martedì 12 aprile 2011

Un mare di guerra,

Annamaria Rivera,

il manifesto, pp. 1 e 3

Ancora cadaveri di uomini, donne e bambini che vanno a ingigantire l’immenso sepolcro che è divenuto il Mare Nostrum, un tempo mare che affratellava genti, costumi, culture, oggi confine blindato che separa e stermina, uccidendo quel che resta della nostra umanità. Le ultime duecentocinquanta vittime del Canale di Sicilia, eritrei e somali -che alcuni media tuttora, pur di fronte a una tale tragedia, osano chiamare “clandestini” o “extracomunitari”- non sono morte solo di proibizionismo, ma anche della nostra colpevole ingerenza “umanitaria” in Libia. Che ha preferito i bombardamenti ai corridoi davvero umanitari, che ha ignorato cinicamente il dovere di salvare anzitutto gli esseri umani e fra i primi i rifugiati, perseguitati e intrappolati dalla guerra civile.

Lo sappiamo già ora: neppure queste vittime per eccellenza, annegate (per ritardi o imperizia altrui?) nel corso delle operazioni di soccorso della guardia costiera italiana, varranno a sollecitare l’empatia che fa scattare la molla della solidarietà collettiva e che induce a riflettere sulla follia delle guerre “umanitarie” che uccidono umani. E’ da molto tempo che il nostro infelice Paese non prova più il sentimento che giusto vent’anni fa spinse gli abitanti di Brindisi, città di neppure 90mila abitanti, a rifocillare, soccorrere, ospitare nelle proprie case 27mila profughi albanesi.

Sotto i ponti son passate acque assai torbide: la propaganda razzista e sicuritaria, il veleno leghista somministrato giorno dopo giorno in dosi sempre più elevate, una politica mediocre che compete in cattiveria verso gli “estranei” a fini elettorali, un’Europa unita che sa unirsi quasi solo quando si tratta di denaro e di difesa dei propri confini dall’irruzione dei barbari. Sicché neppure quest’ultima tragedia, neanche le immagini dei volti sofferenti e terrorizzati degli scampati e i racconti di chi fra loro ha perso in mare l’intera famiglia, neppure l’idea atroce dei bambini ingoiati dalle acque che avrebbero dovuto sospingerli verso la salvezza varranno a riflettere sulla follia collettiva di cui siamo preda. Plaudiamo, più o meno tardivamente, con più o meno entusiasmo, al vento di primavera che travolge i regimi dispotici dell’altra sponda e accettiamo il dispotismo grossolano degli idraulici di governo: quelli che parlano di esseri umani in cerca di fortuna o di salvezza nei termini di rubinetti da fermare e vasche da svuotare. Partecipiamo all’esercito dei “volenterosi” che vanno a pacificare la Libia con i bombardamenti e non ci preoccupiamo dei nostri infelici ex colonizzati, prima discriminati o schiavizzati, poi impastoiati fra la guerra civile e l’intervento “umanitario”: ultimi del mondo, senza pace e senza patria, che non hanno dove andare e dove tornare anche grazie agli effetti nella lunga durata delle nostre politiche coloniali e neocoloniali. Anche per i superstiti eritrei e somali e per gli altri di loro che riusciranno ad arrivare da noi, gli idraulici di governo faranno le vittime dell’Europa cinica e bara che non riesce a difenderli dallo “tsunami umano”? Oseranno, i “volenterosi” nostrani, subordinare il dovere di accogliere degnamente i rifugiati a qualche accordicchio, strappato in tal caso al prossimo (forse) governo di transizione libico? Infine una considerazione basilare. Le rivolte che hanno rovesciato o sconvolto i regimi dittatoriali dell’altra sponda sono animate in molti casi dal desiderio di libertà e dalla pretesa di dignità: libertà e dignità significano per i giovani rivoltosi anche libertà di movimento e diritto di cercare altrove un destino più dignitoso, senza mettere a rischio la propria vita. Perciò i governi di transizione non potrebbero pretendere di rappresentare la rottura radicale con i vecchi regimi senza spezzarne i cardini portanti: fra questi, gli accordi bilaterali che fecero di essi i gendarmi feroci e prezzolati della Fortezza Europa. Insomma, una delle condizioni perché quelle in corso siano davvero rivoluzioni, capaci di conquistare a sé strati popolari, risiede nella volontà e possibilità di resistere ai ricatti europei e più in generale atlantici. Non è facile né scontato. Ma sarebbe meno arduo se chi, rifiutando di ricoprire il vecchio ruolo da cane da guardia dei confini altrui, avesse come alleati su questa sponda chi decide davvero che non ne può più di neocolonialismo, di guerre “umanitarie” e di frontiere blindate e per questo e altro è disposto a rivoltarsi contro idraulici e “volenterosi” di tutte le specie.

sabato 9 aprile 2011

CIRCOLARE_MINISTER_INTERNO_FRANCESE_6_APRILE.2011




domani...


Presidio Domenica 10 Aprile 2011 ore 10

Porta Portese 2

incrocio via Prenestina - via P. Togliatti (tram 14)

Chiediamo il rilascio del permesso di soggiorno, l'autorizzazione per i venditori ambulanti, il riconoscimento delle sale di culto per tutte le religioni, luoghi e spazi di aggregazione per uno scambio culturale!

Mineo, profughi Spa


Per l’accoglienza, la Croce Rossa incasserà tre milioni di euro al mese. La proprietaria dell’area 360mila. Più di 20 milioni solo per il 2011. Senza contare gli stipendi. Tutto a carico del contribuente. Per Berlusconi e Maroni sarà il simbolo in Europa dell’accoglienza rifugiati made in Italy, ma è solo che la riproposizione sul fronte migrazione del modello Emergenza S.p.a., con ingenti flussi di denaro pubblico a favore dei soliti noti. Si tratta del residence di Mineo (Catania), piccolo centro agricolo nel cuore della Sicilia, che prima ospitava i militari USA della base aeronavale di Sigonella e dove adesso sono deportati i richiedenti asilo di tutta Italia e i giovani tunisini scampati all’inferno di Lampedusa. Ibrido giuridico, a metà strada tra un CARA (centro accoglienza per richiedenti) e un CIE (struttura di detenzione per l’identificazione e l’espulsione degli “irregolari”), il residence della solidarietà di Mineo sarà l’inesauribile pozzo di san Patrizio per holding paramilitari, cooperative clientelar-sociali e prestigiosi signori del cemento.

Le organizzazioni siciliane antirazziste hanno già fatto le prime stime dell’affaire. Agli enti che gestiscono i CARA sparsi sul territorio nazionale, il governo versa un contributo che fluttua dai 40 ai 52 euro al giorno per ogni richiedente asilo. Considerato il numero degli “ospiti” di Mineo (già sono 2.000), gli incassi per la mera gestione accoglienza oscilleranno mensilmente dai 2 milioni e 400 mila ai 3 milioni di euro. A beneficiarne sarà la Croce Rossa Italiana, individuata dal Commissario straordinario per l’emergenza immigrati, il prefetto di Palermo Giuseppe Caruso, senza l’indizione di un bando ad evidenza pubblica e la presentazione di un piano dei servizi da gestire. “Sino al 30 giugno 2011, la CRI impiegherà fondi propri destinati alla gestione delle situazioni di emergenza”, precisa il dott. Caruso. Per i restanti sei mesi coperti dal decreto anti-sbarchi ci penserà però il contribuente. Conti alla mano un gruzzolo che a fine anno potrebbe oscillare tra i 14 e i 18 milioni di euro. Pensare che l’accoglienza diluita nei Comuni di mezza Italia, grazie alle reti solidali di enti e associazioni (il cosiddetto sistema Sprar), pesa per non più di 20-22 euro al giorno per rifugiato. Con il vantaggio che si tratta in buona parte di esperienze con forti ricadute sull’economia e l’occupazione locale, come ad esempio accade a Riace, paesino della provincia di Reggio Calabria, riconosciuto internazionalmente come modello d’integrazione cittadini-migranti. A Mineo, invece, si dovrà sperare sulle “pressioni” del presidente della Provincia di Catania e coordinatore regionale del Pdl, Giuseppe Castiglione, perché la Croce Rossa affidi la gestione di alcuni servizi del villaggio alla miriade di cooperative locali, tutte riconducibili al potente consorzio Sol.Co. di Catania interessato da tempo a mettere radici nell’ex residence USA. In fondo si tratterebbe di versare una piccola tassa, ottenendo in cambio il consenso all’operazione dei politici e degli amministratori del luogo. Una fabbrica di soldi e di voti, dunque, il moderno ghetto per rifugiati e deportati.


Il vero affare, quello meno trasparente, è tuttavia quello relativo ai canoni che saranno pagati dal governo per l’utilizzo delle 404 villette presenti nell’infrastruttura. Invece di dirottare i migranti verso le numerose strutture pubbliche dismesse (come ad esempio la ex base missilistica di Comiso, già utilizzata per l’emergenza Kosovo nel 1999), il duo Berlusconi-Maroni ha imposto che il mega-CARA “d’eccellenza” trovasse posto in quello che strumentalmente è stato definito “ex villaggio NATO” ma che in verità è di proprietà della Pizzarotti S.p.A. di Parma, una delle principali società di costruzioni italiane, contractor di fiducia delle forze armate USA (lavori nelle basi di Aviano, Camp Darby, Vicenza e Sigonella). I manager dell’azienda chiedevano allo Stato un contratto di locazione per una durata non inferiore ai 5 anni, ma il Prefetto-Commissario Giuseppe Caruso ha preferito emettere un’ordinanza di requisizione della struttura sino al 31 dicembre. Contestualmente è stata affidata all’Agenzia Territoriale del demanio di Catania la valutazione dell’indennizzo per la Pizzarotti , che per legge non potrà essere inferiore ai valori di mercato. Quanto? È presto fatto. La Marina USA pagava alla società un canone annuo di 8 milioni e mezzo di dollari, più le spese per la gestione dei servizi all’interno del villaggio. Anche a limitarsi all’accattivante offerta fatta direttamente alle famiglie dei militari dopo la rescissione del contratto con il Dipartimento della difesa (900 euro al mese a villetta), alla Pizzarotti non andrebbero meno di 363.000 euro al mese, moltiplicato per i 10 mesi coperti dal decreto di emergenza. Più il canone per l’utilizzo degli altri immobili (uffici, mense, strutture commerciali, palestre, campi da tennis e football, asilo nido, sala per le funzioni religiose e 12 ettari di spazi verdi). Solo per il 2011 il Grand Hotel di Mineo “Deportati & C.” costerà così non meno di una ventina di milioni di euro, senza includere gli stipendi e le indennità missione di oltre un centinaio tra poliziotti, carabinieri e militari dell’Esercito. Un colossale sperpero di risorse in nome della guerra santa alle migrazioni.

diffusione a cura della Campagna per la smilitarizzazione di Sigonella

Voglia di sciopero precario


Se siamo precari e precarie o migranti non è per colpa di un tragico destino, ma perché qualcuno in questi ultimi quindici anni ha fatto profitti immensi sulla nostra pelle. Si chiamano Ministero della pubblica istruzione, casa editrice X, cooperativa Y, fabbrica Z, chiunque ti costringa ad aprire una partita IVA per fare la segretaria, chi ti chiede sei mesi di stage gratuito. Se siamo precari e precarie o migranti non è per fatalità, ma perché chi avrebbe dovuto tutelarci, come i sindacati (tutti i sindacati), non si è accorto della nostra presenza, se non quando era troppo tardi o troppo comodo.
Si può fare qualcosa? Di certo non è il momento di raccontare quanto siamo sfigati, anzi è ora di dimostrare che siamo forti. Le manifestazioni simboliche non bastano più! Siamo arrivati alla prova del nove.
Se da domani il percorso di Il nostro tempo è adesso continuerà usando noi precari e migranti come testimonial potremo dire che è stata la solita messa in scena mediatica per nascondere ciò che non è stato fatto fino a oggi. Se da domani invece si comincerà a costruire uno sciopero generale contro la precarietà e contro lo sfruttamento del lavoro migrante, uno sciopero vero, non di quattro orette, non che parla d’altro, allora siamo finalmente di fronte a un cambiamento significativo.
E gli obiettivi devono essere chiari. Parlare genericamente di stabilizzazione è ridicolo, dato che i sindacati non riescono a tutelare nemmeno i propri lavoratori garantiti (vedi Mirafiori e Pomigliano).Tanto per iniziare: introduzione di un reddito non legato né alla cittadinanza né al lavoro, semplificazione delle tipologie contrattuali, rottura del legame tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro, ripristino dei diritti fondamentali per tutti (maternità, cittadinanza, pensione, formazione). E sui luoghi di lavoro bisogna decidere da che parte stare. Per trattare con un’azienda, spesso bisogna trattarla male. Dopo un ritardo di 15anni, e dopo le responsabilità dirette e indirette che hanno, i sindacati non possono più far finta che non sia così.
Noi non portiamo rancore, ma non siamo neanche fessi. Da sette anni la rete di San Precario e il movimento dei migranti cavalcano contro il tempo, difendendo tutti coloro che sono precari, operai e migranti come noi.
Puoi fidarti: non ci facciamo turlupinare facilmente. I diritti che ci servono dobbiamo conquistarli da noi.
Vieni a Roma agli Stati generali della precarietà, dove discuteremo di “sciopero precario”.
Vieni alla Mayday, il primo maggio atipico di Milano.
Oppure contattaci su www.coordinamentomigranti.splinder.com
E ricordati, se incrociassimo le braccia l’Italia si fermerebbe. Questa è la nostra arma e questo dobbiamo fare.

ROMA, 15-17 Aprile, Stati Generali della Precarietà 3.0: l’incontro aperto a tutti i lavoratori, precarie, sindacalisti, reti che vogliono contribuire a inventare lo sciopero precario.

MILANO, MayDay: da dieci anni il primo maggio dove la creatività e la rabbia dei precari e delle precarie sono protagoniste.

venerdì 8 aprile 2011

ACCOGLIENZA E DIRITTI AI PROFUGHI E IMMIGRATI I FUGA DA GUERRA E FAME

La recente strage di oltre 300 migranti, tra cui moltissimi bambini, in fuga dalla guerra e dalla fame – in un Mediterraneo divenuto da tempo la tomba, invece che la “ culla”, della civiltà – denuncia e smaschera la criminale ferocia dei governi europei, sempre disponibili a “ guerre umanitarie” e totalmente insensibili e xenofobi nei confronti di quanti vanno a “ liberare”.
L’ignobile scaricabarile tra Italia e Francia – cobelligeranti in Libia e cugini affaristi di TAV, nucleare - acqua, aziende floride – testimonia il disprezzo della vita umana e dell’accoglienza, oltre l’ipocrisia della firma di Trattati Umanitari e Dichiarazioni dei Diritti dell’Uomo!
La decisione del governo Berlusconi di concedere i “ permessi per motivi umanitari” – che in teoria permettono la libera circolazione nell’Europa del Trattato di Schengen e che permette la ricongiunzione con i parenti, soprattutto in Francia – risponde solo allo sporco e meschino interesse di liberarsi dalla massa di migranti in Italia!
Viceversa, se prevalesse lo spirito umanitario, il ministro Maroni dovrebbe cessare di attivare gli incostituzionali rimpatri e arresti per emigrazione clandestina, non dovrebbe applicare la Bossi-Fini per l’insieme dei migranti!
Invece siamo alle solite. Si concede la carota del “ permesso umanitario”, per brandire il bastone del famigerato “ pacchetto sicurezza “, con tutte le spietatezze che comporta riguardo agli immigrati, visti e trattati come nemici a prescindere.
La Confederazione Cobas, nel mentre contribuisce ad alleviare le ferite di questi/e sfortunati/e fratelli e sorelle – a sostenere l’accoglienza e il diritto di fuga dai CIE, CARA e bestiali campi lager, in Sicilia, Calabria, Puglia, Basilicata, Campania, Lazio, Toscana, Piemonte e ovunque – al contempo rivendica il permesso di soggiorno e di asilo, il diritto di ricongiungimento e di cittadinanza per tutti/e i richiedenti.
La Confederazione Cobas si fa promotrice e partecipe delle iniziative a sostegno dei diritti dei profughi e dei migranti su tutto il territorio italiano.
Allo stesso tempo è parte del movimento che sollecita il cessate il fuoco in Libia, la fine dell’intervento Nato, l’uscita dalla guerra dell’Italia; che sostiene i movimenti di liberazione nel Magreb, Mashrek e in tutto il mondo arabo soggiogato da regimi dispotici, corrotti, antipopolari.

Roma 8.4.2011 CONFEDERAZIONE COBAS

LA TRAGEDIA DEL CANALE DI SICILIA IL NOSTRO LUTTO, IL NOSTRO IMPEGNO

La tragedia avvenuta ieri nel canale di Sicilia ci interroga su quanto il nostro paese e l’Europa tutta stiano smarrendo il senso di umanità che è presupposto di ogni democrazia. Quelle morti non sono frutto del caso. C’è una responsabilità collettiva delle nostre società ed una, più pesante, di chi ricopre ruoli istituzionali e ha il potere di produrre, con le proprie scelte, conseguenze concrete sulla vita delle persone.

Oggi la Camera dei Deputati ha giustamente osservato un minuto di silenzio per quelle vittime innocenti. Ma non possiamo dimenticare che il 6 febbraio del 2009 lo stesso Parlamento ratificava il trattato di amicizia italo libico prevedendo l’impiego di mezzi e risorse per controllare le frontiere e impedire le partenze verso l’Italia.

Il 6 maggio 2009, dopo che per anni le navi italiane avevano soccorso i migranti anche fuori dalle acque territoriali, per la prima volta il nostro Paese respinse 3 barche con 227 persone a bordo, cancellando d’un colpo il principio di non respingimento previsto dell’art.33 della Convenzione di Ginevra sul diritto d’asilo. Quei 227 provenivano dal corno d’africa, la stessa regione da cui provengono i morti di oggi. Profughi secondo la rappresentazione di oggi, ma clandestini da rimandare nelle mani dei loro aguzzini secondo quanto affermato dal nostro Governo. Nulla succede per caso. In realtà queste vite umane sono sacrificate sull’altare della ragion di stato e della propaganda elettorale permanente a cui siamo sottoposti.

Noi pensiamo che si possa e si debba reagire. Sarebbe stato giusto proclamare domani una giornata di lutto nazionale, perché anche quei bambini, quelle donne e quegli uomini fanno parte della nostra comunità umana. Noi dell’ARCI lo faremo. Chiederemo alle nostre strutture di esporre un segno di lutto nelle sedi, di listare a lutto giornali e siti web, di osservare un minuto di silenzio nelle iniziative in programma nei circoli Arci, di fare ogni altro gesto che possa servire a ricordare il sacrificio di quegli esseri umani e le nostre responsabilità.

E faremo anche un piccolo gesto individuale. Porteremo un fiore, una rosa rossa, davanti ai nostri municipi. Perché quelle sedi rappresentano la comunità locale. La comunità che mancava a quelle vittime della frontiera fuggite dalle guerre in cerca di sicurezza e protezione per se e per i loro figli. A Roma davanti al Campidoglio deporremo 250 rose, una per ciascuna di quelle persone che non incontreremo mai e che sarebbero potuti diventare romani, bolognesi o milanesi come noi. A loro vogliamo dare simbolicamente, almeno per un giorno, cittadinanza in questo Paese che li ha respinti e li ha costretti ad un viaggio mortale.

E al tempo stesso continueremo ad impegnarci concretamente, coi nostri circoli nei territori, per garantire accoglienza e protezione a chi sta arrivando. Continueremo a chiedere che siano aperti adesso canali umanitari per gli altri profughi che sono ancora in Libia e Tunisia, che venga fermata la macchina dei respingimenti, che il nostro paese faccia il suo dovere per sostenere concretamente i diritti umani e i processi di democratizzazione nel nord Africa.


UFFICIO STAMPA
Via dei Monti di Pietralata, 16
Andreina Albano
Tel. 06 41609267 – 348 3419402 albano@arci.it
www.arci.it

Libertà di circolazione per i migranti. Unica scelta possibile per governare l’esodo dal Maghreb

Nazionale – venerdì, 01 aprile 2011

Gli arrivi, prevedibili, degli immigrati dall’altra sponda del Mediterraneo sono stati utilizzati dal nostro Ministro dell’interno non solo per agitare lo spauracchio dell’esodo biblico ma anche per fomentare la psicosi e accrescere la paura dell’arrivo dei clandestini, pericolo incombente per la sicurezza dei cittadini.

Lasciare per settimane e settimane migliaia e migliaia di migranti a Lampedusa, spostarne altre migliaia a Mineo e a Manduria non è stata una scelta dettata dall’incapacità ma da una strategia precisa, decisa al fine di provocare opposizioni e rivolte da parte delle popolazioni locali contro le invasioni barbariche.

Quanto succede nel Maghreb sta scardinando tutti gli equilibri costruiti in questi anni dai governi europei per contenere gli esodi attraverso accordi beceri con i corrotti regimi di quei paesi.

Si finge di sostenere quelle rivolte , di inneggiare alle rivoluzioni arabe per poi portare la guerra umanitaria in Libia al solo scopo di appropriarsi del suo petrolio e scatenarne un’altra assai poco umanitaria nei nostri paesi contro i migranti.

L’Unione Europea preferisce elargire soldi ai paesi interessati da flussi migratori imprevisti e consistenti piuttosto che aprire le frontiere ed accoglierli eppure esistono direttive che prevedono la possibilità per i paesi dell’Unione di concedere lo status di rifugiato almeno per un anno, come forma di protezione temporanea alle persone in fuga da paesi e regioni interessati da gravi crisi che provocano esodi massicci.

Ma nessuno dei 27 paesi dell’Unione vuole adottare una misura di tal genere perché temono che, una volta attivato il meccanismo, sarebbero obbligati a concedere automaticamente tale status a tutti i migranti provenienti dal Maghreb; si rifugiano nell’odiosa e demagogica distinzione tra profughi e clandestini, tra richiedenti asilo e migranti economici, per i quali ultimi non sono previste forme di accoglienza e redistribuzione nei vari paesi europei; distinzione che prelude da una parte a rimpatri collettivi forzati illegittimi e dall’altra ad internamenti in tendopoli posti in luoghi isolati e spersi nelle campagne rispetto ai quali l’unico obiettivo per i migranti è la fuga, con il rischio di suscitare forti tensioni con le comunità locali.

L’Europa dei 27, che con i suoi oltre 500 milioni di abitanti costituisce ancora una delle aree più ricche del mondo, che ha completamente liberalizzato la circolazione delle merci e dei capitali, che ha abbattuto le barriere finanziarie, oggi innalza muri invalicabili contro poche migliaia di migranti!

Anche il governo italiano, se volesse, potrebbe attivare quelle misure di carattere eccezionale di protezione temporanea consentite dall’art.20 del Testo unico sull’immigrazione allo scopo di gestire situazioni di afflusso massiccio di persone che fuggono da paesi in condizioni di grave instabilità: Maroni preferisce evidentemente, per ragioni di pura opportunità politica, portare all’esasperazione sia i migranti che i territori destinatari di tendopoli.

Crediamo che non basti più dire: organizziamo l’accoglienza, che in questi anni nel nostro paese ha significato disumani luoghi di reclusione per gli immigrati e vantaggi economici per il business assistenziale.

Dobbiamo agire su obiettivi molti concreti che permettano il rispetto dei diritti e della dignità dei migranti e contemporaneamente evitare rigurgiti razzisti facilmente suscettibili in situazioni non governate.

Dobbiamo avere il coraggio di denunciare un’Unione Europea che chiude la frontiere alle persone, si disinteressa dell’emergenza sulla sua frontiera meridionale, aiutata in questo dall’esistenza in Italia di un governo che definire di incapaci sarebbe un complimento, bombarda la Libia e cerca nuovi vergognosi accordi bilaterali per ricominciare con i respingimenti in mare degli immigrati, come sta tentando di fare Maroni con la Tunisia.

La stessa Europa del resto che non esita a strangolare i paesi più deboli, come la Grecia il Portogallo e l’Irlanda, dove a pagare le conseguenze dei feroci piani di risanamento finanziari sono solo i ceti popolari: lavoratori, pensionati, giovani donne, precari e appunto migranti.

Per questo chiediamo:

> la protezione internazionale per rifugiati e richiedenti asilo, con l’applicazione delle leggi esistenti
> la concessione del visto Schengen per tutti gli immigrati ‘economici’ in transito in Italia e che dichiarino di volersi recare in altri paesi europei

Libertà di circolazione per i migranti. Unica scelta possibile per governare l’esodo dal Maghreb

Nazionale – venerdì, 01 aprile 2011

Gli arrivi, prevedibili, degli immigrati dall’altra sponda del Mediterraneo sono stati utilizzati dal nostro Ministro dell’interno non solo per agitare lo spauracchio dell’esodo biblico ma anche per fomentare la psicosi e accrescere la paura dell’arrivo dei clandestini, pericolo incombente per la sicurezza dei cittadini.

Lasciare per settimane e settimane migliaia e migliaia di migranti a Lampedusa, spostarne altre migliaia a Mineo e a Manduria non è stata una scelta dettata dall’incapacità ma da una strategia precisa, decisa al fine di provocare opposizioni e rivolte da parte delle popolazioni locali contro le invasioni barbariche.

Quanto succede nel Maghreb sta scardinando tutti gli equilibri costruiti in questi anni dai governi europei per contenere gli esodi attraverso accordi beceri con i corrotti regimi di quei paesi.

Si finge di sostenere quelle rivolte , di inneggiare alle rivoluzioni arabe per poi portare la guerra umanitaria in Libia al solo scopo di appropriarsi del suo petrolio e scatenarne un’altra assai poco umanitaria nei nostri paesi contro i migranti.

L’Unione Europea preferisce elargire soldi ai paesi interessati da flussi migratori imprevisti e consistenti piuttosto che aprire le frontiere ed accoglierli eppure esistono direttive che prevedono la possibilità per i paesi dell’Unione di concedere lo status di rifugiato almeno per un anno, come forma di protezione temporanea alle persone in fuga da paesi e regioni interessati da gravi crisi che provocano esodi massicci.

Ma nessuno dei 27 paesi dell’Unione vuole adottare una misura di tal genere perché temono che, una volta attivato il meccanismo, sarebbero obbligati a concedere automaticamente tale status a tutti i migranti provenienti dal Maghreb; si rifugiano nell’odiosa e demagogica distinzione tra profughi e clandestini, tra richiedenti asilo e migranti economici, per i quali ultimi non sono previste forme di accoglienza e redistribuzione nei vari paesi europei; distinzione che prelude da una parte a rimpatri collettivi forzati illegittimi e dall’altra ad internamenti in tendopoli posti in luoghi isolati e spersi nelle campagne rispetto ai quali l’unico obiettivo per i migranti è la fuga, con il rischio di suscitare forti tensioni con le comunità locali.

L’Europa dei 27, che con i suoi oltre 500 milioni di abitanti costituisce ancora una delle aree più ricche del mondo, che ha completamente liberalizzato la circolazione delle merci e dei capitali, che ha abbattuto le barriere finanziarie, oggi innalza muri invalicabili contro poche migliaia di migranti!

Anche il governo italiano, se volesse, potrebbe attivare quelle misure di carattere eccezionale di protezione temporanea consentite dall’art.20 del Testo unico sull’immigrazione allo scopo di gestire situazioni di afflusso massiccio di persone che fuggono da paesi in condizioni di grave instabilità: Maroni preferisce evidentemente, per ragioni di pura opportunità politica, portare all’esasperazione sia i migranti che i territori destinatari di tendopoli.

Crediamo che non basti più dire: organizziamo l’accoglienza, che in questi anni nel nostro paese ha significato disumani luoghi di reclusione per gli immigrati e vantaggi economici per il business assistenziale.

Dobbiamo agire su obiettivi molti concreti che permettano il rispetto dei diritti e della dignità dei migranti e contemporaneamente evitare rigurgiti razzisti facilmente suscettibili in situazioni non governate.

Dobbiamo avere il coraggio di denunciare un’Unione Europea che chiude la frontiere alle persone, si disinteressa dell’emergenza sulla sua frontiera meridionale, aiutata in questo dall’esistenza in Italia di un governo che definire di incapaci sarebbe un complimento, bombarda la Libia e cerca nuovi vergognosi accordi bilaterali per ricominciare con i respingimenti in mare degli immigrati, come sta tentando di fare Maroni con la Tunisia.

La stessa Europa del resto che non esita a strangolare i paesi più deboli, come la Grecia il Portogallo e l’Irlanda, dove a pagare le conseguenze dei feroci piani di risanamento finanziari sono solo i ceti popolari: lavoratori, pensionati, giovani donne, precari e appunto migranti.

Per questo chiediamo:

> la protezione internazionale per rifugiati e richiedenti asilo, con l’applicazione delle leggi esistenti
> la concessione del visto Schengen per tutti gli immigrati ‘economici’ in transito in Italia e che dichiarino di volersi recare in altri paesi europei

giovedì 7 aprile 2011

Un mare di guerra

Annamaria Rivera,
il manifesto

Ancora cadaveri di uomini, donne e bambini che vanno a ingigantire l’immenso sepolcro che è divenuto il Mare Nostrum, un tempo mare che affratellava genti, costumi, culture, oggi confine blindato che separa e stermina, uccidendo quel che resta della nostra umanità. Le ultime duecentocinquanta vittime del Canale di Sicilia, eritrei e somali -che alcuni media tuttora, pur di fronte a una tale tragedia, osano chiamare “clandestini” o “extracomunitari”- non sono morte solo di proibizionismo, ma anche della nostra colpevole ingerenza “umanitaria” in Libia. Che ha preferito i bombardamenti ai corridoi davvero umanitari, che ha ignorato cinicamente il dovere di salvare anzitutto gli esseri umani e fra i primi i rifugiati, perseguitati e intrappolati dalla guerra civile.

Lo sappiamo già ora: neppure queste vittime per eccellenza, annegate (per ritardi o imperizia altrui?) nel corso delle operazioni di soccorso della guardia costiera italiana, varranno a sollecitare l’empatia che fa scattare la molla della solidarietà collettiva e che induce a riflettere sulla follia delle guerre “umanitarie” che uccidono umani. E’ da molto tempo che il nostro infelice Paese non prova più il sentimento che giusto vent’anni fa spinse gli abitanti di Brindisi, città di neppure 90mila abitanti, a rifocillare, soccorrere, ospitare nelle proprie case 27mila profughi albanesi.

Sotto i ponti son passate acque assai torbide: la propaganda razzista e sicuritaria, il veleno leghista somministrato giorno dopo giorno in dosi sempre più elevate, una politica mediocre che compete in cattiveria verso gli “estranei” a fini elettorali, un’Europa unita che sa unirsi quasi solo quando si tratta di denaro e di difesa dei propri confini dall’irruzione dei barbari. Sicché neppure quest’ultima tragedia, neanche le immagini dei volti sofferenti e terrorizzati degli scampati e i racconti di chi fra loro ha perso in mare l’intera famiglia, neppure l’idea atroce dei bambini ingoiati dalle acque che avrebbero dovuto sospingerli verso la salvezza varranno a riflettere sulla follia collettiva di cui siamo preda. Plaudiamo, più o meno tardivamente, con più o meno entusiasmo, al vento di primavera che travolge i regimi dispotici dell’altra sponda e accettiamo il dispotismo grossolano degli idraulici di governo: quelli che parlano di esseri umani in cerca di fortuna o di salvezza nei termini di rubinetti da fermare e vasche da svuotare. Partecipiamo all’esercito dei “volenterosi” che vanno a pacificare la Libia con i bombardamenti e non ci preoccupiamo dei nostri infelici ex colonizzati, prima discriminati o schiavizzati, poi impastoiati fra la guerra civile e l’intervento “umanitario”: ultimi del mondo, senza pace e senza patria, che non hanno dove andare e dove tornare anche grazie agli effetti nella lunga durata delle nostre politiche coloniali e neocoloniali.

Anche per i superstiti eritrei e somali e per gli altri di loro che riusciranno ad arrivare da noi, gli idraulici di governo faranno le vittime dell’Europa cinica e bara che non riesce a difenderli dallo “tsunami umano”? Oseranno, i “volenterosi” nostrani, subordinare il dovere di accogliere degnamente i rifugiati a qualche accordicchio, strappato in tal caso al prossimo (forse) governo di transizione libico?

Infine una considerazione basilare. Le rivolte che hanno rovesciato o sconvolto i regimi dittatoriali dell’altra sponda sono animate in molti casi dal desiderio di libertà e dalla pretesa di dignità: libertà e dignità significano per i giovani rivoltosi anche libertà di movimento e diritto di cercare altrove un destino più dignitoso, senza mettere a rischio la propria vita. Perciò i governi di transizione non potrebbero pretendere di rappresentare la rottura radicale con i vecchi regimi senza spezzarne i cardini portanti: fra questi, gli accordi bilaterali che fecero di essi i gendarmi feroci e prezzolati della Fortezza Europa. Insomma, una delle condizioni perché quelle in corso siano davvero rivoluzioni, capaci di conquistare a sé strati popolari, risiede nella volontà e possibilità di resistere ai ricatti europei e più in generale atlantici. Non è facile né scontato. Ma sarebbe meno arduo se chi, rifiutando di ricoprire il vecchio ruolo da cane da guardia dei confini altrui, avesse come alleati su questa sponda chi decide davvero che non ne può più di neocolonialismo, di guerre “umanitarie” e di frontiere blindate e per questo e altro è disposto a rivoltarsi contro idraulici e “volenterosi” di tutte le specie.

martedì 5 aprile 2011

Sempre AntiRazzisti… presidio alla Caserma Andolfato… 6 aprile ore 8.30

Per domani mattina, mercoledì 6 aprile, è previsto l’arrivo di altri pulman di migranti che sbarcheranno al porto di Napoli per poi essere trasferiti nel “carcere” di Santa Maria Capua Vetere, presso la Caserma Andolfato…
Carcere perchè di carcere si tratta…i migranti non possono uscire, parlare con l’esterno, avere assistenza legale e ricevere beni di prima necessità… la struttura è super presidiata dalla forze dell’ordine e c’è un muro alto più di 5 metri…

L’appuntamento per il presidio è alle ore 8.30 fuori la Caserma Andolfato…

…chiunque può raggiunga il posto in giornata…

…SEMPRE ANTIRAZZISTI…

Radiossina seguirà da domani mattina con uno speciale la situazione fuori la caserma…
seguiranno aggiornamenti, foto, video ed interviste…

per maggiore info seguire il seguente link:
http://www.radiossina.info/radiossina2/?p=7160

Manduria, caccia al tunisino sotto gli occhi della Questura http://www.youtube.com/watch?v=RMxzN-WB_0E

Verona, 23 Aprile / MANIFESTAZIONE

La vicenda che si viene compiendo in questi giorni – lo scandalo di un discorso pubblico incapace di gestire politicamente il processo migratorio scatenato dalle rivoluzioni in medioriente e di trattare in termini adeguati la catastrofe umanitaria che, invece, contribuisce ad alimentare – è solo una delle facce della questione.

L’altro lato di una retorica parolaia che non sa affrontare le migrazioni contemporanee e che è in grado solo di trattarle come ingrediente per la produzione di chiacchiera securitaria, come arma di distrazione di massa, come strumento di consenso spicciolo, e che per farlo si rinchiude in un ordine del discorso privo di senso della realtà, è il fare come se i migranti, protagonisti fondamentali della composizione di classe e del lavoro vivo dei nostri territori, non fossero già qui. Solo per le televisioni e per il rozzo palato grosso dell’elettorato leghista, i migranti sono quelli bloccati nello spazio concentrazionario di Lampedusa o in transito forzato tra un ingresso e un respingimento che li allontanerebbe dall’Europa.

I “clandestini” sono invece quelle centinaia di migliaia di uomini e donne prodotti come tali dal lavoro precario e dal lavoro in nero che erogano; quelli che ancora attendono il permesso di soggiorno cui hanno diritto per la sanatoria del 2009; i truffati da mediatori senza scrupoli – qui da noi: commercialisti e consulenti del lavoro, sindacalisti gialli e politici della lega – che sulla loro pelle hanno lucrato facendosi pagare mazzette per garantire i documenti e che sono scappati con il loro denaro.

Fissare la mobilità del lavoro - bloccando i migranti nella grande galera a cielo aperto di Lampedusa, nelle periferie delle aree metropolitane come manodopera a basso costo o esercito industriale di riserva per abbattere il costo del lavoro, o trattenendoli nell’invisibilità rallentando la concessione del permesso di soggiorno – è il modo attraverso il quale vengono moltiplicati sfruttamento, lavoro nero, razzismo.

Questa risposta, l’unica, viene data non per contrastare, ma per alimentare ed incrementare invece, i processi di cui si nutre la crisi. Bisogna essere ciechi, o drammaticamente stupidi, per non comprendere che i migranti non sono solo quelli alla deriva nel canale di Sicilia, ma le migliaia di lavoratori precari entrati con permesso turistico, per ricongiungimento familiare, o con regolare permesso di soggiorno, ai quali i documenti scadono, tardano ad essere rinnovati o concessi; tutti coloro cui scade, nella crisi, un contratto di lavoro e che altro lavoro trovano solo in nero.

A Verona, come in tutta Europa, i migranti sono già qui e sono costantemente al lavoro. Sono, contemporaneamente, al lavoro, e resi invisibili perché possano essere ricattati. Stanno nei cantieri e nell’edilizia, sotto il giogo della camorra. Stanno nelle case degli elettori della lega: sono badanti, domestici, colf. Stanno nelle scuole accanto ai nostri figli, perché in molto casi nati qui, perché di seconda o terza generazione e non, come vuole la retorica di Maroni e della Gelmini, perché nati su un barcone da rispedire in Africa. Stanno nei circuiti della logistica, uno degli snodi fondamentali degli attuali regimi dell’accumulazione capitalistica. Lavorano nel commercio o sono imprenditori in proprio.
A Verona, come in tutta Europa, questi “nuovi cittadini” chiedono i propri diritti. Lo fanno da anni e lo rifanno di nuovo. Sono centinaia coloro che hanno diritto ai documenti e che non li hanno ottenuti. Perché la Questura ritarda nel rilasciarli o perché truffati da mediatori senza scrupoli.

Sono migliaia in tutto il Nord. Non chiedono di entrare in Europa. Rivendicano il diritto di restarci e di potersi liberamente muovere.

A Brescia sono saliti su una Gru. A Padova si sono accampati di fronte alla Prefettura. La sollevazione con cui il Medioriente si riscatta dalla dittatura gli ha insegnato che non si ottengono i diritti, se non al prezzo della lotta. Che non si ha democrazia senza Piazza Tharir. I “nuovi cittadini” di Verona hanno tenuto riunioni ed assemblee. Si sono autoconvocati ed autorganizzati.
Scendono di nuovo in piazza. Per prendersi quello che loro spetta. E per gettare un ponte, con il loro desiderio di libertà e di dignità, tra Tunisi e l’Europa, tra la Siria e l’Italia, tra l’Egitto e Verona.
IL 23 APRILE PARTIREMO DA PIAZZA BRA’ CON UN CORTEO CHE SI CONCENTRERA’ SOTTO LA PREFETTURA, DOVE CHIEDEREMO UN INCONTRO CON PREFETTO, QUESTORE, PROCURATORE DELLA REPUBBLICA
PER OTTENERE:
PERMESSI DI SOGGIORNO PER CHI È STATO TRUFFATO CON LA SANATORIA
PERMESSI DI SOGGIORNO PER CHI HA AVUTO LA DOPPIA ESPULSIONE
SEMPLIFICAZIONE E VELOCIZZAZIONE DELLE PRATICHE PER I PERMESSI DI SOGGIORNO E PER LA CARTA DI SOGGIORNO
PARI DIRITTI E STOP ALLE DISCRIMINAZIONI NELLE PRATICHE AMMINISTRATIVE DEL COMUNE, DELLA SCUOLA, DELLA SANITA’

Cittadinanza Globale Verona

I fili spinati della nostra mediocrità

Di fronte all’esodo, del tutto prevedibile, di alcune migliaia di migranti e profughi non potrebbe essere più indegna la farsa che si recita nell’infelice paese in cui è ci dato vivere, ormai padanizzato da Nord a Sud, con poche eccezioni. E stridente è il contrasto fra la nobiltà della primavera araba e la miseria delle italiche risposte all’esito scontato e secondario di questa straordinaria svolta storica: nient’altro che caos, disumanità, allarmismo sociale, competizione fra egoismi istituzionali, campi di concentramento, filo spinato, minacce di rimpatri collettivi, ronde “spontanee” e caccia ai fuggitivi perfino nell’ospitale Puglia. La giovane talpa ha ben scavato: il mélange mostruoso fra nazismo leghista, cinismo individualista e proprietario, provincialismo gretto e inconsapevole si mostra oggi come la biografia più autentica della nazione. Siamo il paese che è incapace o rifiuta di costringere alle dimissioni il suo despota mediocre, compagno di merende e di bunga-bunga dei tiranni travolti dalle rivoluzioni: uno che, dopo l’apocalisse giapponese, ha l’ardire di chiamare “tsunami umano” l’arrivo dei profughi. E dunque, con coerenza, ne esprimiamo a livello istituzionale e sociale gli atteggiamenti, i tic, gli umori indecenti. All’opposto e non per caso, l’eroismo e la generosità collettivi che hanno guidato la sollevazione tunisina si sono riflessi nella solidarietà, nell’altruismo, nella serena naturalezza con cui le popolazioni poverissime dei villaggi di confine - e le stesse istituzioni tunisine - hanno accolto l’arrivo di quasi 150mila profughi dalla Libia: in un paese di appena 10 milioni e mezzo di abitanti, in una fase di difficilissima transizione politica, sociale, economica.
Da noi – paese di più di 60 milioni di abitanti - sono bastati 20mila arrivi per innescare il ciclo perverso e cialtronesco del quale abbiamo detto, che va dall’insipienza e il caos alla loro strumentalizzazione allarmistica; dal disagio e rifiuto popolari al rimpallo di responsabilità fra istituzioni. E’ d’obbligo aggiungere che solo in apparenza è meno disgustosa la Francia che a Ventimiglia ricaccia oltre il confine i tunisini: per riscattare l’onore perduto, si fa per dire, Sarkozy e soci, anch’essi ex compagni di merende di Gheddafi e grandi protettori di Ben Ali, all’accoglienza e alla solidarietà preferiscono i bombardamenti “umanitari”.
Eppure in tutto questo non v’è alcun vincolo oggettivo, piuttosto volontà perverse o inettitudini soggettive.
P er parlare solo del livello istituzionale, onde garantire ai migranti il trattamento degno di un paese civile basterebbe realizzare un piano di ospitalità diffusa, organizzata per piccoli gruppi, e soprattutto emanare un decreto per la protezione temporanea, perfettamente prevista dalle norme attuali. Il che, fra l’altro, permetterebbe ai migranti di transitare nei paesi europei e di raggiungere la Francia o la Germania, cioè le loro mete reali, aggirando così il “blocco” di Ventimiglia. E’ quel che chiede la miriade di associazioni per la difesa dei diritti dei migranti, a partire dall’Arci. In modo assai più ambiguo, la protezione temporanea è evocata anche dal Pd, che però non resiste alla tentazione di chiedere altresì un “accordo con la Tunisia per gestire lo stop agli arrivi e la programmazione dei rimpatri”. Forse ignorano, i “democratici”, che in tal modo tradiscono la volontà e lo spirito della primavera araba, esemplificati di recente dalla dichiarazione del Forum economico e sociale della Tunisia. Il Forum chiede al proprio governo esattamente l’opposto: rifiutare “la richiesta delle autorità italiane riguardo al rimpatrio di massa e obbligatorio degli immigrati” e “interrompere l’attuazione degli accordi sulle questioni migratorie, stipulati con l’ex regime dittatoriale”.
Ma i nostri son duri di comprendonio. Ancora non hanno capito che la libertà per la quale i giovani tunisini ed egiziani, forse anche i libici, hanno lottato e lottano è anche libertà di movimento. I giovani rivoltosi che hanno sperimentato virtualmente il diritto alla mobilità – con blog, facebook e altre reti sociali – che perciò già ora si sentono parte di una comunità globale senza frontiere, non accettano più (ammesso che l’abbiamo mai accettato) il confinamento coatto entro i recinti nazionali. Con le loro rivoluzioni essi hanno decretato di essere parte quanto meno di un’unica regione euromediterranea. Di sicuro le ragioni che li spingono a mettere a rischio la vita imbarcandosi nelle solite carrette del mare sono molteplici quanto le biografie di ciascuno. Per molti giovani proletari tunisini la transizione, con il crollo del settore del turismo e del suo vasto indotto informale, significa perdita di lavoro e reddito, impossibilità di mantenere la famiglia. Per altri di loro, essa rappresenta, con l’allentamento della sorveglianza poliziesca, l’occasione per realizzare finalmente il progetto migratorio che avevano nel cassetto. Per molti partire, andare a vedere che c’è sull’altra sponda, è semplicemente il corollario della libertà conquistata con la sollevazione.
Pensare di costringere tali aspirazioni entro i fili spinati della nostra mediocrità pigra e incattivita, del nostro egoismo inetto a provinciale, è semplicemente dissennato poiché va nella direzione opposta a quella dei desideri collettivi altrui e del movimento storico. Già ora nei recinti di filo spinato si aprono squarci e vie di fuga. E a proposito: perché noi, i veri “volenterosi”, non ci armiamo di cesoie, reali oltre che simboliche, per incoraggiare il corso della storia?
Annamaria Rivera
in data:03/04/2011

COMUNICATO STAMPA ARCI

L’Arci attiverà la sua rete di circoli territoriali perché collaborino con i rispettivi enti locali nella promozione di forme di accoglienza diffuse, correttamente inserite nel contesto locale

Dopo l’ennesima riunione odierna con Enti Locali e Regioni, il Governo annuncia un nuovo viaggio di Berlusconi in Tunisia, a riprova che ancora non hanno nessun accordo in mano. E’ sempre più evidente lo stato confusionale in cui versa il governo di fronte all’emergenza accoglienza che sta diventando sempre più un’emergenza democratica.

La situazione di Lampedusa è ancora esplosiva e tante piccole Lampedusa si stanno costruendo in giro per l’Italia, con l’effetto di diffondere nel paese paura e tensione. Le persone vengono trasferite senza che alcun provvedimento sia stato preso a loro carico e senza informarle della loro destinazione. Tenere nell’incertezza sul loro futuro migliaia di persone è un atteggiamento irresponsabile e lesivo dei più elementari diritti umani.

Nei luoghi individuati per “accogliere” i giovani tunisini, come era logico aspettarsi vista l’assenza di coordinamento con regioni ed enti locali, cresce l’insofferenza delle comunità locali, che rischia di degenerare in episodi di intolleranza.
I nuovi campi di detenzione istituiti al di fuori di qualsiasi previsione di legge, con il conseguente trattenimento illegittimo delle persone detenute, evidenziano l’incapacità di trovare soluzioni concrete e di buon senso al problema, se non cedendo alle pulsioni xenofobe della componente leghista della maggioranza. Non possiamo riconoscerci in un paese che garantisce impunità ai potenti e nessuna certezza del diritto per gli ultimi.

Noi continuiamo a sostenere che ci sono soluzioni possibili per far fronte all’afflusso straordinario di persone dal nord Africa. Anzitutto la protezione temporanea, prevista dal TU sull’immigrazione e dalla Direttiva Europea n.55 del 2001. E poi un piano di accoglienza diffusa, per piccoli gruppi, sul territorio, con un ruolo centrale degli enti locali e delle regioni e con la collaborazione delle organizzazioni sociali, affidandone il coordinamento al sistema SPRAR. Questa accoglienza consentirebbe, con le disposizioni previste dalla direttiva europea, una ripartizione di responsabilità con gli altri Paesi dell’UE, e un impatto sociale positivo sul territorio, nonché costi molto più bassi.

Per questo l’ARCI intende attivare la sua rete di più di 5000 circoli territoriali perché collaborino con i rispettivi enti locali nella promozione di forme di accoglienza diffuse, correttamente inserite nel contesto locale. Non ci limitiamo a denunciare le conseguenze tragiche delle scelte del governo, avanziamo proposte concrete con cui aprire un dialogo con enti locali e regioni.

Roma, 1 aprile 2011

Coltano, viaggio all'interno del "lager"

La redazione di Pisanotizie ha visitato gli interni dell'ex base radar di Coltano che il Governo avrebbe opzionato quale luogo per contenere i profughi provenienti da Lampedusa. Uno stato d'abbandono diffuso e rifiuti tossici fanno da cornice a quello che rischia di tornare a essere un "campo di contramento".
GUARDA IL VIDEO E LE FOTO DELL'INTERNO DELLA BASE su http://www.pisanotizie.it/news/news_20110401_reportage_interno_struttura_coltano.html

L'ex stazione radar americana di Coltano è completamente circondata da distese di campi coltivati, all'interno dell'area di competenza del Parco di San Rossore a poche centinaia di metri dalla Stazione Marconi.
Non vi è nemmeno un albero intorno, né tanto meno all'interno dello spazio delimitato dalla recinzione, rendendo la zona priva di ogni possibilità d'ombra. Una doppia rete e doppio filo spinato circondano un'area di circa 64.000 metri quadri.
L'immagine e anche la realtà di questa struttura è quella del campo di concentramento. Non si tratta ormai più di un'area militare, ma di un'area che è passata al demanio dove, tra il maggio e il settembre 1945, la 92a Divisione 'Buffalo' della V Armata Usa gestiva appunto un campo di concentramento in cui furono rinchiusi circa 35 mila ex militari della Repubblica Sociale Italiana.
Gli edifici, costituiti all'interno da ampi stanzoni vuoti, presentano ben poche finestre, al loro posto solo piccole prese d'aria. Il primo stabile accessibile dall'ingresso della base svela la prigione che fu in passato, data la presenza sui lati della stanza di due celle.
Numerosi sono i depositi dove, come segnalano diversi cartelli, sono stati conservati di rifiuti tossici, olii esausti, e sulla cui bonifica, essendo da tempo l'area abbandonata, non vi è a oggi alcuna certezza.
"Ho visitato la struttura un anno fa quando venne proposta come centro per la Protezione Civile pisana e regionale - ha detto il vicesindaco Paolo Ghezzi nel corso di una conferenza stampa negli scorsi giorni. Così com'è non può accogliere delle persone. Il complesso è formato da diversi corpi; uno di essi contiene dei trasformatori, e gli altri sono a piano unico senza finestre, con pavimenti flottanti e in qualche caso, anche poco stabili".
Siamo entrati all'interno di questa struttura e possiamo confermare che quanto il Governo vuole realizzare è di fatto un nuovo campo di concentramento, è sufficiente vedere le foto e le immagini video che alleghiamo a questo servizio.
Entriamo da un buco nella rete, che è sopravvissuto dalla protesta fatta, lo stesso giorno dell'annuncio di questa ipotesi, dagli attivisti del Progetto Rebeldìa. Troviamo una porta aperta di uno degli stabili, entriamo, visitiamo il posto.
Usciamo con un'ulteriore conferma dell'inferno che si intende realizzare, e mentre ritorniamo al presidio rimane nella nostra testa quel "BIP" che suon continuo e cadenzato, e la cui origine non ci siamo riusciti a spiegare, che rimbomba all'interno dell'edificio.

L'invenzione del clandestino

di Augusto Illuminati

La minchia gli scassarono ‘sti migranti al governatore Lombardo, non solo l’uscio del capanno di Grammichele. Per questo incita i siciliani a far ronde notturne con il mitra, caso mai incontrassero tunisini in fuga da Mineo o sbarcati sulle coste. Li fulminassero sul bagnasciuga, come proclamò con scarsa padronanza dei termini marinari e ancor meno fortuna bellica la buonanima di Mussolini per l’altra invasione dell’isola, quella del 1943.

Folklore mafioso-leghista, che copre ben altre e più massicce operazioni di disinformazione e razzismo di Stato. Pensiamo a quel “falso movimento” che consiste in due serie di azioni opposte e complementari, vera e propria ideologia messa in scena per ipnotizzare il paese. Da un lato i migranti vengono trattenuti, ammucchiati oltre misura nella più inimmaginabile sporcizia e deprivazione, rinserrati in Cie e Cara o a cielo aperto sull’isola di Lampedusa –occorre mostrare le belve sudice e ribelli ai bravi cittadini italiani e ai connazionali rimasti in patria, guardate che succede a varcare il Canale. Dall’altro, li si fa oggetto, insieme agli sventurati zingari preesistenti, prototipo del nomade-migrante, di spostamenti frenetici senza nessun motivo plausibile (dal Cara di Castelnuovo di Porto a Mineo, poi anzi no, a Mineo ci vanno i tunisini, al Cara gli zingari, no poi ci vanno i libici doc, ecc.), con la stessa logica capricciosa e intimidatoria delle periodiche “traduzioni” carcerarie.

L’irrazionalità è però soltanto apparente. Infatti qualche ricaduta utile per il razzismo di Stato la si coglie subito: la perdita delle tutele legali per gli asilanti, lo scioglimento per tutti gli immigrati dei legami sociali fra loro e con il territorio, nel caso degli zingari anche la dis-integrazione derivante dalla cessazione dell’obbligo scolastico. Minuzie in confronto all’obbiettivo primario: la volontà di produrre clandestinità, l’invenzione del clandestino come figura giuridica e capro espiatorio, sintesi e modello di ogni precarietà nomadica, della categoria del “superfluo” come docile serbatoio di lavoro sottocosto.

Andiamo con ordine, partendo dalla produzione di superfluità preliminare al genocidio, ovvero dal modello di Hannah Arendt. Il dominio totalitario mirava in vari gradi a togliere di mezzo indesiderabili e presunti nemici di vario genere, dalla semplice segregazione e utilizzo come lavoro forzato in paesi liberali fino ai campi di sterminio nazisti. Solo questi ultimi sono spariti, mentre le forme meno cruente sono sopravvissute, trattenendo le vittime in una condizione simbolica intermedia fra la vita e la morte, fra visibilità e invisibilità. La produzione di superfluità è, per sua essenza, generazione di isolamento e impotenza, intensifica una tendenza all’atomizzazione che è costitutiva della società moderna e mira a privare gli uomini di mondo, distruggendo non solo l’attività politica e la cooperazione ma sradicando lo stesso bios, la vita qualificata ridotta sempre più a vita nuda.

Il Lager è solo la forma estrema di esibizione della superfluità di un gruppo etnico o sociale e nel contempo di ammonizione per chi resta fuori ma potrebbe finirvi dentro ad arbitrio del potere. Non è un punto d’arrivo obbligato (infatti oggi ce ne sono versioni più miti, i Cpt, Cie, Cara, ecc.) e sono diversi gli “ospiti” (tranne gli zingari, guarda caso), ma attenzione a come ci si arriva: censimento identificativo di una specie (oggi zingari e immigrati), graduazione di diritti di assistenza e cittadinanza fino alla completa esclusione, spostamento incessante per far vedere che non hanno comunanza comunitaria e territoriale con gli altri, che sono appunto “superflui”, dunque impiegabili a piacere in qualsiasi tipo forzato di lavoro e, al limite, massacrabili nell’indifferenza. Oggi il massacro non è certo la regola, se non del pogrom saltuario di avvertimento (Castel Volturno, Rosarno), mentre prevale l’uso di campi e centri a varia denominazione come filtri per la manodopera illegale e inviti eloquenti a obbedire in silenzio. La logica del villaggio recintato (ultimi Manduria e Mineo) è di richiudere un certo numero di clandestini con la speranza del permesso di soggiorno da profughi e la paura dell’espulsione, lasciare scappare i più intraprendenti con il miraggio della fuga in Francia o Germania e la realtà dell’assorbimento nel lavoro nero o nella manovalanza criminale.

Alla visibilità ostentata del campo e della miseria del rifugiato fresco di sbarco corrisponde l’invisibilità sistemica del clandestino, come un tempo (con esiti più tragici e meno produttivi di ricchezza) all’animalizzazione conclamata dell’ebreo nel ghetto corrispondeva la sparizione nel fumo dei camini. Oggi il clandestino invisibile è messo al lavoro, in condizioni di semi-servaggio, appaltato alla camorra, manovrato secondo i ritmi della crisi, mentre una sua rappresentanza visibile è sballottata qua e là come un tempo sui treni di Eichmann o mostrata in Tv nel reality di Lampedusa o dei campi nomadi incessantemente smantellati e ricostruiti a ogni rogo di bambini –versione artigianale dei forni crematori del passato. Separare dal resto della popolazione i “pacchi” da accatastare sulla collina della vergogna di Lampedusa o da spedire in giro per l’Italia, esasperare la precarietà di cui i migranti sono paradigma esibendo in modo terroristico la loro instabile diversità serve, proprio forzando il paradigma, per impedire che i precari “nazionali” vi si riconoscano e solidarizzino, insinuando anzi che se i meno sfortunati indigeni osassero ribellarsi potrebbe toccare loro la stessa sorte degli allogeni. Rendere “superflui” gli ebrei esortava anche i non-ebrei a desistere da qualsiasi resistenza; oggi gli obbiettivi sono più modesti e utilitari –siamo in democrazia e c’è la globalizzazione, diamine!

Il clandestino è un essere in carne e ossa, ma la clandestinità è un prodotto giuridico e sociale, fabbricato secondo un piano preciso che la prevede come parte di un dittico: regolari e clandestini. Non ci sono gli uni senza gli altri, dunque occorre fissare una distinzione arbitraria che tuteli una minoranza costruendo una maggioranza deprivata di diritti e abbandonata allo sfruttamento più turpe sotto l’etichetta, ora “operosa” non genocida, di “superfluità”. Il dispositivo attuale implica invero tre settori: regolari con permesso di soggiorno collegato a un contratto, clandestini espellibili (ma ben poco espulsi), asilanti. Questo terzo gruppo, peraltro ben poco tutelato nella legislazione nazionale rispetto agli standard europei, ha una funzione strettamente politica, di appendice alle campagne belliche calde o fredde. Nell’Europa di anteguerra i rifugiati “famosi” (i Thomas Mann, gli Einstein) servivano a giustificare la campagna anti-nazista, mentre gli altri rifugiati erano rinchiusi nei campi, belli che pronti per l’imminente invasione tedesca. Cani con collare e cani randagi – commentava Arendt. Nel dopoguerra gli esuli di Oltrecortina e i fuggiaschi dalla Germania orientale e dai Sudeti servivano alla propaganda anticomunista, dopo la caduta del Muro i rifugiati bosniaci e kosovari facevano parte del progetto di intervento disgregatore in Jugoslavia e in parte vi sarebbero ritornati. Oggi i richiedenti asilo sono diventati imbarazzanti, perché Usa ed Europa non riescono a utilizzarli in un progetto neocoloniale, stante l’impossibilità di separare la fuga dalla tirannide e dalla guerra rispetto all’emigrazione economica. Quindi nessuno se li vuole accollare, anche perché provenienti spesso da aree oppresse da “amici” dell’Occidente (kurdi, palestinesi, irakeni, maghrebini). Anche gli Usa non riconoscono asilanti dall’America centrale e meridionale!

Il governo italiano si arrovella oggi sulla distinzione fra profughi di guerra e clandestini cercando di mantenere la creazione artificiale di clandestinità con evidenti contraddizioni: perché i 200.000 tunisini espulsi dalla Libia e assistiti alla frontiera con il contributo ufficiale italiano non sarebbero profughi di guerra? come distinguerli dagli altri tunisini? E gli etiopi ed eritrei, che adesso riconosciamo quali asilanti perché arrivano da Misurata, non sono gli stessi che abbiamo riconsegnato qualche mese fa ai campi di concentramento dell’allora amico e baciato Gheddafi? Comunque vengano dosate e distribuite tali categorie, il criterio decisivo è quello dell’emergenza, comodissimo per giustificare ogni arbitrio amministrativo e per mantenere i fenomeni sociali (dal mercato del lavoro alla cittadinanza) sotto un regime d’eccezione. Sui drammatici effetti pratici dell’emergenza la benemerita Welcome resoconta ora per ora, non c’è bisogno di aggiunte. Per le “idee” basti ricordare i progetti di rimpatrio coatto con navi militari in Tunisia contro la volontà di quel paese per additare i labili confini fra pensiero emergenziale e neurodeliri. Comprendendovi il ricatto maroniano: non vi mandiamo più 600.000 turisti. Tutti dirottati a Ponte di Legno e in val Brembana, magari...

Il vero stato d’eccezione è però –lo sappiamo da sempre– quello degli oppressi. La produzione nazista di superfluità fu interrotta per prima dalla rivolta del ghetto di Varsavia, quando i “superflui” si fecero antagonisti. In piccolo, Rosarno è stata la nostra Varsavia. Poi sono venuti i tumulti in tutto il Nord Africa e il Medio Oriente. Qualcosa è bruscamente cambiato nell’atteggiamento remissivo di un tempo. Il muro della paura, quando crolla, travolge molte cose. Non a caso per i miserabili spiaggiati a Lampedusa quegli altri (e in senso proprio) miserabili che sono Lombardo e Miccichè cominciano a cianciare di “invasione”. Invasori «con le scarpe firmate» –come vaneggia quell’imbecille del governatore Zaia. Exit e voice si intrecciano inesorabili. Il diritto stesso di fuga si estende dalle coste maghrebine alle reti divisorie di Cie e villaggi dei dannati di ogni tipo. Non sarà il caso di andare oltre alle giustissime misure tampone (accoglienza efficiente, permessi di soggiorno straordinari, apertura dei confini europei) e ricominciare a parlare di tempi per la cittadinanza, di diritto del suolo per i nati ed educati in Italia e di diritto di voto per gli immigrati regolarizzati, come sta chiedendo la Fiom, peraltro nell’assordante silenzio della sinistra? Altre figure, di governo e di opposizione, stanno diventando “superflue”.