venerdì 16 aprile 2010

Il prefetto Pansa ritorna al dipartimento immigrazione

NAPOLI - Un giro di poltrone che potrebbe portare, entro poche settimane, all'addio di Alessandro Pansa, il prefetto di Napoli che potrebbe lasciare la città con destinazione Roma.

A guidare il «valzer» delle nomine è il prefetto Mario Morcone, attualmente capo del Dipartimento delle Libertà Civili e immigrazione del Viminale. Moroce sarà domani nominato dal Consiglio dei ministri, su proposta del ministro dell'Interno, Maroni, direttore dell’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, che ha sede a Bari.

Al posto di Morcone dovrebbe arrivare il prefetto di Napoli Pansa - che aveva già guidato il Dipartimento per l’immigrazione - ma la sua nomina sarebbe stata rimandata perché ancora non è stato trovato il suo successore. I nomi più accreditati per guidare la prefettura del capoluogo partenopeo, si è appreso, sono il prefetto di Firenze Andrea De Martino e il prefetto di Bari Carlo Schilardi.

Redazione online
15 aprile 2010

Immigrazione: Trento; permesso a papa' clandestino per figli

Deciso da Tribunale minori Trento per salute dei suoi tre bimbi
16 aprile, 16:47

(ANSA) - TRENTO, 16 APR - Il papa' clandestino puo' restare, anche se non ha il permesso di soggiorno a tempo indeterminato, perché' e' senza lavoro.

Lo ha deciso ieri il Tribunale dei minori di Trento per un giovane di 25 anni, dell'Ecuador, padre di tre figli, che hanno dai pochi mesi a 4 anni e vivono in Trentino con la madre, ma soffrono, per le prolungate assenze del genitore. La notizia e' in controtendenza con una recente sentenza della Cassazione per un immigrato coi figli in eta' scolare a Milano. (ANSA).

IMMIGRATI: la Consulta boccia la Liguria

Secondo la Corte Costituzionale è illegittima la legge regionale che vieta i Cie, centri di
identificazione

Repubblica 16-04-10
La Liguria non può autodichiararsi Regione chiusa ai centri di identificazione degli stranieri, perché significa violare le competenze dello Stato e interferire con il controllo dell ́ingresso e di soggiorno degli immigrati. Sono i motivi per cui la Corte Costituzionale ha bocciato la legge regionale del marzo delĺ'anno scorso, che prevedeva appunto di impedire in Liguria la costruzione dei Cie, i centri di identificazione ed espulsione degli immigrati clandestini.
La legge era stata proposta da Rifondazione e Pdci ed era stata votata dal centrosinistra in consiglio regionale, mentre il centrodestra si era schierato contro.
La notizia di ieri è che la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo l ́articolo 1 di quella legge, dove si afferma «la indisponibilità della Regione ad avere sul proprio territorio strutture o centri, in cui si svolgono funzioni preliminari di trattamento e identificazione personale dei cittadini stranieri immigrati», ossia i Cie, i centri di identificazione ed espulsione. «Prendiamo atto della bocciatura . commenta Enrico Vesco, all ́epoca assessore all'immigrazione - ma il nostro atteggiamento non cambia: ricorreremo in ogni modo possibile».
Il leghista Francesco Bruzzone invece si rammarica perché la sentenza «non è arrivata prima».
Ad impugnare la legge era stato il governo. La Regione si è difesa affermando che la legge si limita a perseguire le finalità di integrazione dei cittadini non comunitari.

venerdì 2 aprile 2010

Italia: uomo a rischio di tortura in caso di rimpatrio in Turchia


Appello di Amnesty

Data di pubblicazione dell'appello: 01.04.2010

Avni Er, cittadino turco detenuto in Italia, è a rischio di rimpatrio forzato in Turchia dove potrebbe subire torture o altri maltrattamenti.

Avni Er è attualmente detenuto in un Centro di identificazione ed espulsione (Cie) nella città di Bari. I suoi avvocati hanno presentato un appello contro il diniego della domanda alla sua richiesta di asilo e protezione internazionale. La Corte europea dei diritti umani ha già ordinato alle autorità italiane di non procedere con l'espulsione di Avni Er fino a quando la decisione in prima istanza sulla sua richiesta di asilo e protezione internazionale non sarà stata presa. I suoi avvocati hanno chiesto alla Corte di estendere l'ordine fino alla decisione sull'appello. In ogni caso, c'è il rischio che le autorità italiane procedano con l'espulsione di Avni Er prima che l'appello sia discusso.

Avni Er, che ha lasciato la Turchia nel 1982 all'età di 11 anni e che non vi è mai ritornato, è stato arrestato il 1° aprile 2004 nell'ambito di un'operazione di polizia internazionale contro persone sospettate di reati di terrorismo. É stato condannato nel dicembre 2006 da una corte d'Assise di Perugia per la sua appartenenza all'organizzazione illegale Partito-Fronte rivoluzionario di liberazione del popolo (Dhkp-c) e condannato a sette anni di carcere ed espulsione. Nell'aprile 2007 le autorità turche hanno richiesto l'estradizione di Er in Turchia per la sua appartenenza al Dhkp-c. La richiesta è stata respinta dalle autorità italiane per il rischio che Er venisse processato due volte per lo stesso reato. In ogni caso, i procedimenti a carico di Er risultano ancora pendenti in Turchia. Amnesty International crede che Avni Er possa subire tortura o altro tipo di maltrattamento e un processo iniquo se rimpatriato in Turchia, come è accaduto ad altri membri del Dhkp-c che sono stati torturati e maltrattati negli ultimi anni.

In base al principio di diritto internazionale di non-refoulement, l'Italia non deve rinviare nessuno in un paese nel quale potrebbe rischiare la tortura o altri maltrattamenti o ogni altro tipo di violazione dei diritti umani.







Mail da indirizzare al Ministro dell'Interno





Roberto Maroni
Ministro dell'Interno
Ministero dell'Interno
Palazzo Viminale
Piazza del Viminale, 1
00184 Roma, Italy
Fax: + 39 06 46549832
Email: liberta.civiliimmigrazione@interno.it

Gentile Ministro,

siamo simpatizzanti di Amnesty International, l'Organizzazione internazionale che dal 1961 lavora per difendere i diritti umani in ogni parte del mondo dove vengono violati.

Le chiediamo di non rimpatriare forzatamente Avni Er in Turchia, dove potrebbe essere a rischio di tortura e altri maltrattamenti, poiché questo violerebbe gli obblighi dello stato italiano del rispetto del principio di diritto internazionale conosciuto come non-refoulement.

La ringraziamo per l'attenzione.

Questione di pelle : italiani, esclusi perché neri

Lettera pubblicata dal Fatto Quotidiano del 31-3-2010

Francois, Joseph e Jean Paul Frattini, questi i nostri nomi. Suoni francesi accostati ad un cognome tipicamente italiano. Non un'ambigua scelta dei nostri genitori, bensì un'attestazione delle nostre origini. Nati da madre haitiana e padre italiano, siamo cresciuti e abbiamo vissuto tutta la nostra vita a Brescia. Ciononostante, la nostra pelle porta con se la condanna di una discendenza troppo scomoda. Non è mai passato inosservato il nostro colorito acceso, ma fatta eccezione per qualche vile commento bisbigliato vigliaccamente sottovoce, abbiamo sempre vissuto serenamente. Questo fino a poco tempo fa, precisamente fino alla sera di venerdì 19 marzo, quando un atto di discriminazione razziale ci ha coinvolti in prima persona.
Avevamo programmato una "serata tra brothers", scegliendo come meta fortuita il locale molto noto Hotel Costez, situato nel centro di Cazzago San Martino, già frequentato in passato da Joseph e Jean Paul. L'ambiente abbastanza elegante e raffinato, ci impose una cura particolare nell'aspetto e nell'abbigliamento: la politica di molti locali moderni esige di adeguarsi a determinati standard. Nonostante tali sforzi, ad una distanza di circa 10 metri dall'ingresso, fummo bloccati da un buttafuori, che senza troppe remore, ci vietò di entrare. Convinti si trattasse di un malinteso, chiedemmo chiarimenti. La risposta ci sconcertò (ed è forse proprio da questa risposta che deriva la più grande inquietudine): "Eh dai ragazzi, lo sapete!". Cosa sappiamo? Ci ha forse scambiato per qualche giovane irrequieto con cui ha avuto problemi in passato? Difficile, data l'unicità dei nostri tratti somatici. Ciò che ben sappiamo e di cui andiamo fieri, è che siamo neri, e questo ci impedisce di accedere ad un'area apparentemente troppo vip per noi. Pochi secondi d'attesa e le paroline magiche furono pronunciate: "Siete extracomunitari e non potete entrare." La schiettezza con cui sostenne questa tesi e la totale mancanza di rispetto per una categoria sempre meno tutelata, non fece che rafforzare la nostra convinzione di voler entrare. Decidemmo di non mostrare la carta di identità per provare la nostra italianità, e continuammo nella parte che ci era stata assegnata. Il buttafuori, armato di guanti in pelle pensati per queste ardue situazioni, continuò a sostenere che era una regola e come tale non poteva essere violata. Certo, una regola non scritta, ma non per questo meno valida. Dopo vari tentativi, ci accordammo per restare nella zona esterna del locale, confinati come cani. Non paghi dell'obiettivo raggiunto, ci intrufolammo all'interno. Ma lesti gli auricolari comunicanti si segnalarono la presenza di tre intrusi indesiderati. Un altro imponente buttafuori, non più inibito o imbarazzato del collega, ci accompagnò all'uscita. A nulla servì mostrare i documenti per intaccare le loro ferree convinzioni: neri eravamo e neri restavamo. Questione di pelle.
Nadine Gordimer, scrittrice sudafricana e premio nobel per la letteratura, durante una conferenza del 1959, nei difficili anni dell'apartheid, disse: "Non è possibile riuscire a contraddire fino in fondo con i fatti un clima di privilegio. Noi abbiamo la parte migliore di ogni cosa; come è difficile non sentire, in qualche angolo segreto di noi stessi, che in effetti siamo migliori!" E allora ci chiediamo, alla luce di quello che è successo, se questo stesso sentimento di superiorità che ha indotto il proprietario di un locale a vietare l'ingresso a tre connazionali perché non bianchi, sia diffuso a tal punto da essere universalmente condiviso o quantomeno tollerato. Probabilmente siamo stati fin troppo fortunati e abbiamo vissuto in una bolla di cristallo che ci permetteva di vedere, ma al contempo essere protetti. Ora ci sentiamo feriti e non abbiamo voglia di tacere ed essere taciuti. Non abbiamo la pretesa di imputare situazioni analoghe agli odierni sistemi di governo. Il pregiudizio non ha parte politica e comunque non fa mai bene, da qualsiasi parte stia. Ma dopo 27, 28 e 34 anni vissuti in Italia, sentirsi estranei e discriminati nella propria casa, ha fatto scattare qualcosa. Informare e raccontare quello che ci è accaduto, é il mezzo non violento che abbiamo scelto per difendere tutti coloro che non possono o non riescono ad avere voce in capitolo. Sono tanti e tutto ciò non può più essere tollerato.
Le domande che ci poniamo oggi sono tante e forse molte difficilmente troveranno una risposta razionale. Tra tutte, una spicca per bizzarria: i buttafuori, si saranno accorti di essere extracomunitari? Perché forse qualcuno dovrebbe spiegargli che hanno delegittimato la loro stessa categoria.

LA LIBERTÀ' NON SI PROCESSA!

Report della prima udienza del processo ai ribelli di Ponte Galeria

Si è conclusa nel primo pomeriggio di oggi, 31 marzo 2010, l'udienza che vedeva coinvolti i 18 rivoltosi del Cie di Ponte Galeria a Roma. I ribelli erano accusati di lesioni e violenza a pubblico ufficiale, danneggiamento aggravato, incendio doloso e tentata evasione, per la rivolta scoppiata nella notte tra lunedì 29 e martedì 30 marzo, in seguito ad un pestaggio da parte della polizia all'interno del Cie.
La protesta è terminata alle 4 del mattino circa, quando i reclusi sono tornati a dormire nelle loro celle. Solo dopo alcune ore, mentre si trovavano a mensa per la colazione, la polizia è arrivata in forze e ha deciso di dividere tra "buoni e cattivi" gli uomini che sono stati individuati come i diretti responsabili della rivolta della notte precedente.
Diciotto reclusi sono quindi stati arrestati "in flagranza di reato" e stamattina si è tenuta l'udienza in cui il giudice avrebbe dovuto confermare gli arresti e decidere sul loro eventuale trattenimento in carcere.
Trattandosi di un'udienza per direttissima con convalida, tutto si è svolto a porte chiuse, mentre fuori dall'aula e nel piazzale antistante il palazzo del tribunale, un gruppo di antirazzisti e di antirazziste manifestava la propria solidarietà volantinando ed esponendo uno striscione con la scritta «La libertà non si processa. Chiudere tutti i Cie!».
Nel corso dell'udienza gli avvocati difensori hanno dimostrato che, essendo trascorse molte ore tra la conclusione della rivolta e il momento dell'arresto, non si poteva trattare di "flagranza di reato".
Per questo il giudice non ha convalidato gli arresti. Quindi, quindici imputati sono stati riportati nel Cie di Ponte Galeria. Altri tre invece sono stati trasferiti nel carcere romano di Regina Coeli perché, avendo già precedenti penali per reati come resistenza a pubblico ufficiale ed altri, il giudice ha ritenuto "probabile" che potessero compierne altri simili.
Tra l'altro, il giudice, accogliendo le richieste dei difensori, ha escluso l'aggravante dell'incendio e la tentata evasione, precisando che, trattandosi di detenzione amministrativa, il tentativo di fuga dal Cie non può essere considerato un'evasione. I capi d'imputazione rimasti sono danneggiamento aggravato e lesioni e violenza a pubblico ufficiale.
Per tutti gli indagati, il processo continuerà col rito ordinario, quindi si procederà con le indagini e poi con le prossime udienze, ancora da fissare.

Ribellarsi è giusto!
La solidarietà è un'arma!