un segnale di speranza dopo i giorni dell`orrore

Giuseppe Lavorato da www.terrelibere. org

I nostri compagni morti, i diseredati di Rosarno di sessant’anni orsono, quei braccianti e contadini poveri che con dure lotte occuparono mille ettari di bosco selvaggio e lo trasformarono in fertili giardini , nei giorni della caccia al nero africano e della cacciata dei neri africani , si sono rivoltati nella tomba, per la grave e criminale violenza inflitta a persone umili, povere ed indifese più di quanto lo erano stati loro. Quegli indimenticabili combattenti, che hanno scritto le pagine migliori e più importanti per la crescita sociale e civile di Rosarno, avrebbero certamente bollato l’aggressione selvaggia e criminale sugli immigrati come la pagina più brutta ed indegna della storia del paese.

Ecco perché sono certo che, se fossero ancora vivi e presenti, ringrazierebbero con tutto il loro generoso cuore tantissimi loro nipoti : le ragazze ed i ragazzi che sabato hanno dato vita alla bellissima manifestazione di Rosarno che ha attraversato le più importanti vie cittadine con striscioni e cori contro la ‘ndrangheta e si è conclusa in piazza Giuseppe Valarioti, con gli interventi delle protagoniste principali, la preside del ‘Liceo Piria’ Mariarosaria Russo, Anna Leonardi e Francesca Chiappetta. Camminando dietro di loro e delle numerosissime ragazze presenti, mi sono tornati in mente le grandi lotte del passato, quando, all’arrivo di numerose donne alla testa dei cortei, saltavamo di gioia perchè convinti che la loro combattività avrebbe determinato il successo e la vittoria della lotta. Certo, è ancora solo il primo passo, il cammino verso la meta della libertà dall’oppressione mafiosa è ancora molto aspro, irto di ostacoli e difficoltà.

Nessuno vuole nasconderlo: è necessario studio, riflessione, lavoro sodo e continuo. Ma quello gridato sabato dai giovani manifestanti è un segnale importante, ricco di speranza e di certezza. Nessuno potrà piegare la ferma volontà di futuro delle nuove generazioni generose e pulite di Rosarno e della Calabria. Un futuro senza mafie, violenze e razzismo . Un futuro di lavoro onesto adeguatamente retribuito per tutti, di accoglienza ed integrazione con quanti, molto più sfortunati di noi, arrivano da terre lontane. Questo futuro sarà più vicino ad essere raggiunto , quando i cittadini onesti e laboriosi, che sono la stragrande maggioranza, si stringeranno attorno ai giovani e costituiranno insieme lo strumento capace di abbattere la ‘ndrangheta ed ogni altro ostacolo.

venerdì 22 gennaio 2010

verona

La tragica, recente vicenda di Rosarno allude a due cose, evidentemente.

La prima: all’esistenza di un razzismo di stato diffuso nel nostro paese. Diffuso dalla retorica politica della sicurezza, dagli apprendisti stregoni della paura, quelli che hanno voluto a tutti i costi le ronde spiegandoci che esse sarebbero state volute dalla cittadinanza e organizzate in forme perfettamente legali.

Che la cittadinanza le volesse ben poco, lo dimostra il fatto di come il reclutamento sia andato deserto. Di come i soldi stanziati per esse, a dispetto dei tagli nel frattempo prodotti al sociale, alla scuola e alla cultura, fossero del tutto inutili.

Che cosa siano le ronde che la lega voleva, lo hanno dimostrato le violenze,l’autentico pogrom, scatenato contro i lavoratori migranti nella campagna calabrese. Ci dicevano che solo chi lavora può restare. Bene, i migranti di Rosarno lavoravano, ma questo non li ha sollevati dal fatto di essere oggetto di tiro a segno. Dei colpi di pistola dei razzisti. E delle indegnità sparate dal ministro Maroni. “Troppa tolleranza”, egli ha detto. Forse si augurava che ci scappasse il morto.

La seconda: essa allude a che cosa materialmente sia il lavoro precario in questo paese. Non solo il lavoro schiavile, controllato dalla camorra. Ma il complesso del lavoro invisibile, sfruttato, in nero, in molti casi estorto e non pagato, che colpisce non solo il lavoro agricolo, ma buona parte del lavoro nelle catene dei subappalti.

A Verona, non in Calabria, la vicenda della Finservice ci ha fatto vedere tratti simili. Ancora i lavoratori aspettano di essere pagati per il lavoro regolarmente svolto. E nelle campagne dell’Est veronese abbiamo già avuto modo di denunciare situazioni di sfruttamento e di ricatto in tutto simili a quelle di Rosarno.

Migranti e precari vivono sulla propria pelle la gravità della crisi. Non solo perché perdono il lavoro. Ma perché perdendo il lavoro perdono la casa, non ce la fanno a pagare le rate dei mutui o dei prestiti bancari, cadono vittime di strozzini che non si preoccupano del colore della pelle.

Migranti – che noi preferiamo chiamare nuovi cittadini, anzi cittadini tout court, ma che forse si vogliono considerare migranti a vita e per generazioni- visto che la Gelmini – con l’accordo del centrosinistra- li vuole tenere relegati in una condizione di parziali soggetti scolastici- al 30%- sono trattati come merce, come invisibili animali da lavoro, trattenuti sul limite della cittadinanza e del diritto. Sono crocefissi ad una situazione che rende permanente un transito. Li si vede o come soggetti in ingresso – sul punto di diventare cittadini; sul punto di ottenere contratti a tempo indeterminato – o come soggetti in uscita, da espellersi o da sempre considerati in esubero.

La battaglia che si apre è una battaglia per il “right to stay”. Per il diritto di restare e di essere riconosciuti per quanto migranti e precari producono: ricchezza, valore, una cittadinanza nuova, inaugurata da incomprimibili processi di soggettivazione politica e moltitudinaria.

Riteniamo che sul terreno del lavoro e della scuola, vadano create forme di intreccio tra lotta per la cittadinanza e lotta per il diritto all’istruzione; che una nuova cittadinanza debba formarsi dal basso di lotte condotte in comune per il reddito, i diritti, la dignità; che debba essere riappropriata la ricchezza socialmente prodotta, rifiutandosi di pagare il conto della crisi alle banche già ampiamente sostenute dal governo nonostante fosse stato in esse riconosciuto il detonatore della crisi.

Do you remember Robin Hood? Noi la crisi non la paghiamo. Ed è questa la risposta al razzismo che la vuole far pagare a noi. Che ci tratta come bestie da lavoro, come precari dell’esistenza, che ci priva dei progetti e dei nostri sogni. Ma noi i progetti e i sogni, la vita, la vogliamo, e subito.

Conto tutto questo, contro il razzismo di stato e lo sfruttamento, circa due anni fa proponemmo "Un giorno senza di noi": uno sciopero sociale dei migranti, la loro assenza dai luoghi della produzione formale e informale, dalle agenzie di riproduzione della cittadinanza coloniale, uno sciopero delle badanti e dei bambini, dei soci di cooperativa e degli ambulanti, degli operai e degli operatori dei call centers.

Oggi, se i tempi sono maturi, crediamo che quella giornata possa essere l’atto di ribellione della potenza degli sfruttati, dei migranti, dei precari, l’inizio della nuova cittadinanza.

CITTADINANZA GLOBALE VERONA

Ex Lavoratori Finservice/Mondador i in lotta

Lavoratori Coop Europromos /Università di Verona

Lavoratori della Coop Genius/DHL di Veronella

Anwar- Associazione Algerini di Verona

Hassan Bouabid- Associazione Marocchina Atlas- Consulta Immigrati Verona

DOCUMENTO DELLA RETE MIGRANTI REGGINA

L’“EMERGENZA VENTENNALE” NON E’ ANCORA FINITA
“SCHIAVITU’ DEL MIGRANTE, PRECARIATO E MAFIA:
TRE ANELLI DELLA STESSA CATENA”


A Rosarno come nella Piana di Gioia Tauro e in Calabria esiste una società responsabile che in questi anni si è impegnata sul territorio, spesso in modo silenzioso e fuori dal clamore dei media, e che è intenzionata a dare continuità al proprio operato di sostegno materiale e di analisi delle problematiche.
Rosarno è solo uno degli anelli di una catena ben più complessa, fatta di sfruttamento e di commistione con la criminalità organizzata che da tempo ha esteso il suo controllo anche nella gestione dei flussi migratori, ma la drammaticità dei fatti che hanno visto protagonista questa cittadina è la prova evidente del fallimento delle politiche securitarie e sull’immigrazione portate avanti negli ultimi anni, politiche che hanno prodotto solo degrado, emarginazione, prevaricazioni e razzismo.
La situazione di Rosarno non è nata ieri, dura da vent’anni ed era già ben nota a tutte le istituzioni, nazionali e regionali, incapaci di dare risposta alcuna se non di facciata. La crisi economica e finanziaria ne ha amplificato le enormi contraddizioni, stravolgendo la composizione degli stagionali che annualmente si riversano a Rosarno. Quest’anno, per la prima volta, la maggioranza dei lavoratori era costituita da migranti regolari, più coscienti dei propri diritti e pronti a denunciare i soprusi, sfidando così a testa alta i loro sfruttatori, ma anche la ‘ndrangheta e il suo ordine: una dignità e una fierezza purtroppo ormai rare in una realtà dove la vita sociale e la democrazia politica sono soffocate da un sistema clientelare-mafioso sempre più avvitato e incattivito, garante degli interessi di saccheggio del grande capitale.
Non possiamo sapere se il raid razzista che ha scatenato la risposta degli africani facesse parte di un disegno più complessivo, o se la situazione sia sfuggita di mano a chi ha voluto mandare semplicemente un segnale intimidatorio. Quello di cui siamo certi è che la modalità repressiva con la quale si è intervenuti, rischia di diventare un pericoloso precedente per legittimare future “soluzioni con ogni mezzo” del conflitto che potrebbe esplodere in altre zone ad alto rischio.
In tutta Italia infatti esistono realtà, più o meno degradate, di sfruttamento dell’immigrazione, mancata accoglienza e assenza di integrazione. Quello che è accaduto e che ha portato alla ormai famosa “deportazione degli africani” - soluzione dolorosa ma a nostro parere in quel momento inevitabile per garantire l’incolumità dei nostri fratelli africani, vista la violenta “caccia al negro” scatenatasi a Rosarno e nelle zone limitrofe - non è che l’anticipazione di quello che potrebbe accadere in futuro.
La cosa che temiamo maggiormente è che “l’esportazione” rappresenti un precedente pericoloso per consentire, o peggio ancora legittimare, ulteriori derive populiste con altre provocazioni e conseguenti “ripristini della normalità con ogni mezzo”; temiamo che anziché provvedere alla rilettura ed eventuale modifica della politica sull’immigrazione, viste le ultime dichiarazioni del ministro Maroni, diventi prassi agire solo sugli “effetti” con metodi discutibili.
Tutto ciò sta inoltre permettendo una ulteriore, pericolosa apertura alle culture e alle forze xenofobe e fasciste che si stanno facendo spazio tentando di cavalcare l’ondata di malessere e panico creatasi nella popolazione: se oggi la “caccia al negro” è finita, considerato che gli unici stranieri rimasti a Rosarno sono di “razza bianca”, si è aperta una nuova ondata di “caccia all’amico dei negri” fatta di pressioni e intimidazioni rivolte a chi in questi anni ha supportato i migranti, vivendogli accanto giorno per giorno.
La posizione della cittadinanza, dichiarata anche con l’ultima manifestazione spontanea, purtroppo ha inteso solo ribadire il NO all’etichettamento di Rosarno come città mafiosa e fascista. Cosa ben diversa dal prendere posizione in favore di una politica dell’accoglienza, della tolleranza e dell’integrazione.
Da più parti in questi giorni sono partiti appelli e proposizioni in merito a una mobilitazione nazionale da tenersi a Rosarno: siamo certi, purtroppo, che in questo momento non ci siano le condizioni per effettuare qualunque tipo di iniziativa pubblica a Rosarno che non fosse vissuta dalla popolazione come un intervento estraneo al territorio e a danno della sua cittadinanza, e che una qualunque forzatura in questo senso possa seriamente compromettere una ripresa del necessario lavoro in questo territorio. D’altra parte indire oggi manifestazioni a Rosarno contro la ‘ndrangheta o contro il razzismo, anche con una piattaforma di convocazione la più radicale possibile, potrebbe significare l’adesione e/o la partecipazione di soggettività, politiche e non, in cerca di facile pubblicità o di visibilità per l’imminente campagna elettorale.
In questa fase, perciò, è necessario che si continui a lavorare a Rosarno come in tutta la Calabria, e non solo, per costruire un percorso di crescita comune verso una cultura dell’accoglienza, dell’integrazione e del rispetto dell’altro. Nelle condizioni d'impoverimento e precarietà aggravate dalla crisi in cui versa la Calabria, bisogna riconoscere nei lavoratori africani un prezioso alleato insieme al quale intrecciare percorsi di riscatto sociale ormai inderogabili, pena la compromissione di ogni possibilità del vivere civile in questa terra.
Se per il territorio di Rosarno oggi crediamo che la sola opzione percorribile sia di intensificare l’organizzazione di iniziative relative ai fatti vissuti, alle dinamiche che li hanno prodotti e a tutto ciò che può portarci verso un’alternativa all’esistente (proiezioni, assemblee, dibattiti), riteniamo anche inderogabile preparare un'adeguata risposta di mobilitazione allo schiaffo ricevuto da ogni genuina coscienza democratica. In questo senso, il prossimo consiglio dei ministri convocato nella città di Reggio Calabria è un’importante occasione per un'attivazione delle realtà democratiche e antirazziste della piana di Gioia Tauro e di tutta la regione, per una denuncia politica che individui le gravi responsabilità di tutte le istituzioni senza fare sconti a nessuno.
Ma una risposta forte deve essere data soprattutto a livello nazionale. A questo proposito lo sciopero degli immigrati del primo marzo acquista ancora più importanza, un’occasione forte per contrastare le politiche razziste e securitarie del Governo ma anche le mafie che esercitano il loro potere sulle “tratte degli schiavi”: è nostra intenzione lavorare per costruire per quella giornata una forte mobilitazione anche nella nostra città.
Inoltre riteniamo necessario soprattutto lavorare per creare una piattaforma condivisa e una proposta che possa rappresentare una seria alternativa all’attuale assenza e/o inadeguatezza delle politiche della migrazione in Italia, che consentono l’introduzione di leggi razziste e generatrici di malessere e clandestinità come la Bossi-Fini. Per questo proponiamo per aprile la convocazione degli Stati generali dell’antirazzismo in Calabria, possibilmente a Riace - proprio per ciò che in questo momento il borgo jonico rappresenta non solo in Calabria - come momento di riflessione comune con tutti coloro che si occupano di immigrazione ad ogni livello.

Dopo Rosarno, i migranti di fronte al bivio:


nuove politiche d’accoglienza o pulizia etnica in uno stato di polizia?

Premesso che:

---la presenza dei migranti ed il loro sfruttamento neo-schiavista nelle campagne meridionali ha garantito la sopravvivenza dell’agricoltura

---la presenza dei migranti con l’attuale fase di grave crisi economica sta diventando un comodo pretesto per chi ci governa per innescare fratricide guerre fra poveri, soprattutto nel Sud d’Italia dove la precarietà sta distruggendo il futuro delle nuove generazioni, mentre si continua a smantellare l’apparato produttivo (vedi Fiat a Termini Imprese)

---la presenza dei migranti in Italia produce il 9,7% del Prodotto Interno Lordo, mentre i migranti presenti, compresi gli irregolari sono meno di 5 milioni , usufruiscono per meno dell’8% delle prestazioni Inps; altro che invasione di disperati, i migranti pagano tasse e versano contributi più di quanto ricevano in servizi, mentre percepiscono un salario medio inferiore del 36% rispetto a quello degli italiani.

In questo drammatico contesto o si riesce a rinsaldare i legami di Solidarietà sociale fra gli sfruttati da questo sistema di produzione con una nuova stagione di lotta per i diritti di tutti i lavoratori o si precipita verso la barbarie.

Purtroppo l’attuale politica governativa affronta la questione migrante solo come un problema di ordine pubblico, a partire dai criminali respingimenti in Libia fino alla pulizia etnica a Rosarno. Anziché di riconoscere la coraggiosa lezione dataci dai migranti africani per essersi ribellati contro la camorra a Castelvolturno ed alla ‘ndrangheta a Rosarno, il ministro leghista Maroni per dare tranquillità ai rosarnesi ( non conosceva il dominio delle ‘ndrine locali?) ha deportato tutti i migranti dell’Africa nera, compresi quelli in regola con il permesso di soggiorno.


Fermiamo il razzismo e le nuove politiche d’apartheid


Anche a Catania da alcuni mesi la situazione degli ambulanti, soprattutto senegalesi, sta progressivamente peggiorando. In una città dove l’abusivismo regna sovrano, dove le cosche mafiose controllano territori e settori centrali dell’economia e non solo, i rappresentanti delle istituzioni stanno scegliendo di risolvere la vertenza degli ambulanti senegalesi per via militare, naturalmente per difendere la sicurezza gravemente minacciata dei concittadini.

Dopo le riuscite feste delle contaminazioni “Catania città aperta all’accoglienza” in piazza Carlo Alberto e la manifestazione dello scorso 22 dicembre per denunciare il clima di violenza ed abusi nei confronti degli ambulanti, le associazioni antirazziste catanesi fanno appello alle comunità migranti a non accettare la politica del bastone per gli irregolari e della carota per i regolari.

La divisione e la contrapposizione fra occupati e precari, fra catanesi e migranti, fra regolari ed irregolari non può che rafforzare il potere di chi ci sfrutta. Perché non si persegue chi produce la merce con i marchi contraffatti? Ha pensato qualche fautore della criminalizzazione degli irregolari che così li si spinge verso la ricca ed indisturbata criminalità locale (che forse ha anche interesse nel business della contraffazione dei marchi e che ricicla i suoi profitti in tante attività commerciali formalmente “regolari”)?

Facciamo pertanto appello a tutta la società civile ed ai mezzi di comunicazione a vigilare ed accendere i riflettori su queste ingiustizie, visto che oramai ,nell’Italia delle leggi ad personam, anziché combattere la povertà ci si riduce a far la guerra ai poveri, criminalizzando le vittime e lasciando impuniti i carnefici.

Chi ci governa mentre taglia sempre più le spese sociali, aumenta solo quelle militari e sta dilapidando ingenti risorse pubbliche per militarizzare non solo i confini, ma l’intera società (vedi i violenti sgomberi dei centri occupati Experia a Catania e Laboratorio Zeta a Palermo, luoghi aperti alla socialità ed anche all’accoglienza dei migranti).



La storia siciliana ce l’ha insegnato: emigrare non è reato !

Mai più clandestini, ma cittadini




Rete Antirazzista Catanese, Open Mind, Arci, Cobas, Gas Tapallara

hanno aderito: PRC , PdCI –(Ct)

6 febbraio. Basta con il razzismo. Manifestazione a Brescia

Non vogliamo pagare la crisi
Basta con il razzismo istituzionale

SABATO 6 FEBBRAIO 2010
MANIFESTAZIONE PROVINCIALE
ORE 14.30 P.zza DELLA LOGGIA - BRESCIA


per dire :

no ai provvedimenti razzisti dei Comuni e del Governo
si alle pari opportunità tra tutti i cittadini e le cittadine
no alla tassa per il rinnovo dei permessi di soggiorno
si al trasferimento dei rinnovi dei permessi di soggiorno ai comuni
no al permesso di soggiorno legato al contratto di lavoro
si al permesso di soggiorno senza ricatto
no all'apertura di un Centro d'Identificazione e Espulsione (CIE) a Brescia
si alla regolarizzazione generalizzata dei/delle lavoratori/trici migranti
no all'accordo d'integrazione che prevede l’introduzione del permesso a punti
no al pacchetto sicurezza
si alla sicurezza sociale per tutti


Associazioni Migranti di Brescia e Provincia
per adesioni: 6febbraio.noalrazzi smo@gmail. com

Adesioni: Associazione Diritti per tutti, Coordinamento immigrati Cgil, Radio Onda d’Urto, Sinistra Critica, CSA Magazzino 47, Movimento per la partecipazione- Cittadinecittadini, Assemblea autonoma antirazzista di Castel Goffredo, Lista Liberamente di Villa Carcina, Gruppo Pace e Solidarietà di Villa Carcina, Sinistra Ecologia Libertà, Verdi, Alto Mantovano Antirazzista, Partito della Rifondazione Comunista, SdL Intercategoriale, Unione Atei Agnostici Razionalisti  Circolo di Brescia,  Comitato "Per i diritti civili" di Villa Carcina, Kollettivo studenti in lotta, SLO – Studenti lavoratori Organizzati,
Il razzismo di molte delibere di Comuni come Brescia, Coccaglio, Trenzano, Castelmella, Pompiano, Marcheno, Villa Carcina, insieme ai provvedimenti razzisti del Governo, aggravano notevolmente le condizioni di vita e di lavoro dei migranti. La crisi ci colpisce prima di tutti gli altri, ci rende più precari e perdendo il posto di lavoro ci fa tornare “clandestini”. Il “pacchetto sicurezza” che azzera i diritti elementari dei migranti, la volontà di aprire un Centro di Identificazione ed Espulsione a Brescia, un vero e proprio carcere etnico, sono gli strumenti per sfruttare ancor di più i migranti.
In Francia le associazioni dei migranti hanno indetto uno sciopero dei migranti per il prossimo 1° marzo per far sentire la loro voce e combattere la crisi e il razzismo. E’ un’iniziativa efficace a cui guardiamo con interesse. Dobbiamo mobilitarci, diventare protagonisti del nostro destino di cittadini e lavoratori.

martedì 19 gennaio 2010

STANNO SGOMBERANDO IL LABORATORIO ZETA DI PALERMO!

LA TOLLERANZA ZERO CONTINUA, VERSO GLI STRANIERI, RIFUGIATI O MENO, E VERSO TUTTE QUELLE REALTÀ CHE CON LORO SI APPROPRIANO DI SPAZI D SOPRAVVIVENZA!

QUESTA MATTINA ALLE 9,30 LE FORZE DI POLIZIA HANNO TENTATO D SGOMBERARE IL LABORATORIO ZETA DI PALERMO,LO SGOMBERO è ANCORA IN CORSO E MOLTI CITTADINI SONO PRESENTI Lì PER EVITARE LO SGOMBERO,

MA BISOGNA CHE LA VOCE PASSI E ANCORA PIÙ GENTE VADA A DIFENDERE IL LABORATORIO!

UNA GIORNATA SENZA PERMESSO

Il 31 gennaio 2010 i lavoratori e le lavoratrici migranti e italiani di Bologna si troveranno per dare vita a una GIORNATA SENZA PERMESSO.

Quel giorno per noi la legge Bossi-Fini, il “Pacchetto sicurezza”, il razzismo istituzionale che siamo costretti a vivere ogni giorno sulla nostra pelle non avranno alcun valore. Quel giorno saremo uniti e con la festa, la musica, il ballo, con la presenza dei nostri figli e delle nostre figlie daremo il segno chiaro che la nostra vita non può e non vuole essere schiacciata nelle maglie dello sfruttamento e del silenzio.

Quel giorno prenderemo la parola senza chiedere il permesso. Con i lavoratori, le lavoratrici, i delegati sindacali di Bologna e della provincia, le compagne e i compagni che a Brescia, Milano, Torino, nel basso mantovano e tanti altri che nel resto d’Italia condividono le nostre lotte di ogni giorno, noi diremo chiaramente che non intendiamo accettare la violenza e il razzismo con i quali questo governo sta rispondendo alla crisi. Di questo discuteremo nell’assemblea che avrà luogo alle 15.30, perché vogliamo che da lì parta un percorso nuovo, un percorso di lotta e rivendicazione che vada al di là della solidarietà e delle dichiarazioni di principio.

Sappiamo che la posta in gioco è alta. La deportazione di massa che ha messo fine alle aggressioni ai migranti a Rosarno è solo l’ultimo episodio di una violenza che noi tutti ogni giorno siamo costretti a subire: la violenza dello sfruttamento sfrenato nel regime del “contratto di soggiorno per lavoro” che ci rende la leva attraverso la quale abbattere i diritti di tutti i lavoratori. Il 31 gennaio noi vogliamo mettere al centro il lavoro migrante, per essere all’altezza di ciò che accade in Italia come in tutta Europa. Grazie al primo marzo francese, sempre più sentiamo risuonare la parola d’ordine dello sciopero del lavoro migrante. Da anni sosteniamo che lo sciopero è il certificato di cittadinanza dei migranti. Da anni diciamo che il riconoscimento dei diritti dei migranti passa per la nostra capacità autonoma di sottrarci allo sfruttamento e al razzismo quotidiani. Sappiamo che non è facile. Sappiamo però che lo sciopero è una scommessa politica sulla quale tutti i lavoratori, migranti e italiani, oggi devono puntare. Per questo, con il Coordinamento per lo sciopero del lavoro migrante in Italia siamo parte della campagna generale che sta sostenendo la necessità dello sciopero dei migranti anche in questo paese, e guardiamo oltre il primo marzo. Il 31 gennaio vogliamo parlare anche di una parola d’ordine che deve diventare realtà, per essere la forza dell’antirazzismo di oggi.



Per questo, tutte e tutti siete invitati

il 31 gennaio, dalle ore 10.00 alle ore 20.00, alla

GIORNATA SENZA PERMESSO

del Coordinamento migranti di Bologna e provincia!

In Via Papini 28 (Bus 27)



Programma:



h. 10.00: Cinema dell'ombra e attività per i bambini

h. 13.00: Pranzo con piatti senegalesi, marocchini

(offerti dall’Associazione Hilaldi Barricella) e pachistani

h. 14.00: CONCERTI

LesTouchesLouches-popularswing/ jazz manouche

Gawaa–musica marocchina

h. 15.30:Tavola rotonda:

La crisi non passa, che fine fanno i migranti?

A seguire concerto di Sabàrcon Tamà

con il gruppo senegalese NgoneyNgeuwel



Per informazioni, aggiornamenti del programma, richieste:

coo.migra@yahoo. it Tel. 327 57 82 056, www.coordinamentomi granti.splinder. com

Il Coordinamento Migranti si riunisce tutti i mercoledì alle 19.30

presso XM24, Via Fioravanti 24, Bologna

lunedì 18 gennaio 2010

Comunicato del Coordinamento donne contro il razzismo...

Mai il razzismo in nostro nome!

A Rosarno razzismo istituzionale, razzismo popolare e razzismo dei media si sono fusi insieme, così come da anni sta accadendo in tutta Italia. In più, in questo come in molti altri casi, si sono aggiunti la criminalità organizzata e lo sfruttamento disumano di una manodopera straniera che il "pacchetto sicurezza" rende costantemente ricattabile - con o senza i documenti in regola - e quindi assolutamente priva di diritti.

Il razzismo istituzionale è palese nelle dichiarazioni del Ministro Roberto Maroni che ha incolpato – sembra incredibile! - l'immigrazione clandestina di aver alimentato la criminalità, e ha ribadito la "tolleranza zero", senza nominare l'aggressione subita dai lavoratori immigrati e, più grave ancora, senza denunciare come sarebbe dovere del Ministro dell'Interno) la grave condizione di sfruttamento, illegalità e violenza a cui vengono costretti i giovani africani, e quindi senza punire, con la stessa pervicacia con cui procederà alle espulsioni, alle detenzione e agli arresti degli immigrati, quei datori di lavoro e quei caporali che li costringono a condizioni schiavistiche di vita e di lavoro.

Una parte della popolazione di Rosarno, incitata e fomentata da forze che lo stesso Prefetto di Reggio Calabria definisce "non chiare" e "fuori controllo", ha reagito con violenza, e anche i media hanno veicolato la tesi della "minaccia immigrazione" . Né l'opposizione politica presente in Parlamento ha reagito con la fermezza necessaria alle bugie palesi e al clima di evidente razzismo.

Quasi nessuno ha rilevato che i "fatti di Rosarno" hanno avuto inizio da una denuncia presentata dai lavoratori contro i loro sfruttatori e i caporali – una denuncia coraggiosa e tante volte richiesta, a parole, dalle autorità. Sono passati in second'ordine il fatto che, in pratica, tutta l'economia della zona si basa sulla manodopera "clandestina" che lavora nei campi e nelle piantagioni e il ruolo fondamentale della criminalità organizzata in Calabria.

Noi siamo indignate e atterrite. Il clima nel nostro paese è diventato irrespirabile ed è pervaso da una violenza e un razzismo che rendono possibile persino la "caccia al nero" di antica memoria. Siamo atterrite anche perché in Italia non si esprime una forte coscienza civile e sociale adeguata alla gravità della situazione.

Facciamo nostra la posizione di molti costituzionalisti: abbattere le garanzie dello stato di diritto per gli immigrati, creare un diritto penale speciale, abolire, per loro soltanto, le garanzie dello stato democratico e la protezione sociale, costituisce un imbarbarimento complessivo della nostra convivenza, un nuovo populismo reazionario che, attraverso il controllo dell'informazione e dell'economia, metterà tutti "in riga". Saremo tutti coinvolti, nessuno escluso, lo siamo già oggi.

Gli allarmi sulla sicurezza produrranno leggi e prassi più restrittive, e dunque sempre maggiore "clandestinità ", effetto delle politiche di sbarramento delle frontiere e di criminalizzazione degli immigrati nel territorio nazionale, e questa maggiore diffusione della "clandestinità "determinerà a sua volta un allarme sociale sempre crescente che offrirà altri margini alla speculazione politica ed agli imprenditori della sicurezza… Si avvicina davvero il tempo di denominare il ministero dell'interno come il "ministero della paura".

Noi ci rivolgiamo alle donne, a tutte le donne, chiedendo loro di prendere parola e di lottare per i diritti civili fondamentali che sono indivisibili, per i diritti umani che proprio in Italia vengono calpestati quotidianamente. E a quegli uomini violenti di Rosarno che hanno detto "noi difendiamo le nostre donne dalla violenza dei negri" noi rispondiamo: Mai il razzismo in nostro nome!

Facciamo nostre le richieste immediate delle associazioni degli immigrati e delle associazioni antirazziste: occorre introdurre al più presto meccanismi di regolarizzazione permanente a regime, in modo da fare emergere tutto il lavoro sommerso degli immigrati. Occorre abbreviare drasticamente i tempi burocratici per il rinnovo dei documenti di soggiorno. Si deve rilasciare uno speciale permesso di soggiorno per ricerca lavoro a quegli immigrati che denunciano il datore di lavoro "in nero". Tutti i richiedenti asilo dovranno avere accesso alla procedura per il riconoscimento di uno status di protezione internazionale, o di protezione temporanea, e quanti hanno ricevuto un primo diniego devono essere posti nelle condizioni di restare in Italia fino all'esito definitivo del ricorso. Il sistema di accoglienza per loro previsto va potenziato e rifinanziato per non costringere chi è fuggito da guerre e persecuzioni alla "sopravvivenza animale" nella quale si sono trovati gli immigrati nelle campagne di Rosarno e non solo.

Coordinamento Donne contro il Razzismo
Casa Internazionale delle Donne

Dal CiE di Lamezia Terme

La rete antirazzista, composta da esponenti di Cosenza e Lamezia, si è recata, in delegazione, presso il CIE di Lamezia Terme dove sono detenuti dieci migranti provenienti dal campo di Crotone dove erano stati portati a seguito delle tristi vicende di Rosarno. Lo scopo della visita era quello di constatare le loro condizioni in modo da offrire supporto legale oltre che solidarietà e vicinanza da parte delle realtà di movimento della Calabria. La delegazione accompagnata dall’Onorevole Cesare Marini ha incontrato numerose difficoltà per entrare all’interno del CIE, è stata, infatti, negata la possibilità ad esponenti della rete e a personale legale di entrare; addirittura lo stesso Onorevole è stato lasciato entrare, da solo, dopo cinquanta minuti di incomprensibile attesa. È la prima volta che assistiamo ad un simile evento!
Durante la breve visita dell’Onorevole la delegazione ha raccolto, da dietro le sbarre, i racconti di alcuni ragazzi detenuti, l’ennesimo grido di rabbia e disperazione che raccogliamo ogni volta che ci troviamo in questi autentici lager dei nostri giorni. Tutti chiedevano a gran voce che noi entrassimo per costatare coi nostri occhi le aberranti condizioni in cui sopravvivono e lamentavano il fatto di essere totalmente abbandonati da Dio e dal mondo.
A questo si aggiungono numerose provocazioni di cui la delegazione è stata oggetto da parte di sedicenti giornalisti.
Non è che una tappa del percorso di lotta intrapreso dalla rete antirazzista calabrese che andrà avanti nei prossimi giorni, in vista dell’assemblea nazionale antirazzista che si terrà il prossimo 24 gennaio a Roma.

Rete antirazzista - 16 gennaio 2010

Una giornata “con” gli immigrati

La UIL favorisce l’idea di una giornata a marzo di valorizzazione della risorsa immigrazione e di costruzione di un nuovo modello di convivenza multi etnica


Sfruttati, vessati, discriminati e spesso oggetto di razzismo. Nel nostro Paese non ci si comporta bene con gli immigrati: non lo fa la politica di chi governa che ha scelto misure draconiane per rimediare alla propria difficoltà nel governare il fenomeno; non lo fanno molti esponenti politici dediti al “cattivismo” per meschine ragioni elettorali, incuranti dei danni alla convivenza civile che possono provocare alcune loro dichiarazioni; non lo fanno i mass media che spesso usano un linguaggio ed un approccio alle notizie dispregiativo quando si tratta di immigrazione, cogliendo ed accentuando solo fenomeni di cronaca nera; non lo fanno molti datori di lavoro che usano la condizione di debolezza di chi lega il suo futuro nel nostro Paese al rinnovo del permesso di soggiorno, per abbassare il loro salario ed alzare l’orario giornaliero di lavoro; abbiamo poi lo sfruttamento estremo dei caporali (non solo in agricoltura) che rasenta lo schiavismo e la violazione dei diritti fondamentali della persona, com’è successo di recente a Rosarno, ma come potrebbe succedere in molte altre parti d’Italia, al Sud come al Nord .

Eppure i cinque milioni di cittadini non italiani che ormai vivono e lavorano con noi ci sono diventati indispensabili e non solo perché producono un decimo del nostro PIL e pagano in parte le pensioni degli italiani: ma soprattutto perché le nostre aziende, i nostri servizi smetterebbero in gran parte di funzionare e le nostre famiglie andrebbero subito nel caos se non potessero contare, anche solo per un giorno, dell’apporto indispensabile degli immigrati. Se un giorno gli immigrati decidessero di fare a meno di noi, non noi di loro.

Per questi motivi la UIL comprende e condivide molte delle ragioni dei promotori dell’iniziativa “una giornata senza immigrati”, promossa per il mese di marzo, specialmente dopo i gravissimi fatti di Rosarno.
E’ urgente mettere fine all’esistenza di veri e propri lager lavorativi dove viene non solo cancellato il rispetto delle norme contrattuali e di legge, ma abolito lo stesso rispetto per la stessa persona.
E’ necessario, soprattutto, che la pubblica opinione percepisca il valore positivo dell’immigrazione e della necessità di costruire insieme non solo condizioni d’integrazione, ma una nuova forma di convivenza tra le diverse culture, tradizioni e religioni che ormai compongono la nostra società.

Sarebbe un errore, però, parlare di sciopero. Primo perché lo sciopero si fa contro qualcuno e potrebbe essere strumentalizzato in quanto iniziativa contro gli italiani; secondo, perché sarebbe un grave errore rompere il meccanismo di solidarietà che deve legare chi lavora insieme, italiani e non. Terzo, perché lo sciopero può essere indetto solo da chi ne ha titolarità, altrimenti si rischia di esporre chi aderisce a penalizzazioni (o peggio) da parte dei datori di lavoro; quarto, perché la maggioranza degli immigrati non potrebbe aderire, neanche volendo, a causa della loro debolezza contrattuale.

Secondo me, l’immigrazione non necessita certo di ulteriori ghettizzazioni. Meglio dunque promuovere una giornata di valorizzazione dell’immigrazione e di opposizione ad ogni forma di discriminazione e razzismo. Una giornata di celebrazione del valore positivo che ha l’immigrazione, la quale può essere pubblicizzata attraverso forti iniziative simboliche: lo sciopero della spesa, ad esempio; momenti pubblici d’incontro e riflessione tra cittadini, indipendentemente dal colore della loro pelle; o ancora più semplicemente indossando (stranieri ed italiani) un indumento giallo, simbolo del rifiuto di ogni forma di razzismo, xenofobia e discriminazione.

Se chi promuove l’iniziativa di marzo sceglierà questa strada, del dialogo e della valorizzazione della risorsa immigrazione, di ricerca di una nuova forma di convivenza civile, e non quella della contrapposizione e divisione che potrebbe essere alimentata dall’idea di uno sciopero dei soli immigrati, potranno godere della piena approvazione ed appoggio attivo della UIL e dei propri iscritti in tutta Italia.

Dipartimento Nazionale Politiche Migratorie della UIL

venerdì 15 gennaio 2010

APPELLO PER LO SCIOPERO DEI MIGRANTI DEL 1 MARZO

Date: Tue, 12 Jan 2010 16:52:26 +0100
Noi migranti e italiani, uomini e donne appartenenti ai coordinamenti, collettivi e reti di Bari, Bologna, Brescia, Mantova e basso mantovano, Milano, Padova, Roma, Torino sosteniamo le lotte dei lavoratori e delle lavoratrici migranti che in Francia preparano allo sciopero dei migranti del prossimo primo marzo. Dopo la storica esperienza statunitense della “giornata senza immigrati” del primo maggio 2006, la centralità del lavoro migrante si afferma prepotentemente in Europa. Tutti noi sappiamo che oggi, mentre la crisi produce povertà e precarietà e fa dei migranti una forza lavoro da usare o espellere, e mentre allo stesso tempo i dati indicano nei migranti una componente fondamentale dell’economia del nostro paese, uno sciopero del lavoro migrante, sostenuto dai lavoratori e dalle lavoratrici italiani, rappresenterebbe la risposta politica più adeguata contro la precarizzazione e contro il razzismo. Pensiamo che lo sciopero dei migranti debba essere costruito insieme ai lavoratori francesi perché la situazione del lavoro migrante è simile in tutta Europa. Occorre gridare forte la nostra opposizione alle forme di mobilità sempre più costrette a cui l'Unione europea vorrebbe costringerci attraverso agenzie di reclutamento, faccendieri di ogni specie, imprese di appalto che muovono a loro piacimento pacchetti di lavoratori tra le frontiere. Si vorrebbero migrazioni ordinate e migranti ordinati sulla base delle variabili esigenze produttive. Alcuni di noi all’interno dell’esperienza del Tavolo Migranti hanno già contribuito a organizzare sostenere lo sciopero del lavoro migrante che il 15 maggio 2002 ha coinvolto l’intero distretto industriale di Vicenza, e che ha segnato uno dei momenti più alti della lotta dei migranti in Italia e in Europa. In questi anni, abbiamo sostenuto la proposta politica dello sciopero del lavoro migrante contro il razzismo e la legge Bossi-Fini all’interno dei percorsi che hanno portato alla grande MayDay del 1° maggio 2008, alla manifestazione nazionale di Milano “Da che parte stare” del 23 giugno 2009 e a quella di Roma dello scorso 17 ottobre. Sappiamo perciò quanto è difficile e quanto è importante uno sciopero dei migranti e delle migranti. Sappiamo quanta speranza produce e quanti lo dichiarano preventivamente impossibile, pericoloso o persino dannoso. Sappiamo che questo vuol dire tentare percorsi nuovi, in grado di superare diffidenze, divisioni tra migranti e italiani, così come sterili contrapposizioni tra schieramenti. Sappiamo che non basta dichiararlo, ma che bisogna organizzarlo. Consapevoli di tutte queste difficoltà, ma con tutta l’ostinazione che la situazione presente ci impone, noi sosteniamo da oggi una campagna politica per l’organizzazione anche in Italia dello sciopero delle migranti e dei migranti.. Per combattere la legge Bossi-Fini, il “Pacchetto Sicurezza”, il razzismo istituzionale che dal Ministero degli interni si diffonde nelle grandi città e nei più piccoli comuni di provincia, le denunce, gli appelli e la solidarietà non sono più sufficienti. Bisogna avere il coraggio di considerare i migranti protagonisti delle loro vite e non solo del loro lavoro. È il momento di osare lo sciopero del lavoro migrante!


Coordinamento per lo sciopero del lavoro migrante in Italia
per adesioni : coordinamentosciopero@gmail.com

D’El Ejido à Rosarno, les émeutes racistes perdurent et se ressemblent Appel à un rassemblement

mardi 12 janvier 2010
 
10 ans presque jour pour jour après les émeutes racistes de février 2000, à El Ejido en Espagne, c’est la chasse aux travailleurs agricoles immigrés à Rosarno en Italie.
Ces émeutes racistes mettent au devant de la scène la précarité des immigrés surtout ceux sans papiers. La violence de ces agressions traduit la déshumanisation en marche, de ces travailleurs qui font la prospérité de l’agriculture de la région, corvéables à merci, payés seulement 20 euros la journée.
Comme à El Ejido, la population de Rosarno s’est livrée à une traque en règle contre les travailleurs immigrés, tous les moyens de châtiment étaient bons. Comme à El-Ejido, des êtres humains vivent dans des conditions d’un autre âge, entassés dans des abris de fortune.
Ce déferlement de haine et de brutalités contre les travailleurs immigrés à Rosarno, est le résultat des politiques européennes qui prônent la préférence européenne. Ces dernières se traduisent localement par des lois racistes comme celle promulguée le 2 juillet dernier en Italie, sous la pression du parti d’extrême droite de la Ligue du Nord.
L’arsenal raciste de Berlusconi est renforcé. L’immigration « illégale » devient un délit, et les milices anti-immigrés sont légalisées. Les habitants de Rosarno ont érigé des barricades, semé la terreur et fait des dizaines de blessés à coups de bâtons et de barres de fer, pris dans cet élan de haine et de xénophobie.
Les immigrés de Rosarno ont été contraints à l’exode, ceux qui ont été pris en charge dans des bus, ont été transférés aux centres de rétention en vue de leur expulsion. Un signal d’encouragement et d’approbation envoyé aux auteurs des crimes racistes.
Les associations et organisations signataires tiennent à exprimer leur profonde solidarité avec les travailleurs immigrés victimes de ces odieux agissements racistes.
Elles s’insurgent contre les traitements dégradants et inhumains infligés aux immigrés à Rosarno.
Elles condamnent les lois anti-immigrés européennes et leurs expressions nationales.
Elles exhortent les citoyens en Italie et ailleurs, à se dresser contre cette poussée raciste.
Les signataires appellent à l’organisation de rassemblements devant les ambassades d’Italie en Europe et ailleurs

RASSEMBLEMENT Jeudi 14 janvier à 18h A l’ambassade d’Italie A l’angle de la rue du Bac et du bd de Raspail Paris 07 Métro Rue du Bac

Premiers signataires : Associations :Assemblée Citoyenne des Originaires de Turquie (ACORT), Accord de Seville, Association de défense de droits de l’homme au Maroc (ASDHOM), Association des tunisiens en France (ATF), Association des tunisiens en France/Paris (ATF/Paris), Association des travailleurs maghrébins de France (ATMF), Association pour la taxation des transactions et pour l’action citoyenne (ATTAC), Centre d’études et d’initiatives de solidarité internationale (CEDETIM), Centre Malcolm X, 9ème Collectif de sans papiers, Collectif pour l’avenir des foyers (COPAF), Coordination contre le Racisme et l’Islamophobie (CRI), Droit au logement (DAL), Droits Devant !, Fédération des Associations de Solidarité avec les Travailleur- euse-s Immigré-e-s, (FASTI), Fédération des associations d’immigrés Andalucía Acoge, Fédération des Tunisiens pour une Citoyenneté des deux Rives (FTCR), Forum civique européen, Groupe d’information et de soutien des immigrés (GISTI), Ligue des droit de l’homme (LDH), Marche mondiale de femmes, Migreurop, Mouvement des indigènes de la république (MIR), Mouvement contre le racisme et pour l’amitié entre les peuples (MRAP), NO-VOX, Pateras de La Vida pour le développement et la culture (Maroc), Reporters sans Limites, Respaix Conscience Musulmane, Réseau féministe « RUPTURES », SOC-SAT Almeria, SOS soutien aux sans papiers...

Organisations syndicales : Union syndicale solidaire, Confédération paysanne nationale,
Organisations politiques :Les Alternatifs, Les jeunes verts, Nouveau parti anticapitaliste (NPA), Parti communiste français (PCF), Parti communiste des ouvriers de Tunisie (PCOT), les Verts...
CONTACT :fouzia.maqsoud@ atmf.org ATMF, 10 rue Affre. 75018. Paris. Tel :01 42 55 91 82 / Fax : 01 42 52 60 61. www.atmf.org

martedì 12 gennaio 2010

sit-in al senato

 Dopo la manifestazione che si è tenuta a piazza esquilino sabato scorso, che ha rappresentato l'indignazione per quanto accaduto a Rosarno la mobilitazione continua...
Molte realtà romane riunite in assemblea presso l'assoc. da sud, abbiamo deciso di proseguire la campagna contro le espulsioni dei migranti aggrediti a Rosarno promuovendo per oggi un ulteriore iniziativa:
 
troppa (in)tolleranza, nessun diritto
a pochi giorni dai fatti vergognosi di Rosarno e contro il pugno duro del governo che ordina espulsioni di massa, ma vero responsabile di quanto accaduto:
 
ARANCE INSANGUINATE AL SENATO

 
durante l'audizione del ministro dell'interno Maroni al senato oggi martedì 12, le associazioni antirazziste e le comunità migranti saranno al senato a ribadire la solidarietà con i migranti di Rosarno:
 
-contro la clandestinità , il lavoro nero e lo sfruttamento nei campi agricoli
-per il permesso di soggiorno per quanti sfruttati e ridotti in schiavitù
-per la riapertura della regolarizzazione dei migranti sans papiers
-per un piano concreto di accoglienza

 

sit-in al senato

piazza navona martedì 12 h16.30

lunedì 11 gennaio 2010

Rosarno è l'Italia

Qualche giorno fa noi, migranti e italiani, uomini e donne appartenenti ai coordinamenti, collettivi e reti di Bari, Bologna, Brescia, Mantova e basso mantovano, Milano, Padova, Roma, Torino abbiamo dichiarato di sostenere nei prossimi mesi la campagna politica per l’organizzazione anche in Italia dello sciopero delle migranti e dei migranti. Negli stessi giorni nella Piana di Gioia Tauro è diventato realtà il sogno del leghista Gentilini di fare dei migranti “lepri a cui sparare”. La strage di Castel Volturno del settembre 2008 ci ricorda che non è la prima volta. Allora come oggi i migranti non hanno ceduto al ricatto e alla minaccia, ma di fronte alla violenza armata è stata loro offerta solo la fuga.

Chi ha invocato l’intervento dello Stato ha avuto una risposta pronta: i migranti di Rosarno sono stati deportati in massa, mentre un ministro razzista, “cattivo” e coerente ora organizza l’espulsione degli sfruttati. Nell’era del “pacchetto sicurezza”, in Italia si è aperta la caccia al migrante che alza la voce. Rosarno non è un puro frutto della criminalità: la violenza della ‘ndrangheta si è nutrita negli anni della legge Bossi-Fini e delle connivenze dello Stato. A tutto questo, il razzismo ormai diffuso ha fatto da perfetta cornice. Un razzismo istituzionale coltivato nel tempo e che oggi esplode di fronte alla crisi. Ma non dovrebbero essere necessari i morti ammazzati di Castel Volturno e i feriti di Rosarno per vedere che in Italia vige una forma di sfruttamento totale del lavoro favorita dalla legge Bossi-Fini, che autorizza a espellere i lavoratori quando non servono più o alzano la voce. La “fabbrica verde” del sud d’Italia, quella dove sono rifluiti i lavoratori espulsi dalle fabbriche in crisi del nord, non potrebbe funzionare senza quelli che accettano qualsiasi lavoro per mantenere il permesso e sono regolari persino secondo le leggi di questo Stato, senza quelli che aspettano per mesi un rinnovo, senza quelli che un permesso di soggiorno lo perdono o non lo avranno mai perché vige l’assurdo sistema delle quote, senza quelli che attendono il diritto d’asilo, senza quelli che sono criminalizzati e bollati dell’infamia (reale o meno, poco importa, purché giustifichi le “misure di sicurezza”) della clandestinità.

Diciamolo chiaro: Rosarno è l’Italia. Non solo l’Italia della Lega, ma quella delle leggi di uno Stato razzista e quella dei padroni che, nel sud come al nord, che siano o meno affiliati alla criminalità organizzata, sono disposti a tutto pur di pagare il salario più basso possibile. La misura è colma da parecchio tempo. Ben vengano le testimonianze di civiltà, ma è necessario decidere davvero da che parte stare. La risposta a ciò che è successo non può risolversi in un presidio e in una festa. È necessario che la solidarietà vada oltre se stessa e siesprima dentro ai percorsi organizzativi che coinvolgono lavoratori e lavoratrici, migranti e italiani, nella preparazione dello sciopero del lavoro migrante in Italia, che non sarà solo lo sciopero dei migranti, ma di tutti coloro che si oppongono al modo in cui vengono trattati. Il ministro Calderoli ha deriso il progetto di uno sciopero affermando che i regolari non lo faranno mai, e che gli irregolari saranno espulsi. È necessario mostrare a tutti quelli come lui la forza che i migranti sono in grado di mettere in campo come protagonisti delle loro lotte. Protagonisti insieme a quegli uomini e a quelle donne che rifiutano il razzismo come pratica quotidiana di sfruttamento. Lo sciopero è la vera forza che oggi l’antirazzismo può mettere in campo.
Coordinamento per lo sciopero del lavoro migrante in Italia

Per partecipare, sostenere, diffondere la campagna per lo sciopero del lavoro migrante in Italia:
coordinamentosciopero@gmail.com

Da Rosarno non si torna indietro

Quanto successo nei giorni scorsi a Rosarno, dove si è scatenata una vera e propria caccia all'uomo, è il frutto della criminalizzazione dello straniero e del diverso.

E' l'emblema del dilagante clima di razzismo e xenofobia legittimato da norme restrittive e securitarie.
E' l'ennesima vicenda di una situazione di degrado, violenza e di totale assenza di politiche migratorie e sociali. Non è un caso che avvenga ai tempi del cosiddetto "pacchetto sicurezza" e non è un caso che avvenga in una realtà dove regna la criminalità organizzata.

Lo sfruttamento sistematico e senza alcuna garanzia del lavoro migrante, la riduzione in schiavitù di migliaia di lavoratori immigrati rappresenta una piaga dell'economia, soprattutto agricola ma non solo, nel nostro paese.

Fenomeno le cui caratteristiche sono ampiamente note e che si finge di ignorare. Da tempo denunciamo queste situazioni: a Rosarno, a Castelvolturno, in Puglia, in Sicilia, nel resto d'Italia.
La rabbia degli immigrati, dopo l'ultima aggressione nei loro confronti, è la conseguenza di mesi ed anni di soprusi, di diritti negati, di falsa accoglienza, di lungaggini burocratiche, di violazioni del diritto d'asilo, di degrado, di umiliazioni e violenze quotidiane, di lavoro mal pagato o non pagato affatto, di una vita di stenti, di case di lamiere e cartone, di sfruttamento fino alla schiavitù.

E' questa la vera emergenza: un'economia criminale che sfrutta gli immigrati, incastrati nelle maglie di una normativa feroce che crea clandestinità e rende ricattabili le persone.

Le inaccettabili condizioni in cui versano gli immigrati, regolari e non, rifugiati e titolari di forme di protezione, non ha eguali nel resto d'Europa.

Tutto ciò nell'assoluto silenzio ed indifferenza dell'attuale governo e di quelli che lo hanno preceduto. La rivolta di Rosarno ha smascherato l'ipocrisia delle leggi in materia d'immigrazione ma, allo stesso tempo, ha dimostrato che contro sfruttamento e criminalità è possibile e doveroso camminare a testa alta e rivendicare i propri diritti.

Ciononostante nessuna condanna alle violenze subite a Rosarno dagli immigrati, nessuna parola sul contesto di criminalità organizzata che le ha partorite, nessun riferimento alla moderna schiavitù ed allo sfruttamento dei lavoratori immigrati.

Le attuali norme in materia di immigrazione hanno fallito, creano clandestinità e favoriscono sfruttamento, alimentano odio razziale in Italia. Ma soprattutto è oramai dimostrato che minano alla base ogni possibile solidarietà sociale ed umana. In base alle attuali leggi si è creato un diritto differenziale, speciale, valido esclusivamente per i cittadini stranieri, siano essi lavoratori, disoccupati, studenti, rifugiati politici o quant'altro. La differenziazione delle persone su base etnica e nazionale non permette di esprimere unitariamente il senso di indignazione alla precarietà ed allo sfruttamento.

Ne abbiamo una conferma proprio dai fatti di Rosarno, ove anzichè prodursi una comune lotta contro criminalità e sfruttamento si sono poste le basi per una vera e propria guerra tra poveri: nello straniero si è individuato il nemico; invece di essere tutelati gli immigrati sono stati trasferiti senza che gli fosse neanche chiarito dove, perchè, con quali garanzie.

Sono arrivati in circa 350 a Bari e in circa 440 a Crotone, ma altri trasferimenti potrebbero esserci nei prossimi giorni. Molti si sono allontanati autonomamente da Rosarno, con i pochi averi in una busta di plastica. Terrorizzati, hanno camminato lungo i binari della ferrovia per sentirsi più al sicuro. Tutto pur di fuggire a bastoni e spranghe, a sfruttamento e assenza di riconoscimento di ogni forma di rispetto e dignità personale.

Questo avviene in Italia, paese d'Europa, nell'anno 2010.

Cosa stia avvenendo agli immigrati nei Cara è ancora poco chiaro. Molti sono andati via, coloro senza permesso di soggiorno vengono trasferiti nei Cie. Da vittime sono diventati i "clandestini" da espellere per motivi di sicurezza. Questa la politica del Governo xenofobo Berlusconi e del Ministro degli Interni Maroni.

Queste persone, invece, devono poter essere regolarizzate ed accedere ad un permesso di soggiorno.

In favore degli immigrati provenienti da Rosarno è indispensabile che si attuino tutti i programmi di protezione sociale pur previsti dalle attuali leggi, anche per potere recuperare i loro crediti di lavoro. Nella situazione attuale, invece, se denunciassero il lavoro nero di cui sono state vittime, verrebbero invece incriminati per avere soggiornato irregolarmente in Italia. Ecco uno degli ultimi paradossi del reato di clandestinità introdotto ed ecco un ulteriore favore agli imprenditori senza scrupoli, eventualmente, legati alla criminalità organizzata.

Attualmente vengono puniti gli immigrati, mentre restano impunite le organizzazioni criminali ed i clan mafiosi.

Chiediamo a tutti di sostenerci in questa lotta:


a. Perché nessuno venga espulso o trasferito nei Cie e perchè non venga confermato il trattenimento per coloro che sono stati già trasferiti nei Cie;

b. Per il rilascio del permesso di protezione sociale (art. 18 T.U. Immigrazione) a chi, proveniente da Rosarno, è sprovvisto di altro titolo di soggiorno;

c. Per una sanatoria a regime;

d. Per la costruzione di uno sciopero del lavoro migrante;



Invitiamo tutti alla partecipazione al presidio di martedì, 12 gennaio, ore 10,00, sotto la Prefettura di Bari


Rete antirazzista di Bari

sabato 2 gennaio 2010

GORIZIA, MAROCCHINO PESTATO DA GUARDIA IN CIE


(31/12/2009) - "Ci è stato segnalato quest'oggi un gravissimo episodio di violenza e tortura, verificatosi all'interno del Centro di Identificazione ed Espulsione di Gradisca d'Isonzo (Gorizia) nella notte fra il 28 e il 29 dicembre 2009". Lo denunciano Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau, co-presidenti dell'organizzazione per i diritti umani Gruppo EveryOne, che si sta occupando della vicenda. "La vittima dell'ennesimo pestaggio si chiama Said Stati," riferiscono gli attivisti, "è di nazionalità marocchina e vive a Gavardo, in provincia di Brescia. Abita in Italia da oltre 19 anni, ha sempre lavorato e pagato le tasse. Tutti i suoi parenti" continuano i rappresentanti di EveryOne, "vivono nel nostro Paese: la madre e sei fratelli che sono tutti sposati, con figli. Durante il terremoto che ha colpito Salò nel 2005, Said ha perso la casa. Sempre in seguito al sisma," raccontano ancora Malini, Pegoraro e Picciau, "la fabbrica dove era occupato ha chiuso e il ragazzo, con moglie e due figli piccoli, pur avendo bussato a ogni porta, non ha trovato in tempo un'occupazione alternativa. Quando il suo permesso di soggiorno è scaduto è divenuto 'clandestino', in base alla legge 94/2009 (il 'pacchetto sicurezza') già pesantemente criticata per il suo contenuto xenofobo dalla Commissione europea, dal Comitato contro le discriminazioni delle Nazioni Unite, dalle autorità ecclesiastiche e dalle principali organizzazioni per i Diritti Umani. L'11 novembre scorso, Said è stato arrestato e condotto al Cie di Gradisca, dove è stato identificato e ha ricevuto un decreto di espulsione. Nonostante soffra di una depressione e il medico curante gli abbia prescritto un antidepressivo, le autorità gli hanno negato, poche ore prima dell'abuso nei suoi confronti, di assumere il farmaco. Said ci ha raccontato al telefono che nella notte fra lunedì e martedì scorso, tre guardie lo hanno prelevato dalla sua cella, conducendolo in un'altra, dove gli è stato intimato di togliersi gli occhiali perché l'avrebbero sottoposto a un pestaggio. Ci ha inoltre confessato che per dare un esempio agli altri carcerati, è stato consentito ad alcuni detenuti di assistere alla violenza. Anche operatori in servizio preso il centro hanno presenziato alla violazione dei suoi diritti umani. Said è stato picchiato con inaudita brutalità al capo, al tronco e in diverse altre parti del corpo, con pugni e colpi di manganello. Solo dopo averlo lasciato a terra, pesto e sanguinante, le guardie hanno consentito agli operatori di portarlo al pronto soccorso, dove è stato medicato". Il Cie di Gradisca di Isonzo è stato teatro di ripetute violenze e abusi sugli internati, e già un detenuto aveva videoripreso, il 21 settembre scorso, con un telefonino, le conseguenze di un pestaggio di massa da parte delle forze dell'ordine. In quell'occasione, l'episodio venne denunciato presso le sedi competenti in Italia e all'estero dal Gruppo EveryOne e da altre organizzazioni per i diritti umani e i principali quotidiani lo riportarono, assieme alle stigmatizzazioni di autorità politiche e dalla società civile. "Nulla è tuttavia cambiato nel Centro," sottolineano con preoccupazione i rappresentanti del Gruppo, "e anzi trattamenti inumani e degradanti continuano a essere perpetrati dallle autorità senza che la Procura di Gorizia e lo stesso Ministero dell'Interno prendano provvedimenti. Abbiamo informato della vicenda di Said il Comitato contro la Tortura del Consiglio d'Europa, affinché venga inviata al Cie quanto prima una commissione ispettiva d'inchiesta; abbiamo inoltre depositato un esposto presso la Procura di Gorizia e una memoria all'Alto Commissario per i Diritti Umani e all'Alto Commissario per i Rifugiati, presso gli uffici di Ginevra delle Nazioni Unite". Contemporaneamente, EveryOne ha chiesto in una lettera al Presidente della Camera, onorevole Gianfranco Fini, di prendersi a cuore il caso di Said: "Il giovane marocchino attende, distrutto nel corpo e nello spirito, di essere deportato in Marocco, dove non ha parenti né conoscenze. Said è un cittadino esemplare e non ha mai avuto problemi con la giustizia. La sua famiglia e la sua vita non hanno senso lontano dall'Italia e solo una serie di eventi drammatici gli ha impedito di avere i requisiti per rinnovare, con le attuali disposizioni, il permesso di soggiorno. I suoi figli, un bambino che frequenta la terza elementare e una bimba di tre anni, sono disperati e non si danno pace per la mancanza dell'amato papà, che è stato loro strappato senza che avesse alcuna colpa. Ci auguriamo," scrivono Malini, Pegoraro e Picciau a conclusione della lettera a Fini, "che, grazie a un Suo provvidenziale intervento, si eviti che al dolore e alle ingiustizie patite dal detenuto si aggiunga un nuovo dramma irreparabile, che annienterebbe un'intera famiglia vulnerabile e innocente".

Al link seguente, la drammatica conversazione fra Said Stati e agli attivisti del Gruppo EveryOne:

http://everyonegroup.com/it/EveryOne/MainPage/Entries/2009/12/31_CIE_Gorizia%2C_marocchino_pestato_da_guardia.html

Gruppo EveryOne

venerdì 1 gennaio 2010

Palabras del Presidente Evo Morales en la Cumbre del Cambio Climático



COPENHAGUE, DINAMARCA

17 de diciembre de 2009

Primero, expresar nuestra molestia por la desorganización y las dilaciones que existen en este evento internacional, cuando nuestra responsabilidad debería ser con mucha eficacia; nuestros pueblos también esperan resultados para salvar la vida, para salvar la humanidad, salvando el planeta tierra.

Cuando preguntamos, qué pasa con los anfitriones, por qué no los debates, nos dicen que es Naciones Unidas. Cuando preguntamos qué pasa con las Naciones Unidas, dicen que es Dinamarca, y no sabemos quién organiza este evento internacional, porque todo el mundo está esperando de los jefes de Estado una solución, una propuesta de solución para salvar la vida.

Y por eso, quiero expresar de manera muy sincera, honesta, responsable, nuestra enorme preocupación por esta desorganización.

Después de escuchar algunas intervenciones de hermanos presidentes del mundo, muy sorprendido porque solamente tratan de los efectos y no de las causas del cambio climático. Lamento mucho decir, cobardemente no queremos tocar las causas de la destrucción del medioambiente en el planeta tierra.

Y queremos decir, desde acá, las causas vienen del capitalismo. Si nosotros no identificamos de dónde viene la destrucción al medioambiente, por tanto a la vida y la humanidad, seguramente nunca vamos a resolver este problema que es de todos, de todas, y no solamente de un continente, no solamente de una nación, no sólo de una región.

Y por eso nuestra obligación es identificar las causas del cambio climático, y quiero decirles con responsabilidad ante mi pueblo y ante el pueblo del mundo, las causas vienen  del capitalismo.

Por supuesto tenemos profundas diferencias de presidente a presidente, de gobierno a gobierno. ¿Cuáles son esas diferencias?, tenemos dos formas de vida, por tanto está en debate dos culturas de vida, la cultura de la vida y la cultura de la muerte.

La cultura de la muerte que es el capitalismo, nosotros decimos los pueblos indígenas es el vivir mejor, mejor vivir a costa del otro; y la cultura de la vida es el socialismo, el vivir bien.
¿Cuáles son las profundas diferencias entre el vivir bien y el vivir mejor. El vivir mejor, repito nuevamente, vivir a costa del otro, explotando al otro, saqueando los recursos naturales, violando a la Madre Tierra, privatizando los servicios básicos.

Mientras que el vivir bien, es vivir en solidaridad, en igualdad, en complementariedad, en reciprocidad, no es el vivir mejor. En términos científicos, desde el marxismo, desde el leninismo dice: capitalismo- socialismo; y nosotros sencillamente decimos: el vivir bien y el vivir mejor.

Estas dos formas de vivencia, estas dos culturas de la vida está en debate cuando hablamos del cambio climático, y si no decidimos cuál es la mejor forma de vivencia o de vida, seguramente este tema nunca vamos a resolver, porque tenemos problemas de vivencia, el lujo, el consumismo que hace daño a la humanidad, y no queremos decir la verdad en esta clase de eventos internacionales.

Desde el momento que empecé a participar en las Naciones Unidas, yo ando muy preocupado porque no hay presidentes que no dicen la verdad ante el mundo. Todos protestan sobre el cambio climático, pero nadie protesta contra el capitalismo que es el peor enemigo de la humanidad.

Si el capitalismo es el peor enemigo de la humanidad, sabiendo no lo dicen, por tanto los jefes de Estado mentimos al pueblo boliviano, y dentro de nuestra forma de sobrevivencia el no mentir es algo sagrado, y eso no lo practicamos acá.

Ojalá ustedes, los presidentes, algunos presidentes del sistema capitalista pueda revisar nuestra Constitución Política del Estado boliviano. Felizmente con mucho esfuerzo aprobamos y en la Constitución está el ama sua, ama llulla, ama q’ella; no robar, no mentir ni ser flojo. Ser autoridad es la forma de servir al pueblo, a los pueblos del mundo, a los pueblos en Bolivia.

Por eso, yo quería esta oportunidad para expresar, y lamento mucho que cuando yo tengo que hablar desde la mesa desaloja a la gente, yo tengo que hablar con sillas vacías, preguntaba qué estaba pasando antes que lleguemos acá, bueno, hay que desalojar, hay que despedir a la gente cosa que nos escuche; pero tendremos la oportunidad de hacernos escuchar en otros foros internacionales con los movimientos sociales. No importa, acá nos pueden bloquear. No importa, acá pueden desalojar a la gente para que no nos escuche.

Está bien, quiero expresar mi molestia. Creo que lo mejor sería que nuestros pueblos nos escuchen.

Si estas son nuestras profundas diferencias ideológicas, programáticas, culturales de la vida, yo he llegado a la conclusión queridos presidentes, delegaciones que están presentes acá, que en este milenio es más importante defender los derechos de la Madre Tierra que defender los derechos humanos.

La tierra o el planeta tierra, o la Madre Tierra o la naturaleza existen y existirá sin el ser humano, pero el ser humano no puede vivir sin el planeta tierra. Y por tanto, es nuestra obligación defender el derecho de la Madre Tierra, defender el derecho de la Madre Tierra, defender el planeta tierra es más importante que defender los derechos humanos.

Muchos dirán, bueno, entonces qué es la vida, pero si no hay planeta tierra que se destroza, de qué sirve defender los derechos humanos, la vida misma.

Yo saludo a las Naciones Unidas, que este año por fin ha declarado el Día Internacional de la Madre Tierra. Es Madre Tierra. La madre es algo sagrado, la madre es nuestra vida. A la madre no se alquila, no se vende ni se viola, hay que respetarla. La Madre Tierra es nuestro hogar. Si esa es la Madre Tierra, cómo puede haber políticas de destrucción a la Madre Tierra, de mercantilizar a la Madre Tierra. Tenemos profundas diferencias con el modelo occidental, y eso está en debate en este momento.

Y por eso, yo quiero decirles queridos presidentes, tenemos la obligación de cómo liberar a la Madre Tierra del capitalismo, cómo acabar o eliminar la esclavitud de la Madre Tierra.

Si no acabamos con la esclavitud de la Madre Tierra, jamás vamos a poder resolver sobre la vida, sobre la humanidad y sobre el planeta tierra.

Por supuesto, reitero una vez más, tenemos profundas diferencias con el occidente. Pero también, aprovecho esta oportunidad, como ya planteábamos, es tan importante debatir ahora lo que nunca sobre la deuda climática.

Y la duda climática no solamente son recursos económicos, nuestra primera propuesta, como por ejemplo buscar el equilibrio entre el ser humano y la naturaleza, la Madre Tierra. Restablecer ese equilibrio, reestableciendo el equilibrio entre la sociedad que vive en el mundo.

Estoy en Europa, estábamos en Europa, ustedes saben que muchas familias bolivianas, familias latinoamericanas viven en Europa, aquí vienen acá a mejorar sus condiciones de vida. En Bolivia podría estar ganando 100,200 dólares mes, pero esa familia, esa persona se viene acá a cuidar un abuelo europeo, a una abuela europea, y mes ganan 1.000 euros. Claro, en vez de estar ganando 200 dólares mes, prefieren ganar 1.000 euros.

Estas son las asimetrías que tenemos de continente a continente, y obligados a debatir, a debatir cómo buscar cierto equilibrio, achicando, reduciendo esas profundas asimetrías de familia a familia, de país en país, especialmente de continente a continente.

Pero, cuando nuestras familias vienen acá, nuestras hermanas y hermanos vienen a sobrevivir o mejorar sus condiciones de vida, son expulsados. Esos documentos llamados de retorno desde el Parlamento Europeo, pero cuando los abuelos europeos hace tiempo llegaban a Latinoamérica, nunca han sido expulsados.

Mi familia, mis hermanos no viene acá a acaparar ni minas ni miles de hectáreas para ser terratenientes. Antes nunca había visas ni pasaportes para que lleguen a ABYA YALA, ahora llamada América. Este también es un daño, que hay que reparar por supuesto. 

Entonces, estamos hablando acá de soluciones profundas, profundas, históricas, yo quiero plantearlas en este tema de la deuda, la mejor deuda climática es reconociendo el derecho de la Madre Tierra. Si no reconocemos el derecho de la Madre Tierra, pues en vano vamos a estar hablando de 10 millones, de 100 millones, que es una ofensa para la humanidad.

¿Cómo devolver a la Madre Tierra su derecho? Imagínense, en el siglo pasado, hace 70 años, recién Naciones Unidas declaraban el derecho del ser humano, la Declaración Universal de los Derechos Humanos, hace 70 años no había derechos humanos.

A los pueblos hace tres años, por fin se reconocieron los derechos, y ahora en este milenio obligados a debatir, a reconocer el derecho de la Madre Tierra. Si no reconocemos el derecho de Madre Tierra, todos nosotros seremos responsables con la humanidad.

La mejor forma de la deuda climática es reconocer el derecho de la Madre Tierra.

El segundo componente, es la devolución a los países en desarrollo del espacio atmosférico. Que los países ricos o con industria irracional han ocupado con sus emisiones los gases de efecto invernadero. Para pagar esta deuda de emisiones deben reducir y absorber sus gases de efecto invernadero, de forma tal que exista una distribución equitativa de la atmósfera entre todos los países tomando en cuenta su población, porque los países en vía de desarrollo requerimos de espacio atmosférico para el desarrollo de nuestras regiones.

El tercer componente, por supuesto es la reparación de los daños presentes y futuros afectados por el cambio climático, y quienes o sistemas que van destruyendo al medioambiente, la Madre Tierra, tiene la obligación de reparar esos daños.

Dentro los daños, nuestra propuesta es que los países ricos deben acoger a todos los migrantes que sean afectados por el cambio climático, y no estar despidiendo, retornando a sus países con lo están haciendo en este momento, porque son responsables los países del occidente en este cambio climático.

Queridos presidentes, presidentas nuestra obligación es cómo, es salvar a toda la humanidad y no la mitad de la humanidad. El objetivo tiene que ser bajar la temperatura a un grado centígrado para evitar que muchas islas desaparezcan, que el África sufra un holocausto climático y para que nuestros glaciares y nuestros lagos sagrados se salven. La reducción de gases de efecto invernadero tiene que ser reales dentro de los países desarrollados.
Y si no desarrollamos estas políticas, repito nuevamente, seremos responsables de la destrucción de los seres humanos que habitan esta noble tierra.

Quiero aprovechar esta oportunidad para hacer un nuevo planteamiento, llegué hace dos noches atrás, de acuerdo a nuestros compañeros de las cancillerías, embajadores, nos informan que aquí no habrá acuerdo. Como tenemos profundas diferencias de la forma de vivencia, que jamás va haber acuerdo en esta clase de reuniones, hay pueblos movilizados marchando permanentemente. Yo saludo ahí, en América, el continente América, gracias a los pueblos, acompañado por algunos presidentes, hemos acabado algunas políticas de saqueo permanente que venían del imperialismo norteamericano.

Mi respeto, mi admiración a Fidel, a Hugo Chávez, con los movimientos sociales, que años atrás pararon el ALCA, Área de Libre Comercio de las Américas. Yo decía que no era Área de Libre Comercio de las Américas, es un área de librecolonización de las Américas, se paró, se derrotó. Y si hablamos económicamente sobre el ALCA, yo decía que en vez de decir ALCA debe llamarse ALGA, saben por qué, porque iba ser el área de ganancia de las Américas.

Y gracias a la fuerza de los pueblos hemos derrotado estas políticas, y aquí quiero decirles, sólo con la lucha del pueblo, pueblos del mundo vamos a derrocar el capitalismo para salvar a la humanidad.

Como aquí no podemos ponernos de acuerdo, no hay acuerdos, yo quiero pedirles para debatir desde las Naciones Unidas, una forma de resolver no a nivel de jefes de Estado, sino con los pueblos del mundo, y eso es un referéndum mundial sobre el cambio climático. Consultemos al pueblo, lo que digan nuestros pueblos respetemos, y lo que digan los pueblos sea vinculante en aplicación en todos los países del mundo. Y así vamos a resolver cuando tenemos profundas diferencias de presidente a presidente, de continente a continente, especialmente con los países del capitalismo.

Y quiero dejar cinco preguntas para que las Naciones Unidas, desde la mesa, puedan y hagan un trabajo para consultar al pueblo de todo el mundo sobre el cambio climático.

Preguntas para referéndum mundial sobre cambio climático:

Primero.- ¿Está usted de acuerdo con restablecer la armonía con la naturaleza reconociendo los derechos de la Madre Tierra? Los pueblos hermanos del mundo dirá: Sí o No. Dejamos en la decisión de los pueblos del mundo.

Segundo.- ¿Está usted de acuerdo con cambiar este modelo de sobreconsumo y derroche, que es el sistema capitalista? Dejamos a la decisión del mundo.

Tercero.- ¿Está usted de acuerdo con que los países desarrollados reduzcan y absorban sus emisiones de gas invernadero de manera doméstica para que la temperatura no suba más de un grado centígrado? Sí o No. Los pueblos del mundo decidirán.

Cuarto.- ¿Está usted de acuerdo en transferir todo lo que se gasta en las guerras y destinar un presupuesto superior al presupuesto de defensa para el cambio climático?
Los pueblos del mundo definirán Sí o No. Por aquí no es posible que algunos países como EEUU gasten tanta plata para matar y no se gasta plata para salvar vidas, esas son dos culturas: cultura de la muerte y la cultura de la vida. Y no puedo entender, que EEUU gaste para mandar tropas y tropas donde tiene que matar a seres humanos.
Por supuesto cualquier país tiene derecho a defenderse, que se defienda en su país. Quién no tiene derecho a defenderse, todos tenemos derecho a defenderse, a defendernos si hay provocación. Pero, esta forma de enviar tropas a Afganistán, a Irán, bases militares en Sudamérica, en Latinoamérica, es la mejor forma de soportar terrorismo de Estado.
En vez de gastar plata para el terrorismo de Estado, más bien gastemos plata para salvar vidas, que es retirar plata para defender la vida, para salvar al planeta tierra.

Quinto.- Y como quinto punto, última pregunta que nos haríamos, es una propuesta para debatir entre presidentes, podemos mejorar por supuesto: ¿Está usted de acuerdo con un tribunal de justicia climática para juzgar a quienes destruyen la Madre Tierra? Aprobado, Sí, por ahí

Ya tengo un voto a  favor. Entonces, yo quería dejar esta propuesta queridos presidentes en la mesa, porque alguien tiene que juzgar, y nuestra propuesta es crear ese tribunal de justicia climática en las NNUU, allá un tribunal que juzgue a quienes destrozan el medioambiente, a quienes no respetan o no aplican el tratado de Kioto, por ejemplo.

Ya es hora de poner el cascabel al gato, para defender la vida y a la humanidad.

Perdonen queridos presidentes, tenía esta pequeña intervención, esperamos que pueda servir este aporte, de esta manera todos defendamos la vida, todos salvemos a la vida, todos defendamos al planeta tierra.

Yo quiero hacer una llamada a los pueblos del mundo, quiero que sepan después de conocerme con algunos presidentes, aquí no vamos a resolver nada por esos pueblos del mundo, y mi convocatoria a los pueblos del mundo a organizarse, a tomar conciencia, a unirse, a movilizarnos para acabar con el capitalismo y así vamos a salvar a la humanidad y al planeta tierra.

Muchísimas gracias.