martedì 29 marzo 2011

Siamo pronti ad accogliere i migranti di lampedusa!

Associazione dei 42 Comuni della Locride
Comitato direttivo.


Siamo italiani. Ci sentiamo europei ma nello stesso tempo siamo consapevoli dei nostri legami indissolubili con tutti i popoli del Mediterraneo.
Il razzismo non fa parte della nostra civiltà che ha visto nei secoli un continuo e proficuo scambio con i popoli che si affacciano su questo nostro mare.
Quanto avviene a Lampedusa ci umilia e ci imbarazza .
Non è questa l’Europa che vogliamo, non è questa la nostra Italia.
La zona Jonica reggina è conosciuta perché, da tanto tempo, comuni come Riace e Caulonia, sono diventati modelli di accoglienza.
Una accoglienza che tende non solo a porgere la mano ai disperati che bussano alle nostre porte ma che ha, come obbiettivo di fondo, l’idea- certamente di non facile attuazione- di far rinascere le campagne abbandonate ed i borghi disabitati grazie agli immigrati ed ai rifugiati.
Dinanzi a quanto sta succedendo a Lampedusa e sulle coste dell’Africa non restiamo indifferenti. Non ci giriamo dall’altra parte.
Il Comitato direttivo dell’associazione dei 42 comuni della zona Jonica ha deciso di dichiarare la Locride terra di accoglienza.
Non si tratta d’una semplice dichiarazione di principi.
Già abbiamo comunicato che grazie alla sensibilità di alcuni sindaci come quello di Gerace e quello di Antonimina siamo disponibili a che nella nostra zona sorga una “tendopoli” (che abbia come requisito prioritario la tutela della dignità umana) che accolga gli immigrati. Altri Comuni , tra cui Benestare, hanno messo a disposizione alloggi, ed un fabbricato sequestrato alla ndrangheta. Altri sindaci hanno dato la propria disponibilità a collaborare.
Numerosi i medici ed i volontari che si sono messi a disposizione.
Molte le cooperative pronte a mettere a disposizione la professionalità maturata nel settore.
Siamo consapevoli di fare solo e soltanto il nostro dovere.
Non dimentichiamo mai chi siamo stati, quanto volte siamo stati noi a bussare alle porte degli altri e quante volte siamo stati invece un rifugio sicuro per altri popoli.
Vogliamo solo ribadire che la Locride non è terra di mafia.
La Locride è , prima di tutto e innanzitutto, una Terra di civiltà antica, di gente generosa, di naturale ospitalità!

IL presidente del comitato direttivo
Ilario Ammendolia
Sindaco di Caulonia.

Lampedusa, Alkatraz del Mediterraneo

http://www.meltingpot.org/articolo16543.html

Nuove e ordinarie strategie di brutalità e confinamento in Europa
Da più di 24 ore siamo su questa isola, Lampedusa. Se è difficile intuire la fase e capire come agire rispetto agli stravolgimenti che stanno avvenendo su scala planetaria, è altrettanto difficile riuscire da qui, da questa terra spettacolarizzata e carcerizzata, trovare la lucidità necessaria per raccontare quello che si consuma sotto i nostri occhi.

Verso e oltre il porto vecchio di Lampedusa
Già fin dalla mattina centinaia e centinaia di giovanissimi ragazzi si sono riversati sulla palata principale del porto vecchio. La prima immagine che ci appare mentre lentamente ci avvicinavamo al porto per incontrare i migranti, è quella di un formicaio umano, la grande frenesia, di un unico corpo scomposto e ansioso, alla ricerca di pace e di riposo, di risposte e libertà. Appena arrivati in prossimità del porto, abbiamo capito che la giornata sarebbe stata lunga. Intanto perché iniziavano a circolare le prime voci di possibili trasferimenti, poi avvenuti durante il primo pomeriggio con alcuni aerei (circa 200 le persone trasferite con questa modalità, destinazione probabile Manduria Puglia), poi perché la tensione è rimasta costante per tutta la giornata, da parte soprattutto dei giovanissimi, tensione nel cercare e trovare risposte ai propri fragili e deboli sogni. Quelli di una vita migliore, naufragata sulle coste bellissime, di un’isola abbandonata al suo destino. Un destino che trova nel mare il suo significato, quel mare crocevia di sogni, di culture, quel mare trasformato dalla Fortezza Europa, in una frontiera spettacolarizzata, plasmata chirurgicamente per respingere, confinare violentemente e brutalmente la mobilità dei corpi in fuga e in cerca di protezione. Se poi ai corpi dei migranti si devono sacrificare i corpi di altre 5.000 persone, abitanti di un’isola aspra e dura, quanto bella, ciò non importa. L’importante è che continui quello che abbiamo visto e contrastato negli ultimi dieci anni, trasformare i migranti approdati, in clandestini, in barba ad ogni norma, ad ogni minima garanzia per la persona e per la sua dignità.

Il Porto: primo dispositivo di confinamento e produzione di immaginario

E allora il Porto diventa un luogo simbolico di arrivo ma anche di imbarbarimento: rifiuti sotto al sole, che si trasformano in odori acri e materiale decomposto, coperte sporche e umide accatastate una sull’altra, tonnellate di bottigliette di plastica sparse ovunque. Dove saranno tutte le persone che hanno bevuto quell’acqua? Dormito in quelle coperte? Quale il loro destino? Attesa, detenzione, confinamento, espulsione, sono le uniche cose che ci vengono in mente. Quando i migranti si avvicinano a noi, vorremmo poter sorridere serenamente, poter dare risposte rassicuranti, ma gli unici dispositivi e interventi che abbiamo sentito e visto praticare, in Italia e in Europa, che si tratti della continua produzione di clandestinità o irregolarità forzata, che si tratti di sfruttamento o discriminazione, ci indicano chiaramente proprio come sul terreno della cittadinanza e della sua difesa, si sia limitato quello che di più bello e vero portano con se questi giovani uomini: il sogno di poter scegliere, di poter decidere di andare o di restare, di poter cambiare o autodeterminare, la propria vita. Mentre tutti questi pensieri ci attraversano - non riusciamo a fermarli - sentiamo forte salire la tensione, accadono alcune cose significative.

I Pasti
La prima è che durante la somministrazione dei pasti a pranzo, si è sollevato un coro generale, quasi salmodiante, che si avvertiva anche da lontano, perché i pasti distribuiti erano stati trasportati su un furgone della nettezza urbana. La qualità del cibo non sembra ottimale (piatti pronti e imballati), così come le quantità. Cercando di raccogliere alcune informazioni attraverso alcune associazioni locali per capire chi gestisce il servizio viveri, appare chiaro che nella “gestione umanitaria dell’emergenza” ci sia un certo business da parte di alcune coop. Si parla di 30 euro al giorno per migrante.

Sbarchi o Recuperi?

La seconda è che nel pomeriggio abbiamo assistito a tre “recuperi”. Circa duecento i nuovi arrivi. Questo crediamo sia un aspetto molto importante da segnalare. Gli arrivi dell’ultima settimana non sono sbarchi, le carrette del mare, non arrivano autonomamente sulle spiagge di Lampedusa, ma vengono individuate a largo e trainate o traghettate al porto dalle motovedette della finanza o della Marina militare. Su questo punto i Lampedusani sono molto insistenti, come a voler confermare che gli abitanti dell’isola hanno svelato e capito il piano del governo, piano che chirurgicamente e strategicamente ha trasformato quest’isola in un centro di identificazione ed espulsione a tappe.
Infatti mano a mano che passano i giorni, i giovani di Tunisi, vengono fatti avanzare sul molo, per ordine di arrivo. L’organizzazione è completamente delegata da parte delle autorità presenti (forze dell’ordine comprese) ad alcuni migranti che vengono identificati come capi gruppo, la discriminante e che sappiano parlare italiano. Sono questi capi gruppo, a cui viene delegato l’aspetto di controllo sugli altri migranti, che li organizzano e li fanno sistemare in file indiana. Il paradosso è che si autorganizzano verso le identificazioni presso il centro locale (possibile anticamera per la successiva espulsione) e verso nuove detenzioni in altri campi come il Cie provvisorio di Manduria in Puglia.

Minori

Quello che colpisce è vedere nel caotico stiparsi di centinaia e centinaia di persone, tantissimi ragazzini, stretti nei loro giacchetti o avvolti nelle coperte. Quattordici, quindici, sedici anni, queste le loro età. Colpisce parlando con loro che a differenza di quasi tutti gli altri tunisini presenti, non parlino francese ma solo arabo e che provengano dai villaggi rurali intorno alla capitale e che molti siano orfani di entrambi i genitori. Altri invece sono stati spinti dalle famiglie a partire. Proviamo a spiegargli che in Italia per i minori stranieri non accompagnati è previsto uno status, una protezione speciale, ma quando chiediamo se sono entrati i contatto con degli operatori ci viene risposto che nessuno ha parlato con loro. Save the Children che opera sull’isola e che abbiamo contattato, dice che sono tantissimi, che sono stati tutti censiti e sistemati in alloggi sicuri e protetti (Museo del mare), ma che preferiscono dormire all’agghiaccio con gli adulti con cui sono partiti, vicini di casa o amici di parenti, adulti ai quali sembrano essere stati affidati dai famigliari.

Tendopoli e dormitori sotto il cielo

Tutto intorno al porto la collina che lo sovrasta e la spiaggetta limitrofa sono trasformati in un enorme tendopoli improvvisata con teli di fortuna e legni di alberi raccolti dal mare. Difficile quantificare quante siano le tende che appaiono alla nostra vista, sembrano montagne di sacchetti di plastica abbandonate in quel luogo da anni, ma all’interno ci sono persone sdraiate che cercano riposo o protezione anche durante il giorno dai caldi raggi del sole. Qui si trovano i migranti appena sbarcati o arrivati da qualche giorno. Per gli altri, arrivati da una settimana, c’è un’altra tendopoli improvvisata ed allestita nei pressi del centro di identificazione, posto al centro dell’isola.

Evacuazione come produzione di clandestinità

Il piano di evacuazione annunciato non sembra essere adeguato per rispondere alla necessità di risolvere da subito la situazione. Per duecento che partono in direzione di nuovi dispositivi di imprigionamento, ne arrivano altrettanti. Naturalmente della possibilità che per decongestionare la situazione, venga riconosciuta ai migranti che hanno sfidato i confini dell’Europa la libertà di arrivare e di andare, di scegliere dove stare, attraverso lo strumento della protezione temporanea, nessun segnale. Anzi. Mentre l’isola e i suoi abitanti soffrono rispetto alla possibilità di tornare ad una vita normale (come si fa a tornare ad una vita normale quando scorrono ogni giorno queste immagini di sofferenza e assoggettamento di migliaia di persone abbandonate a se stesse?!), la fabbrica della clandestinità è a pieno regime. Nuovi e improvvisati centri di identificazione ed espulsione vengono allestiti sulla terra ferma, per trasformare ancora una volta la lunga attesa e l’auspicata partenza verso il luogo di destinazione scelta da migliaia e migliaia di persone nell’ennesima produzione di violenza e comando del confine.

Welcome
Chiedere oggi, agire e costruire dal basso nei prossimi giorni, una grande campagna per la protezione dei migranti e la libertà di circolazione europea, è l’unico modo che intravediamo per riaffermare il diritto dei cittadini di Lampedusa e allo stesso tempo quello dei migranti.

www.meltingpot.org

Lampedusa - Il video, le foto e la cronaca degli sbarchi e delle proteste

http://www.meltingpot.org/articolo16542.html

Sabato 26 marzo, il racconto dal presidio Welcome: nuovi sbarchi anche in serata e proteste sull’isola. Continua il presidio della campagna Welcome.
Nuovi sbarchi e proteste sull’isola, intanto continua la presenza del presidio della campagna Welcome su Lampedusa contro detenzioni e confinamenti, per lo svuotamento dell’isola-carcere e la libertà dei migranti.

La giornata inizia con la notizia di nuovi avvistamenti di imbarcazioni di migranti al largo dell’isola. La banchina del Porto, epicentro delle operazioni di recupero, distribuzione viveri, identificazioni e trasferimenti è di nuovo affollata di persone suddivise in gruppi di cinquanta, in attesa di essere portati al centro per le identificazioni e nella speranza di partire. In visita al porto anche il vicepresidente del Parlamento Europeo Roberta Angelilli che assiste allo sbarco di un barcone con 103 migranti a bordo.
Per contattare il presidio Welcome chiama il numero 345 7583902

www.meltingpot.org

Lampedusa - ll CIE di Contrada Imbricola e i rifugi per minori non accompagnati
http://www.meltingpot.org/articolo16544.html

Reportage, foto, video, del Progetto Melting Pot Eurpa

Lampedusa - Centro Contrada Imbricola = Cie.

Al centro dei riflettori da diversi anni per l’inadeguatezza della struttura. Dal porto partono ogni giorno i pullman con una cinquantina di migranti - destinazione Cie per essere identificati. Addentrandosi per le stradine non asfaltate, seguendo giovani tunisini a piedi e proseguendo di mini accampamento in mini accampamento: l’odore del pesce su fuochi improvvisati, i panni stesi su stendini di fortuna, le domande in francese per capire chi sei, cosa fai qui, in mezzo al nulla, dall’alto all’improvviso rete e cemento. L’imponente struttura del Cie si inalbera tra ciotolato e cespugli e rivela immediatemente mille contraddizioni e una complessiva assurdità. Il sentiero è ben tracciato. La rete non tiene più. L’accesso libero.

In entrata e uscita. Dentro come fuori: accampate centinaia e centinaia di persone. Molte ammassate in stanze sovraffolate. Le condizioni igienico-sanitarie assenti. Caos. Dentro come fuori. Lo stesso odore di cibo, di vestiti bagnati, di inadeguatezza di servizi, di sovraffolamento. Sulle pareti della prima stanza a sinistra le scritte a bomboletta ricordano luoghi di provenienza: "w la Tunisia". Appena eravamo saliti sulla collina l’avevamo riconosciuto, ce lo ricordavamo dopo i nefasti del 2009 quando a seguito della conversione da centro di accoglienza in centro di detenzione, i migranti rinchiusi dentro la struttura strapiena diedero alle fiamme tutto, scatenando una rivolta che mise alle strette Maroni e l’intero governo italiano. Le mura bianche e gli alti prolungamenti antiarrampicamento, le sbarre alle finestre e gli operatori della cooperativa che gestisce il centro assediati durante lo spostamento dei vettovagliamenti. Il cie, o ciò che ne rimane dopo gli infiniti ingressi della settimana, è una nuova struttura che non detiene e non accoglie più allo stesso tempo. Non si entra perché espulsi e non si esce perchè in procinto di essere rimpatriati. Non esiste convalida di trattenimento, anzi in molti pagherebbero per trovarvi riparo pur di non dormire al freddo la notte. Ci si rifornisce, ci si accampa o si va a trovare qualche amico di quartiere con cui si è partiti dalla Tunisia.

A prima vista l’accoglienza non è gestita razionalmente, le reti che circondano il campo e che lo allungano da quello che all’apparenza rappresentava lo scheletro del vecchio centro di detenzione, sono aperte. Appena entrati veniamo condotti dagli stessi migranti a riprendere nelle stanze. Accampati l’uno sopra l’altro – persino sotto il letti – tanti ragazzi vivono alla fortuna in piccoli container tra docce e vie allagate. La precarietà sanitaria è evidente nonostante tentino in tutti i modi di autorganizzare la propria convivenza. La struttura inizialmente era composta di due sezioni, l’una per gli uomini e l’altra per donne e bambini. Dopo l’addensarsi degli arrivi su impulso delle associazioni la cooperativa ha destinato altre strutture esterne al campo per le categorie vulnerabili. I minori erano stati condotti esclusivamente al museo del mare accanto al campo da calcio e il comune, nella notte tra il 23 e 24 la stessa struttura di accoglienza eccezionale veniva occupata dagli adulti ed ora nello stesso luogo vi convivono tutti.

Abbiamo riconosciuto lo stesso museo per la presenza al di fuori di minori di età compresa tra i 13 e i 17 anni, appena entrati abbassando lo sguardo ci siamo accorti che le scarpe erano immerse nel pavimento completamente allagato. Un ragazzino ci ha fatto da guida all’interno della struttura, tra un pianoforte ed un anfora antica. Insieme al Cie il museo rappresenta una forma di campo di transito, la cui via di accesso e di uscita è libera ma il cui spazio risulta saturo per l’eccedenza delle presenze.

Altro denominatore comune di luoghi simili è il racket dei posti letto, venduti da chi per primo li occupa – anche più di uno – e poi li rivende al miglior offerente. In tutto ciò i più vulnerabili, non solo i minori, partono svantaggiati. Non riescono ad avere un tetto o perché soli, fragili, o magari senza soldi. La forma campo a Lampedusa non si concretizza nei luoghi di accoglienza o di detenzione, la stessa isola è un campo le cui strutture per il rifugio non sono altro che pedine irrilevanti di una scacchiera la cui fine è l’imbarco verso altre zone d’Italia, o della Tunisia chi può dirlo.Rimane difficile pensare a quanto possano essere state informate dei loro diritti, a quanto possano essere stati informati di ciò che accadrà nei prossimi giorni e di dove andranno a finire.

Si attende la consegna di un biglietto, prima della quale i migranti vagano di giorno come Don Chichotte e di notte come fantasmi in preda ad una sete di speranza che solo il futuro e speriamo l’avanzare del viaggio potrà loro saziare.

www.meltingpot.org

Report da Mineo

Si è da poche ore concluso il presidio di fronte al villaggio della “solidarietà” a Mineo indetto dai sindaci del calatino; i partecipanti erano circa 500 e la presenza degli antirazzisti è stata determinante nel fare naufragare l’irresponsabile tentativo di criminalizzare gli immigrati “irregolari” provenienti dalla Tunisia.
Il grosso dei tunisini ha esercitato il giusto diritto alla fuga per non obbedire alle leggi razziste, ma la devastante propaganda xenofoba ha fatto arretrare di molto il confronto con la comunità di Mineo, iniziato con il seminario tenutosi a Mineo “Accoglienza, la parola a chi la fa” il 19/3 scorso. Durante il seminario il sindaco di Riace (RC) Domenico Lucano ha dimostrato che spendendo meno della metà di quanto costa detenere un migrante al villaggio della “solidarietà”, si possono costruire buone pratiche d’accoglienza nei piccoli centri con positive ricadute economiche nelle comunità ospitanti, addirittura i figli dei richiedenti asilo hanno garantito la riapertura della scuola elementare.
A Mineo la vergognosa operazione di segregazione in un mega “Cara”, deportando oltre 1000 richiedenti asilo da percorsi d’inserimento da numerosi altri Cara in varie parti d’Italia, procede incurante dell’opposizione degli enti locali del calatino. Il fantomatico piano per accogliere l”esodo biblico” è naufragato di fronte all’arrivo di circa 15000 migranti dalla Tunisia nelle ultime settimane; addirittura si rende invivibile la situazione a Lampedusa per aizzare gli isolani contro i migranti (vergognosa la “crisi idrica” esplosa, quando durante l’estate con 20000/30000 turisti, con un consumo idrico ben maggiore, l’acqua non manca mai).
Tornando al presidio di stamattina vi era la presenza di provocatori di Forza Nuova e di altre forze che tentavano di gettare benzina sul fuoco della xenofobia , ma l’atteggiamento responsabile dei sindaci e degli antirazzisti ha evitato che la situazione degenerasse.
Abbiamo potuto monitorare direttamente con i migranti (anche perché non ci fidiamo troppo delle versioni “ufficiali” date ai sindaci ed ai parlamentari presenti) non pochi casi di violazione dei diritti umani da parte delle forze dell’ordine e della CRI. In seguito al presidio ed alla delegazione in Prefettura lo scorso mercoledì 23 abbiamo consegnato insieme all’Arci ed a varie associazioni una formale richiesta d’ingresso nel villaggio ed attendiamo ancora pazientemente risposta . Intanto da 2 giorni sia i richiedenti asilo che i migranti tunisini non possono uscire, la cosa sta destando ostilità e tensione fra i richiedenti, purtroppo la guerra fra poveri potrebbe dilagare anche fra migranti.Per tutto ciò è più che mai urgente organizzare una forte mobilitazione regionale contro il razzismo , contro questa guerra neocoloniale ed il devastante ruolo di morte della base militare di Sigonella, costruendo e praticando elementari forme di solidarietà dal basso, dai passaggi in macchina, ad offrire ai migranti una colazione al bar e/o i prodotti della nostra terra per risarcirli dell’imbarazzante imbecillità dei razzisti, che delirano di organizzare le ronde.
Gli antirazzisti lampedusani di Askavusa hanno distribuito gratuitamente vestiti e scarpe (a livello regionale si stanno organizzando altri aiuti umanitari) , potremmo fare altrettanto nel corso del prossimo presidio; dobbiamo dimostrare ,nonostante la barbarie della guerra , che esiste e sta crescendo nelle popolazioni calatine ed in Sicilia la capacità di distinguere fra le vittime ,alle quali va la nostra incondizionata Solidarietà, ed il disumano sadismo dei carnefici, che purtroppo, ancora ci governano.

27/3/2011
Rete Antirazzista Catanese

lunedì 21 marzo 2011

NON CI SONO GUERRE GIUSTE!

21 marzo 2011, 00:22

Dopo un mese di tentennamenti, le forze occidentali hanno sferrato l’attacco alla Libia dichiarando di intervenire in difesa del popolo libico. La risoluzione 1973 delle Nazioni Unite serve da garanzia alle operazioni militari guidate per adesso da Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Canada, Spagna, Danimarca e Italia.
La guerra a Gheddafi viene fatta in un momento in cui il dittatore si trova in una posizione di forza. Nelle scorse settimane, mentre la rivolta popolare dilagava costringendo all’angolo Gheddafi, la diplomazia internazionale balbettava nel più assoluto imbarazzo nel vedere che il Colonnello di Tripoli – coccolato fino a ieri come valido partner economico dalle potenze occidentali (armi, petrolio, contrasto all’immigrazione) – perdeva terreno sotto i colpi di un’insurrezione senza capi.
E così, l’Onu ha aspettato che Gheddafi riconquistasse le città della Cirenaica spingendosi fino alle porte di Bengasi: in tal modo, nell’ipocrita retorica militarista in cui la guerra viene spacciata come “umanitaria”, il rischio che si verifichi un bagno di sangue per la popolazione civile è altissimo.
D’altra parte, l’interesse delle potenze occidentali è quello di mettere le mani sui rubinetti del petrolio, distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dalle problematiche generate dalla crisi economica e incrementare il volume di affari degli stati e del capitale speculando sulla sofferenza dei popoli.
In questa avventura scellerata in cui l’Italia recita il solito copione di paese a sovranità limitata, Trapani viene direttamente coinvolta con la base militare di Birgi, e tutta la Sicilia rischia di diventare un’immensa portaerei per fare la guerra.
Tutto questo si sarebbe potuto evitare se la diplomazia internazionale fosse intervenuta subito, riconoscendo e legittimando il governo di transizione della Libia liberata.
Tutto questo si sarebbe potuto evitare se le pressioni su Gheddafi fossero state esercitate nel suo momento di maggior debolezza, senza bisogno di sparare un colpo.
Ancora una volta, invece, gli Stati si armano per fare la guerra confermando di non voler gestire con intelligenza e lungimiranza i conflitti.

NEL RINNOVARE LA NOSTRA SOLIDARIETÀ AL POPOLO LIBICO IN LOTTA PER LA LIBERTÀ, CONDANNIAMO FERMAMENTE L’OPERAZIONE MILITARE ONU!

LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE PUO’ E DEVE SOSTENERE L’AUTODETERMINAZIONE DEI POPOLI CHE IN LIBIA, EGITTO, TUNISIA, BAHREIN E YEMEN HANNO DIMOSTRATO CHE È POSSIBILE ORGANIZZARSI DAL BASSO CONTRO L’OPPRESSIONE!

CON LA GUERRA DEGLI STATI NON SI CONQUISTA LA LIBERTÀ, NON SI VINCONO LE RIVOLUZIONI, NON SI COSTRUISCE LA PACE!

Coordinamento per la Pace – Trapani

domenica 20 marzo 2011

Repressione in Bahrain

Ai direttori del Manifesto e di Liberazione, alla stampa progressista,
a tutti i democratici

La straordinaria esperienza di mobilitazione democratica del Bahrain è stata schiacciata nel sangue con l'intervento delle forze armate saudite.
Vivo qui in Bahrain e sono stato testimone di un risveglio di coscienza politica e sociale avanzatissimo. Dopo i primi scontri e le prime violenze la vecchia leadership sciita è stata scavalcata ed esautorata da una nuova generazione di protagonisti: i giovani e le donne. Hanno saputo prendere in mano l'organizzazione della lotta politica, con metodi assolutamente pacifici e di massa, un'organizzazione capillare ed obiettivi e parole d'ordine assolutamente chiari e trasparenti: libertà e democrazia.
I giornalisti come Michele Giorgio e l'inviato di Repubblica hanno potuto constatare la situazione e ne hanno dato conto con servizi puntuali e rigorosi.
Bene, a questo punto chiedo che i democratici si facciano carico di una mobilitazione almeno pari a quella portata avanti nei confronti degli insorti libici, che non erano né pacifici né disarmati, che non avevano piattaforme politiche così trasparenti, che erano sponsorizzati dai servizi segreti di mezzo mondo e da quello stesso Consiglio del Golfo che ha mandato i carri armati qui in Bahrain.

Chiedo che si faccia pressione perchè l'Unione Europea prenda posizione in modo altrettanto deciso contro i governi bahrenita e saudita, che la Corte Penale Internazionale agisca con la stessa prontezza dimostrata per la Libia, che la pletora agenzie e organizzazioni preposte alla difesa dei diritti umani dia un'occhiata anche da queste parti.

Chiedo che le grandi firme e i padrini nobili della sinistra si spendano anche per questa causa, forse più difficile, perchè non devono schierarsi contro un "dittatore pazzo", ma contro uno dei nodi più potenti e oscuri del potere occidentale sul petrolio: le monarchie del golfo.

Il Bahrain è un piccolo paese, ma, con il sostegno e la solidarietà dell'opinione pubblica progressista (se esiste e qualunque cosa voglia dire), poteva mettere in crisi, con la sola forza del pacifismo e della mobilitazione di massa, un potere senza alcuna legittimità e alcun appoggio popolare, che si regge su un'oppressione medievale (Arabia Saudita), sulla schiavitù di massa (Emirati), sulla corruzione di rendite petrolifere immense (tutti). Non si è voluta cogliere questa opportunità, preferendo correre dietro a mobilitazioni più rassicuranti (Tunisia ed Egitto, dove il popolo si mobilitava, ma comunque dietro rimaneva, rassicurante e a garanzia degli interessi occidentali, l'esercito; oppure Libia, dove si poteva comunque dare addosso aggratis al mostro di turno).
Adesso abbiamo una occupazione militare con i carri armati per le strade. Abbiamo le forze speciali che tutte le notti rastrellano con metodi nazisti villaggi e quartieri entrando nelle case e sequestrando gli oppositori, la cui sorte resta ignota.

Che vogliamo fare? Ce la facciamo a stracciarci qualche veste anche per l'opposizione bahrenita?

Tonino
www.Sinistrainrete.info

La guerra è iniziata:

mobilitazione generale dei Giovani Comunisti
marzo 20, 2011 simone.oggionni

La guerra è iniziata. Lo sapevamo, lo avevamo ampiamente previsto, mettendo in guardia rispetto alla rapida involuzione di un quadro che, purtroppo, lasciava poco spazio all’equivoco e all’immaginazione.
Ora siamo in guerra. Aerei francesi e americani hanno iniziato i bombardamenti e lo stesso faranno, a breve, gli aerei che stanno partendo dalle basi collocate sul suolo italiano.
E’ il giorno della rabbia e della vergogna. Rabbia per non essere stati in grado di fermare la barbarie. Vergogna per essere parte di un sistema di potere (economico, politico, militare) che da secoli non fa altro che uccidere tutto ciò che non si adegua ai suoi dettami.
Ma deve essere anche il giorno della reazione di massa e di popolo alla guerra neocoloniale contro la Libia.
E deve esserlo a partire da noi, dal nostro partito, dalla Federazione della Sinistra e, in particolare, dai Giovani Comunisti.
Da domani mattina tutte le nostre strutture territoriali si devono sentire investite dell’obbligo di organizzare iniziative di controinformazione, presidi di solidarietà, picchetti, sit-in, assemblee. Dall’obbligo di prendere per mano il movimento contro la guerra e farlo uscire da un torpore che in questi giorni ha già fatto molti danni.
Ogni mobilitazione, ogni iniziativa che riusciremo a mettere in campo sarà positiva, importante, fondamentale.
Nei prossimi giorni organizzeremo anche momenti nazionali. Sicuramente saremo davanti alle basi di Trapani e di Sigonella. Stiamo organizzando in queste ore manifestazioni, possibilmente permanenti.
Quello che vi chiedo è di coordinarci insieme, di lavorare in stretto contatto tra noi, di non disperdere le energie e di finalizzarle tutte nella stessa direzione.
Per questo è fondamentale tenere la barra sulla linea politica definita in questi giorni, senza ambiguità né tentennamenti.
Non abbiamo alcuna simpatia per il regime dispotico di Gheddafi (che non a caso ha intessuto con tante potenze neocoloniali in questi anni grandi rapporti di collaborazione e profitto, a partire dall’Italia). Le rivolte e la repressione di queste settimane ci fanno male, sollecitano la nostra coscienza. Ma l’attacco militare di questa notte definisce con chiarezza la nostra scala di priorità. Oggi la priorità è contrastare la guerra, riaffermare il principio di non ingerenza, il diritto all’autodeterminazione dei popoli e alla loro sovranità.
Prepariamoci al moltiplicarsi esponenziale delle menzogne della propaganda, che ancora di più che in queste ultime settimane parlerà di “intervento umanitario” per difendere il popolo dai crimini del dittatore. Agli Stati Uniti, all’Unione Europea, agli Stati colonialisti non interessa nulla del popolo libico. Interessa soltanto il suo petrolio, il suo gas naturale e la collocazione strategica del territorio libico.
Care compagne e cari compagni, la guerra imperialista contro la Libia è iniziata. Dimostriamo nel nostro Paese quanto grande può essere la solidarietà internazionalista dei comunisti.
Simone Oggionni

Lo stravolgimento del diritto d’asilo

Deportazioni dai C.A.R.A. verso Mineo
http://www.meltingpot.org/articolo16493.html

Mentre Benghazi è sotto le bombe di Gheddafi, l’Italia inizia le deportazioni da Bari alla Sicilia: diritto d’asilo negato
Inviate le segnalazioni sugli spostamenti verso Mineo a redazione@meltingpot.org o sulla nostra pagina facebook
Benghazi è sotto un attacco del Governo libico senza precedenti ed in queste ore seguiamo con attenzione le notizie che ci vengono da Gabriele Del Grande e Stefano Liberti che si trovano proprio nella città assediata.
Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha approvato una risoluzione che prevede l’istituzione di una no fly zone. Le contraddizioni dei governi europei e mondiali esplodono di fronte al massacro libico. Sopra le scrivanie dei Palazzi del Governo italiano sono ancora uno sopra l’altro accatastati i protocolli di accordo con il dittatore libico che in queste settimane ha messo in atto una delle operazioni più violente contro i civili in sommossa degli ultimi anni. ..."Stiamo con Gheddafi che ci garantisce gli approvvigionamenti e la possibilità di fare i respingimenti congiunti. No, Gheddaifi è cattivo e lo scarichiamo perché abbiamo la coda di paglia. No ancora, Gheddafi potrebbe riprendere il controllo e garantirci stabilità e denari. Anzi, meglio fermarlo altrimenti ci mette in imbarazzo"...
E migliaia di civili sono morti il Governo italiano ha preparato anche la sua di operazione: un vero e proprio stravolgimento del sistema detentivo e di accoglienza, un duro colpo (se ancora ce ne fosse stato il bisogno) alle garanzie del diritto d’asilo.
Lampedusa scoppia, oltre al CIE sull’isola il prefetto straordinario Caruso ha annunciato per oggi l’apertura di una tendopoli nella zona (probabilmente) dell’ex base Loredan.
Intanto si stanno per aprire le porte del residence degli Aranci di Mineo che dovrebbe "ospitare" in un regime di detenzione/accoglienza ancora parzialmente oscuro, circa duemila richiedenti asilo: una cittadella del confinamento.
Ma ciò che sta avvenendo in queste ore conferma i timori che in queste settimane sono andati via via diffondendosi da più parti rispetto alle modalità ed alle geometrie di questa operazione.
Lampedusa esplode e l’operazione Mineo sarebbe potuta servire (nella sua oscenità) a decongestionare una situazione che sull’isola sta diventando incandescente.
Di contro, in ogni angolo d’Italia, C.a.r.a. e Cie sono sovraffollati e non riescono più ad assorbire eventuali trasferimenti, ma soprattutto stanno diventando essi stessi ingovernabili (come nel caso Bologna, di Roma, o di Gradisca dove il Cie è ormai stato distrutto dalle rivolte).
Ma chi è destinato allora al confinamento di Mineo? Saranno i cittadini tunisini approdati in questo mese a Lampeusa? Assolutamente no.
Le prime informazioni che arrivano dall’interno del Cara di Bari da parte di migranti in attesa del riconoscimento della protezione internazionale confermano che da ieri è partita una vasta operazione all’interno della struttura. A seguito di questa molte persone non provenienti dalla Tunisia stanno per essere spostate fisicamente ed anche contro la loro esplicita volontà, verso la Sicilia. Il tutto sta avvenendo senza alcuna comunicazione scritta, sembra, senza neppure tener conto di casi eventualmente vulnerabili, della distinzione tra chi ha presentato ricorso contro il diniego della Commissione o è ancora in attesa di audizione, o di altre situazioni (ad es. "casi Dublino").
L’ operazione sta riguardando certamente cittadini afghani, pakistani, iracheni, iraniani.
Il Governo insomma sembra aver deciso di utilizzare Mineo per confinarvi i richiedenti asilo attualmente distribuiti nei Cara italiani cancellando con un volo ogni rete socio-assistenziali che i migranti stessi sono stati capaci di costruire nei mesi di permanenza nel Cara, e soprattutto il loro diritto di difesa (dovendo presenziare, almeno i ricorrenti, alle udienze di prima comparizione disposte dal Tribunale ed essendo molti in attesa di ricevere documenti proprio presso il Cara di Bari). L’operazione sembrerebbe però il preludio di una seconda trasformazione progettata dal Ministero dell’Interno: trasformare le strutture dei Cara in Cie per deportarvi i tunisini.
Intanto la condizione dei tunisini sull’isola di Lampedusa diventa sempre più drammatica e la determinazione del loro "status di soggiorno" procede in maniera assolutamente arbitraria: ad alcuni viene proposta la presentazione della domanda d’asilo, ad altri viene prospettato il regime detentivo, ad altri ancora viene notificato il respingimento differito con conseguente intimazione a lasciare il territorio. In molti stanno tentando di proseguire il viaggio verso l’Europa che desiderano (Parigi, Londra, Oslo, Berlino).
Da Bari, secondo quanto riferito, un primo volo sarebbe partito questa mattina alle 09.00 ed un altro intorno alle 11.00. Altri 57 migranti sarebbero arrivati a Mineo dal Cara di Pian del Lago, di Caltanissetta e Serraino-Vulpitta, di Trapani.
Lanciamo un appello per monitorare questa situazione in continua evoluzione in ogni angolo d’Italia, a partire da Bari, passando per tutti i Cara della penisola, fino a Gradisca d’Isonzo.
Inviate le notizie a redazione@meltingpot.org o attraverso la pagina facebook del Progetto Melting Pot Europa

www.meltingpot.org

sabato 19 marzo 2011

No al centro di detenzione a Mineo

Si all’accoglienza dei migranti ed alla smilitarizzazione dei nostri territori

Dopo le iniziative di fronte al villaggio degli aranci a Mineo l’1 ed il 13 marzo, facciamo appello a tutte le realtà coerentemente antirazziste a vigilare sulle crescenti violazioni dei diritti umani dei migranti ed a costruire delle proposte alternative di accoglienza, visto il plateale fallimento delle politiche segregazioniste del governo:
• Dal maggio 2009 a Lampedusa bisognava fingere che gli sbarchi non avvenissero, in ossequio ai criminali respingimenti in Libia ed alla vergognosa campagna leghista della tolleranza zero contro l’invasione dei clandestini, incurante dei naufragi e dei morti nei lager (da noi finanziati) libici
• Per settimane Maroni, ben prima della crisi libica, ha fantasticato di esodo biblico, preoccupato più della sicurezza minacciata dall’”invasione” dei clandestini che dei soccorsi umanitari per salvare vite umane in fuga dalla guerra e dalla fame. Estremamente grave è stato il respingimento al largo di Augusta del traghetto marocchino proveniente da Misurata in Libia, poiché non si è permesso di verificare quanti erano i potenziali aventi diritto a chiedere asilo, visto che i passeggeri non erano certo in crociera turistica
• E’ stato appena inaugurato il villaggio della “Solidarietà” a Mineo, non per accogliere chi fugge dal Nordafrica, ma per sperimentare sulla pelle dei richiedenti asilo, già in Italia nei CARA, nuove pratiche di demagogica “accoglienza”, sradicando i richiedenti asilo dai territori, in cui stavano iniziando ad inserirsi. Anziché moltiplicare le esperienze degli SPRAR , già operanti in oltre 130 comuni, si preferisce dilapidare ingenti risorse pubbliche per militarizzare i nostri territori, favorire i grandi appalti ai soliti amici della cricca (ci basta L’Aquila ed il fallito G8 alla Maddalena)creando falsi allarmismi come se arrivassero pericolosi criminali. E’ facilmente dimostrabile che accogliere un migrante ci costa molto meno di segregarlo in condizioni disumane nei CIE o nei vari centri di detenzione; inoltre il costo medio al giorno di un richiedente asilo in un Cara è circa il doppio dei progetti SPRAR .Nel caso di Mineo i costi si moltiplicano aggiungendo le spese per militarizzare il calatino e l’affitto alla Pizzarotti Spa, azienda privata già attiva nei lavori di potenziamento della base di Sigonella, come nella costruzione della TAV israeliana (A1) Gerusalemme-Tel Aviv, che sta devastando i territori occupati palestinesi.
• Dopo settimane di fantomatici piani d’accoglienza in tutta Italia (tranne la Padania ) di fronte al presunto “esodo biblico”, si sta volutamente esasperando la situazione fra gli abitanti a Lampedusa, non procedendo allo smistamento dei migranti fuggiti dal Nordafrica in altre strutture d’accoglienza nel resto d’Italia; non è una giustificazione valida che gli altri centri siano saturi, le potenzialità di un’accoglienza d’emergenza, diffusa nei piccoli e medi centri potrebbe essere una preziosa opportunità di virtuosa ricaduta economica e sociale.

Siamo assolutamente contrari alla creazione di tendopoli a Lampedusa, come occorre evitare l'ulteriore militarizzazione dell'isola, dove adesso saranno inviati altre centinaia di carabinieri.
La proposta che vogliamo lanciare è quella di favorire l’accoglienza dal basso, con il coinvolgimento dell’associazionismo locale e dei migranti, diffondendola in tutto il territorio siciliano, meridionale e nazionale; si potrebbe così dimostrare la disumana demagogia di chi ci governa che, in tempi di crisi economica e di drastici tagli alle spese sociali, preferisce alimentare l’industria della paura ed aumentare solo le spese militari per giustificare le nuove guerre “umanitarie” e costruire il consenso sociale alla prossima scellerata avventura neocoloniale in Libia.

Ct 18/3/2010 Rete Antirazzista Catanese

sabato 12 marzo 2011

Per un mondo senza gabbie né confini!

Libertà per tutte e tutti! con o senza documenti

SABATO 12 MARZO 2011
presidio solidale davanti al Cie di Ponte Galeria!


ore 14.00: appuntamento alla stazione fs Ostiense
per prendere insieme il trenino per Fiumicino aeroporto

dalle ore 15.00: presidio sotto le mura del Cie di Ponte Galeria
fermata “Nuova Fiera di Roma” del trenino Roma-Fiumicino

chiudere tutti i cie! libere tutte! liberi tutti!

durante il presidio consegneremo alle recluse e ai reclusi le radioline portatili acquistate grazie all’iniziativa del 6 marzo a Casale de Merode
perchè ascoltare una radio è un modo per mantenere un contatto con l’esterno

PORTA UNA RADIOLINA A PONTE GALERIA!
contribuisci anche tu a rompere il muro del silenzio e dell’isolamento!

La luna e il dito. Della primavera araba e della nostra inadeguatezza

Annamaria Rivera, Carta, 10 marzo 2011:
http://www.carta.org/2011/03/la-luna-e-il-dito-la-primavera-araba-e-noi/?article2pdf=1

1. Un sommovimento imprevedibile?
Si è ripetuto fino alla nausea che il sommovimento che percorre il mondo arabo non era prevedibile, tanto che neppure le cancellerie e i servizi d’intelligence occidentali lo avevano messo in conto. In realtà, per parlare solo della Tunisia, era sufficiente frequentare e osservare senza pregiudizi quella società per intuire che qualche focherello ardeva sotto lo spesso strato di cenere del regime. Sarebbe bastato parlare con persone comuni per cogliere l’insofferenza, spesso appena dissimulata con l’ironia e la battuta di spirito, verso gli aspetti del benalismo più torvi [la dura repressione dei dissidenti politici e di islamisti spesso presunti] o più grotteschi: dall’obbligo di esporre il ritratto del despota ovunque, perfino nelle più sperdute bottegucce nel deserto, alla neolingua che da un anno all’altro imponeva di cambiare i nomi delle vie secondo il tema propagandistico del momento. Così che, per dirne una, mentre la megalomania modernizzatrice e speculativa del clan di Ben Ali seppelliva sotto il cemento litorali, palmeti, architetture tradizionali, d’un tratto ogni boulevard si chiamava “de l’Environnement”.
Per illudersi che popolazioni per lo più giovani, vivaci, istruite, precocemente familiarizzate con internet e cellulari potessero sopportare ancora a lungo tiranni insediati da alcuni decenni [dai ventiquattro anni di Mubarak ai quarantadue di Gheddafi] si deve aver interiorizzato la tesi dell’eccezionalismo arabo fino ad averne fatto legge della natura. Insomma, mi sembra che a far da schermo siano stati principalmente il paradigma rozzo e fallace dello scontro di civiltà e l’islamofobia conseguente, nonché il preconcetto che rappresenta il mondo arabo come immerso nelle tenebre dell’arretratezza o comunque intrappolato fra la minaccia dell’islamismo radicale e il male minore di dittature asservibili o lusingabili. Questo schermo ideologico ha impedito di considerare, fra le altre cose, che molti paesi arabi stanno vivendo una fase di transizione accelerata, segnata da cambiamenti profondi in tutte le sfere: dalla struttura della famiglia e dei rapporti di autorità ai riferimenti culturali e ideologici, per non parlare dell’incremento della comunicazione informatica e della presenza crescente di giovani generazioni istruite e destinate alla disoccupazione o alla precarietà [questi ultimi fattori, in verità, citati in abbondanza ex post].
Per cogliere questi mutamenti basta uno sguardo ai dati demografici: la crescita dei livelli di alfabetizzazione giovanile [di uomini e donne], la diminuzione dei tassi di fecondità, il declino dell’endogamia, solo per fare alcuni esempi, sono tutti segni di un rapido processo di modernizzazione, come ci avevano avvertito non pochi specialisti, fra i quali Youssef Courbage ed Emmanuel Todd in un’opera lungimirante, pubblicata in Francia nel 2007 e in Italia nel 2009 [1].
Certo, la demografia non rivela tutto di un paese e soprattutto delle sue sofferenze e dei suoi umori profondi, né è essa sola che determina la possibilità di ribellioni collettive. Risolutivo, in ultima istanza, è sempre qualche elemento soggettivo: un Mohamed Bouazizi che sceglie d’immolarsi piuttosto che patire umiliazione e disprezzo. Ma forse la demografia avrebbe potuto aprire qualche varco nel muro di ottusità politica dietro il quale si è rintanata la vecchia Europa. Che oggi appare smarrita, determinata solo a respingere i profughi travolti dal sommovimento e i giovani maghrebini per i quali libertà vuol dire anche conquista della mobilità. Ignara, la povera Europa, che la primavera araba ha decretato che già oggi viviamo in un’unica regione euromediterranea.

2. “Sembra che la capacità di ragionare ci sia venuta meno”: confusione e abbagli in seno alla sinistra italiana
Il vento impetuoso della rivolta inaspettata ha ingarbugliato anche orientamenti e dibattiti in seno alla sinistra italiana largamente intesa, anch’essa in buona parte presa in contropiede o comunque impotente a scuotere l’indifferenza dell’opinione pubblica: a conferma della perdita della facoltà di analisi e di previsione che è pari al provincialismo e alla povertà politica e programmatica. A sinistra non manca peraltro chi condivide il teorema complottista che nega ogni ruolo autonomo alle rivolte contro l’oppressione, soprattutto se scoppiano in un mondo che si credeva intrappolato nella tenaglia di cui ho detto prima. Per fortuna, alcune eccezioni esistono: singole personalità, i Radicali [2], alcune aree dei partiti di sinistra-sinistra nonché piccole testate, Ong, qualche sindacato, realtà associative, piccole e grandi, fino all’Arci. A sostenere la primavera araba, anche con iniziative concrete, è soprattutto chi è parte di movimenti internazionali –in primis quello altermondialista- e che quindi, per conoscenza diretta di paesi e persone, ha una percezione più realistica di quel che si muove e cambia oltre i confini europei.
Disorientamenti e vivaci controversie intorno alla rivoluzione araba si sono manifestati perfino -e più apertamente- in seno all’area del manifesto, il quotidiano che più di ogni altro soggetto rappresenta la continuità di un pensiero di sinistra radicale, colto e impegnato. A far scoppiare la polemica nella “comunità” del giornale [intesa come l’insieme dei fondatori, redattori, collaboratori, abbonati, lettori] è stato il caso libico, in effetti meno agevole da decifrare. Ma l’atteggiamento tiepido o alquanto pessimistico verso la rivoluzione araba di una parte della componente “storica” del giornale sembrava abbozzato fin dalla Rivoluzione dei gelsomini: “Golpe militare. Ben Ali fugge” era il titolo secco e parziale del primo pezzo [14 gennaio] a commento della fuga del tiranno cleptomane [3].
Questo atteggiamento, peraltro discordante da quello di altri giornalisti -da Rossana Rossanda a Michele Giorgio, che ha garantito ottimi réportage- si è poi palesato in rapporto con l’insurrezione della Cirenaica. Le ragioni, si può ipotizzare, sono molteplici. Forse ha pesato la solidarietà espressa a Gheddafi da Chavez, Oriega e soprattutto Fidel Castro, che già il 21 febbraio, sulle colonne del Granma, denunciava “il crimine della Nato”, a suo parere già pronta a invadere la Libia. Ma più di ogni cosa è prevalso il timore, fondato e condivisibile, che l’insurrezione finisca per essere il pretesto per una nuova guerra “umanitaria”. Per Tommaso Di Francesco, ad esempio, la soluzione balcanica è ineluttabile: “Interverranno perché, qualsiasi sia il potere che arriverà dopo Gheddafi, svolga per noi la stessa funzione […]: elargire petrolio per i consumi dell’Occidente e impedire l’arrivo dei disperati relegandoli in un nuovo sistema concentrazionario” [4].
Di certo lo scetticismo verso l’insurrezione libica non può attribuirsi principalmente alla relazione di stima e di amicizia fra il Colonnello e una delle colonne del quotidiano, Valentino Parlato. Il quale, il 18 febbraio, subito dopo la “giornata della collera” repressa nel sangue, rilascia un’intervista al Sole 24 Ore, in cui ribadisce senza sfumature la “stima convinta” per Gheddafi e l’ammirazione per il Libretto verde, “un testo ancora valido”, un “messaggio roussoiano di potere diffuso, di democrazia diretta” [5].
All’opposto, Rossana Rossanda -che fin dal 31 gennaio aveva salutato la primavera araba come “un movimento straordinario, coraggioso, laico, nel quale è tornato a soffiare il vento dei sollevamenti di libertà” [6]- in un editoriale del 24 febbraio denuncia lucidamente le nostre “illusioni progressiste”: quelle che hanno affidato l’intero peso della lotta anticoloniale e/o antimperialista all’autocrate di turno, il quale, in società prive di istituzioni intermedie a garantire la partecipazione popolare, nel corso del tempo rivela la propensione delirante e repressiva. “Nel caso di Gheddafi, scrive, con le sue uniformi rutilanti e i mantelloni da cavaliere del deserto, la convinzione di essere un liberatore e la disposizione ad ammazzare ed essere ammazzato, l’elemento di delirio è evidente” [7].
Man mano che si fa più irriducibile la ribellione cirenaica, più feroce la sua repressione e che si profila il rischio di un intervento militare occidentale, la voce equilibrata di Rossanda si perde fra gli articoli di Luciana Castellina, Manlio Dinucci, Maurizio Matteuzzi e altri. Da inviato a Tripoli dichiaratamente embedded ma per obbligo, Matteuzzi impiega buona parte delle sue corrispondenze per polemizzare contro la campagna di disinformazione, condotta dai media mainstream, e la tendenza conseguente a gonfiare il numero delle vittime del regime. Così, per foga polemica, nell’inciso di una di esse gli sfugge il lapsus calami sui libici che “al contrario di molti altri arabi, sono straordinariamente gentili, senza essere mai servili” [27 febbraio] [8].
In quella fase, e paradossalmente, proprio qualcuno dei “pesi massimi” che dalle colonne del giornale invita a giusta ragione a non dimenticare la storia sembra aver mummificato il Colonnello nel ruolo di Guida della Rivoluzione, per quanto invecchiata e decaduta[9]. In tal modo non solo finisce per collocarne in secondo piano la figura di repressore d’ogni forma di dissenso, di “dittatore crudele e vanaglorioso”, per dirla con Robert Fisk[10] che non è sospettabile di connivenza col nemico Nato; senza volerlo, ne attenua anche il ruolo di gendarme della Fortezza Europa. A quel punto, l’indulgenza imbarazzata che trapela da certi articoli, essa sì sembra immemore della storia più recente: mette da parte i campi di concentramento nonché i lager-bordello per migranti subsahariane, le violenze e le torture, i rastrellamenti e le deportazioni in container blindati, lo sfruttamento schiavile dei lavoratori terzomondiali, il razzismo istituzionale contro di loro e quello popolare, alimentato ad arte e ampiamente diffuso.
La reticenza di alcuni del giornale rispetto a questa e ad altre gravi questioni in gioco finisce per sollecitare le reazioni di lettori e collaboratori, testimoniate dalle numerose lettere di protesta che arrivano al giornale. Uno dei commenti è affidato a Luciana Castellina. Per comprendere come mai, scrive, “ovunque sia finita così male”, è d’obbligo “analizzare il passato, con tutte le sue contraddizioni”, quel che non farebbero gli indignati lettori del manifesto. Se sacrosanto è l’appello a riconsiderare la storia, più debole sembra la tesi di fondo, mutuata da Paolo Franchi che l’aveva proposta il 28 febbraio sul Corriere della Sera: la controversia sarebbe il frutto della divaricazione generazionale [11]. Questa frattura si manifesterebbe sotto la forma dell’inconsapevolezza della storia propria dei giovani, tutti: italiani, tunisini, egiziani, libici…Sarebbe facile replicare che, per quanto possa farci piacere, è arduo collocare fra i giovani Slavoj Žižek [12], Robert Fisk e tanti altri sostenitori della primavera araba, compresa me stessa.
Decisivo a riequilibrare il dibattito, il 6 marzo compare l’intervento, netto quanto pacato, di Farid Adly, intellettuale e giornalista libico che vive in Italia, collaboratore del manifesto. Adly rovescia l’argomento centrale della smemoratezza della storia avanzato dai detrattori deboli di Gheddafi, per obiettare che le riflessioni che essi propongono “non inquadrano la questione libica nel suo contesto storico”, poiché sottovalutano la “tragedia di un popolo che viene ucciso ogni giorno, nelle piazze delle città libiche e nelle piazze d’affari del mondo industrializzato”. E si schiera decisamente in favore degli insorti: “La matrice democratica che li spinge a ribellarsi agli ordini del tiranno è fuori discussione” [13].
Finalmente il 9 marzo è ancora merito di Rossana Rossanda se la controversia si chiude in modo degno della storia del manifesto. Il suo editoriale, limpido e incisivo, si apre con la constatazione basilare: “Al manifesto non riesce di dire che la Libia di Gheddafi non è né una democrazia né uno stato progressista, e che il tentativo di rivolta in corso si oppone a un clan familiare del quale si augura la caduta”. E alla domanda di fondo: “Perché tanta cautela da parte di un giornale che non ha esitato a sposare, fino ad oggi, anche le cause più minoritarie, ma degne?”, Rossanda dà una risposta altrettanto schietta e nitida: “Sembra che la capacità di ragionare ci sia venuta meno” [14].
E’ proprio questo il dubbio cruciale: che perfino dalle parti del manifesto, nato da un atto di solidarietà verso la Primavera di Praga, vi sia chi non ha saputo sottrarsi alla tenaglia degli schieramenti precostituiti per timore di fare il gioco del Nemico imperialista. In ciò dimentichi, alcuni, della propria stessa storia. Anche a quel tempo non si poteva prevedere come sarebbe andata a finire: non c’era forse chi li accusava di fare il gioco del Capitale e dell’Imperialismo? Nondimeno essi ebbero il coraggio di scommettere su quell’insurrezione e di difenderla generosamente.
Il più recente editoriale di Rossanda infine ha ricollocato il manifesto sulla retta via. Una strada tutt’altro che lineare, irta di dubbi, con una sola indicazione certa: le difficoltà delle transizioni, ostacolate fra l’altro da agenti dei vecchi regimi, e il rischio dell’intervento militare atlantico in Libia non ci autorizzano a sminuire l’importanza enorme del 1848 arabo –per usare l’analogia di Tariq Ali [15]- e a negare che, comunque esso vada a finire, ribellarsi alla tirannia è stato giusto e possibile. Forse non è più il tempo delle Brigate internazionali, evocate dalla stessa Rossanda. Appartengono a un tempo remoto perfino la generosità e l’intelligenza politica che spinsero alcuni ad accorrere nella Spagna degli anni sessanta-settanta che resisteva al franchismo o nel Portogallo della Rivoluzione dei garofani [eppure non era sconcertante che a condurla fossero i giovani ufficiali?]. Ma almeno che si denunci la repressione e si esprima rispetto per i caduti. Che si riconosca il Consiglio temporaneo libico per la transizione [16] mentre ci si schiera contro l’intervento occidentale. Che si dia sostegno e solidarietà attiva a chi insegna a noi depressi o smemorati che al mondo vi sono ancora esseri umani disposti a morire per la dignità, la giustizia e la libertà. E un giorno forse anche per l’uguaglianza.
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[1] E. Todd e Y. Courbage, Le rendez-vous des civilisations. La modernité démographique de l’Islam, Seuil, Paris 2007 (trad. it., L’incontro delle civiltà, Marco Tropea, Milano 2009).
[2] Per quel che mi risulta, i Radicali italiani sono stati gli unici a chiedere in Parlamento la sospensione immediata e unilaterale del Trattato italo-libico.
[3] Giuliana Sgrena, “Golpe militare. Ben Ali fugge”, il manifesto, 14 gennaio 2011: http://www.ilmanifesto.it/archivi/fuoripagina/anno/2011/mese/01/articolo/3995/
[4] Tommaso Di Francesco, “Verso un’altra guerra ‘umanitaria’”, il manifesto, 25 febbraio 2011: http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/in-edicola/numero/20110225/pagina/01/pezzo/297990/
[5] Intervista di Vittorio Da Rold a Valentino Parlato, Il Sole 24 Ore, 18 febbraio 2011.
[6] Rossana Rossanda, “Un respiro del mondo”, il manifesto, 31 gennaio 2011: http://www.ilmanifesto.it/archivi/commento/anno/2011/mese/01/articolo/4084/
[7] Rossana Rossanda, “Illusioni progressiste”, il manifesto, 24 febbraio 2011: http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/in-edicola/numero/20110224/pagina/01/pezzo/297902/
[8] Maurizio Matteuzzi, “La paura arriva a Tripoli”, il manifesto, 27 febbraio 2011: http://www.ilmanifesto.it/archivi/fuoripagina/anno/2011/mese/02/articolo/4228/
[9]Così Valentino Parlato nella risposta ad alcune lettere di protesta al giornale. In questa replica Parlato conferma il giudizio positivo su Gheddafi, “benché nell’ultimo decennio sia molto decaduto e oggi definitivamente sconfitto”; ammette “la sorpresa per l’attuale rivolta popolare”; ricorda infine l’ultimo viaggio romano della Guida e la scorta costituita da soldatesse –“tutto il contrario del berlusconismo, bensì – in un mondo musulmano – un segno di emancipazione delle donne”, dimenticando però le 700 vallette italiane prezzolate pretese dal Colonnello e la lettera di protesta sottoscritta da un gran numero di donne: “Su Gheddafi provo a spiegarmi”, Scritto&Parlato, il manifesto, 27 febbraio 2011: http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/in-edicola/numero/20110227/pagina/10/pezzo/298184/
[10] Robert Fisk, “Cruel. Vainglorious. Steeped in blood. And now, surely, after more than four decades of terror and oppression, on his way out?”, The Indipendent, 22 febbraio 2011: http://www.independent.co.uk/opinion/commentators/fisk/cruel-vainglorious-steeped-in-blood-and-now-surely-after-more-than-four-decades-of-terror-and-oppression-on-his-way-out-2221687.html
[11] Luciana Castellina, “I conti con il passato e il futuro che verrà”, il manifesto, 3 marzo 2011: http://www.ilmanifesto.it/archivi/commento/anno/2011/mese/03/articolo/4248/
[12] Slavoj Žižek, “Why fear the Arab revolutionary spirit?”, The Guardian, 1° febbraio 2011:
guardian.co.uk
[13] Farid Adly, “Dalla Libia arriva un grido di libertà”, il manifesto, 7 marzo 2011: http://www.ilmanifesto.it/archivi/commento/anno/2011/mese/03/articolo/4270/
[14] Rossana Rossanda, “Parlare chiaro”, il manifesto, 9 marzo 2011: http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/in-edicola/numero/20110309/pagina/01/pezzo/298762/
[15] Tariq Ali, “This is an Arab 1848. But US hegemony is only dented”, The Guardian, 22 febbraio 2011:
http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2011/feb/22/arab-1848-us-hegemony-dented
[16] Il Consiglio nazionale temporaneo per la transizione si è dato il compito di “sovrintendere all’elezione di un’assemblea incaricata di elaborare una nuova costituzione per il Paese, da sottoporre a referendum, in modo che la sua legittimità sia fondata su: la volontà popolare, l’insurrezione vittoriosa del 17 febbraio, il rispetto dei diritti umani, la garanzia delle libertà civili, la separazione dei poteri, l’istituzione di un potere giudiziario indipendente, la creazione di istituzioni nazionali che prevedano una partecipazione larga e pluralistica, la transizione pacifica del potere e il diritto di rappresentanza di tutti i segmenti della società libica” [dal comunicato del Consiglio del 2 marzo 2011].

mercoledì 9 marzo 2011

8.000 sbarcati in 2011, ecco dove vanno

31 centri tra Cie, Cara e Cda, ma ormai al tutto esaurito
07 marzo, 20:36
di Massimo Nesticò
ROMA - In poco più di due mesi sono sbarcati in Italia (la stragrande maggioranza a Lampedusa) quasi 8mila migranti, praticamente quanti - ha notato il ministro dell'Interno, Roberto Maroni - ne sono arrivati nell'intero 2010. Ed i centri per l'immigrazione del Viminale (31 strutture tra Centri di identificazione ed espulsione, Centri di accoglienza, Centri per richiedenti asilo e Centri di primo soccorso ed accoglienza) sono ormai al collasso. Nel 2008, comunque, uno degli anni con più sbarchi, gli arrivi furono ben 37mila.
I Centri hanno una capienza complessiva di circa 8.500 posti; si intuisce così la fretta di Maroni di approntare quello che ha definito 'Piano B', nel caso di massicci arrivi dal Nordafrica.
Finora il Viminale si è regolato così: i migranti appena sbarcati a Lampedusa vengono ospitati nel Centro di prima accoglienza dell'isola, che può contenere 800 persone, ma che é arrivato ad ospitarne anche il doppio. Viene quindi fatto un primo screening, con l'identificazione e l'eventuale presentazione della richiesta di protezione internazionale o asilo. Una scelta, quest'ultima fatta, da 2.100 tunisini. Con ponti aerei e navali, i migranti vengono poi smistati negli altri centri della penisola. Che, a questo punto, sono ormai strapieni. I Cara hanno complessivamente 3.300 posti. Una capienza analoga hanno i Centri di accoglienza e quelli di primo soccorso, mentre i Cie possono ospitare 1.800 persone. Finora le destinazioni principali dei voli da Lampedusa sono stati il Centro di Crotone, che funziona sia da Cie che da Cara e Cda e che ha una capienza di 1.300 posti e quello di Bari, che ha le stesse caratteristiche ed uguale numero di posti. Entrambe le strutture sono al completo. Nei Cie vengono trattenuti i clandestini che non hanno chiesto protezione e che, secondo le indicazioni di Maroni, dovranno essere rimpatriati non appena in Tunisia la situazione si sarà stabilizzata. Tra breve dovrebbe entrare in funzione il Villaggio della solidarietà di Mineo (Catania) - l'ex residence che ospitava gli americani di stanza nella base di Sigonella - in cui saranno trasferiti circa duemila ospiti dei Cara. Ma, il moltiplicarsi degli arrivi potrebbe rendere urgente la messa a punto del 'Piano B', cioé trovare strutture in tutta Italia, in grado di ospitare fino a 50mila persone.
Le prefetture hanno cominciato ad individuare le disponibilità, ora Regioni ed enti locali dovranno scegliere le aree pronte ad essere adibite all'ospitalità. Con campi attrezzati e tendopoli se sarà necessario. Nel frattempo, la Francia ha segnalato un massiccio 'esodo' di tunisini provenienti dalla frontiera italiana. Gran parte, infatti, di coloro che sbarcano a Lampedusa intendono dirigersi proprio Oltralpe, dove hanno spesso parenti e conoscenti ed i Cara non sono strettamente controllati dalle forze dell'ordine come i Cie. Gli ospiti hanno una certa libertà di movimento e a volte abbandonano il Centro per tentare di raggiungere la Francia.

Le critiche sulla scelta di Mineo? Caruso non ha dubbi: “Ideologiche”

di BlogSicilia
9 marzo 2011 - Ci sono problemi “di carattere ideologico e non tanto legati a una razionalità nelle valutazioni” dietro le critiche sulla scelta di Mineo.
Lo ha detto il prefetto di Palermo, Giuseppe Caruso, commissario governativo per l’emergenza immigrati, intervenendo stamattina a Radio 24. Il riferimento è al sindaco di Mineo, al vicesindaco e al presidente della Regione il quale anche ieri aveva definito la scelta di trasferire 2 mila immigrati a Mineo come una ‘deportazione’.
“Il ministro – ha ribattuto Caruso – ha sempre cercato la condivisione assoluta di tutte le componenti. Abbiamo fatto parecchi incontri sia in prefettura, a Catania, sia al Viminale, coinvolgendo tutte le realtà direttamente o indirettamente interessate. Qualcuno che non è d’accordo lo si trova sempre”.
Caruso invece non ha voluto commentare le affermazioni di Raffaele Lombardo, che aveva accennato ai suoi timori per la proprietà che ha dalle parti di Mineo (chiedendosi provocatoriamente, se fosse necessario utilizzare un mitra).
Nella struttura della provincia di Catania saranno ospitati solo gli asilanti che sono spalmati
attualmente nei vari Cara. In tutto 2.300 persone. “Ma riteniamo di farne affluire lì 2mila perchè 300 sono considerati soggetti svantaggiati, cioè anziani e non facilmente
trasportabili per vari motivi”.
Caruso ha parlato anche di Lampedusa. Lì, “la situazione regge molto bene,
indipendentemente dal numero. In questo momento i migranti sono circa 1.410. La capienza ottimale è di 850 unità, ma il centro regge lo stesso grazie anche alla tipologia degli ospiti: persone giovani, tra i 20 e i 35 anni, e in buona salute”.
“Comunque – secondo il prefetto - tutte le regioni dovranno contribuire ad affrontare l’emergenza immigrazione che non è solo un affare siciliano”

IMMIGRATI: PISANU, PRESTO TESTO APPLICATIVO DELLA DIRETTIVA UE (LIBERO)

09-03-11
(ASCA) - Roma, 9 mar - Un decreto contro le ''interpretazioni lassiste'' delle norme europee sull'immigrazione da parte delle procure. Il sottosegretario all'Interno, Alfredo Mantovano, in un'intervista a ''Libero'', annuncia la risposta del Governo ai giudici che si rifiutano di arrestare i clandestini.
''Nei prossimi giorni - spiega Mantovano - vareremo un testo applicativo, tale da rendere la direttiva europea compatibile con la disciplina italiana. Non possiamo restare spettatori di fronte allo stravolgimento della legge Bossi-Fini. Gli immigrati che stavano per essere espulsi, o processati per non aver ottemperato all'ordine di espulsione, sono tornati in libertà''. Secondo il sottosegretario, ''l'orientamento di varie procure della Repubblica e' figlio di un'impostazione ideologica inaugurata all'indomani dell'approvazione della Bossi-Fini, nel 2002, e mantenuta dopo il pacchetto sicurezza del 2009. Una fetta della magistratura ha provato a ridimensionare la portata dei provvedimenti in materia di immigrazione e a impedirne la piena operatività. Rispetto a questo quadro, tuttavia, c'e' stato un fatto nuovo'', ovvero ''l'introduzione di una direttiva comunitaria, la numero 115 del 2008, che ha il compito di rendere omogenee, negli Stati membri, le regole sull'immigrazione, ad esempio il meccanismo di espulsione dei clandestini. In Italia la direttiva e' entrata in vigore il 24 dicembre scorso senza essere stata recepita con le norme di aggiustamento. In questo vuoto - conclude - si e' infilata la frangia piu' ideologizzata delle toghe''.

Gli immigrati vendono anche la casa

METROPOLI
La crisi non dà scampo: in molti non riescono più a pagare il mutuo
Da appetibili compratori a sconfortati venditori: per gli immigrati il mercato immobiliare non è più un settore in cui investire ma da cui rimanere alla larga. Fra il tasso d'interesse del mutuo troppo alto, l'amministrazione troppo cara, e le spese di casa di vita a Genova ma anche nel Paese di origine, con un lavoro sempre più precario, gli immigrati scelgono di vendere il loro immobile, oggi fortemente svalutato. Sebbene all'inizio partecipare a quel boom di acquisti - iniziato sei anni fa - li abbia aiutati a risolvere il problema abitativo, allo stesso tempo ha determinato un problema di reddito. Un reddito che oggi non è più sicuro. E si vira verso le locazioni o addirittura si pensa di ritornare in patria perché iscritti al Crif, la banca dati dei Cattivi pagatori.

"Questa situazione sta riguardando alcune zone di Genova, soprattutto Sampierdarena e Certosa - spiega il coordinatore dell'Osservatorio Immobiliare Fiaip Liguria, Fabrizio Segalerba - . Il problema è questo: dal 2005 in avanti con il mercato in continua crescita, i tassi d'interesse bassi, le banche che concedevano maggior credito, addirittura al 100-120%, gli immigrati hanno iniziato ad acquistare spesso partendo senza capitale. Uno spirale in continua crescita che si è sviluppata per un paio di anni ma con rate così elevate che oggi non riescono più a far fronte a questo debito". Solo l'anno scorso - come si legge nella "Guida immobiliare per i consumatori liguri" - gli acquirenti non comunitari rappresentavano l'11%. La totalità di queste persone ha acquistato tramite mutuo. Carlos Rodriguez ha 45 anni e da sei mesi non riesce a vendere il suo appartamento di 130 metri in via Sampierdarena. "L'ho acquistato nove anni fa - racconta Rodriguez, originario dell'Ecuador e da 14 anni in Italia - . Non sono riuscito a pagare cinque rate e ora sono nelle mani di Equitalia". La Federazione regionale solidarietà e lavoro, in via del Molo, ha stilato una lista di agenzie immobiliari con cui collaborare per aiutare gli immigrati nella vendita. "Chi ha comperato spesso ha affittato le stanze al suo interno per ammortizzare il costo.

Ma gli affittuari non pagano più e il debito si ingrossa; finché tutti lavoravano andava bene, ora che il lavoro non c'è i soldi non arrivano da alcuna parte. Tutti sono finiti nel calderone - spiega Kandji Modou - È da un anno che va avanti così. Abbiamo riscontrato però una leggerissima apertura delle banche che ora valutano caso per caso". Può essere considerato un pericolo simile ai "mutui-subprime" accaduto negli Usa? "Senza dubbio questa situazione rispecchia quello che è accaduto oltreoceano - risponde Segalerba - . La differenza è che l'italiano si indebita per la casa per un 60-70%. Perché fa conto anche sul risparmio. Questo tiene in piedi il nostro sistema. Ciò non toglie che ci sia bisogno di fare un discorso serio con i proprietari, le banche e le federazioni degli immobili: dobbiamo trovare il modo di vendere le case. Se gli immigrati finiscono in esecuzione immobiliare, cioè non riescono a pagare il mutuo e automaticamente vengono registrati al Crif, il mercato immobiliare perde un potenziale acquirente".
(09 marzo 2011)

sabato 5 marzo 2011

La Fortezza Europa è già crollata

Annamaria Rivera

Il cinico servilismo degli ex amici di Gheddafi
“Liberazione”, 4 marzo 2011

Ripugnante. Non potrebbe essere definito diversamente il comportamento del governo italiano verso la crisi libica. Oggi i buffoni travestiti da ministri, che col loro servilismo cinico hanno contribuito a rafforzare il dittatore grottesco e delirante, col medesimo servilismo interessato si schierano dalla parte dei severi censori atlantici del Colonnello. Come tutti i servi eccedendo in piaggeria, sono i primi a invocare l’utilizzo della forza contro il vecchio alleato, pronti a mettere a disposizione le basi militari italiane: come quegli scolaretti secchioni che alzano la mano prima ancora che il maestro abbia formulato la domanda. Neppure sanno celare il vero scopo della “missione umanitaria” per “contribuire al rimpatrio sicuro dei cittadini fuggiti dalla Libia”: parole di Frattini. Più grossolano come sempre, Maroni non ha pudori lessicali: forniremo mezzi e personale di polizia, dichiara, per controllare i porti tunisini allo scopo di prevenire l’esodo di massa verso l’Europa. E poi chissà: da cosa nasce cosa, dalla missione umanitaria è facile scivolare verso la guerra umanitaria.

L’attitudine è sempre quella: da imbonitori politici privi d’ogni senso di coerenza e dignità, pronti a strumentalizzare ogni evento chiamandolo flagello per creare l’allarmismo utile a distrarre i cittadini italiani dal flagello che essi rappresentano. Non sia mai, mica si rimboccano le maniche per affrontare con razionalità e rispetto dei diritti l’arrivo dei profughi: il massimo che sanno concepire è sbatterli in qualche orrendo lager. Né si preoccupano d’essere diventati lo zimbello d’Europa. I quotidiani francesi non smettono di censurare l’”ingiustificabile messaggio xenofobo rivolto dal governo Berlusconi ai suoi elettori, malcelato dietro l’allarmismo dell’invasione” (editoriale di Le Monde, 26 febbraio). E si fanno canzonare, i “nostri”, da questo e quello senza fare una piega: alcuni giorni fa il ministro svedese si è preso gioco di Frattini, ricordandogli che l’anno scorso, quando la Svezia accolse 32 mila richiedenti asilo su una popolazione di 9 milioni di persone, a nessuno venne in mente di usare espressioni come “catastrofe epocale”.

Un amico di Gerba, Nasser Bouabid, in un articolo per Le Temps del 1° marzo, ha raccontato come le autorità e le popolazioni tunisine cerchino di fronteggiare l’afflusso al confine degli ormai centomila fuggiti dalla Libia per tornare ai loro paesi. Ha descritto la calma e il senso di umanità dei soldati, la gara di solidarietà degli abitanti dei poveri villaggi della zona che portano ai fuggitivi cibo e coperte, la requisizione immediata di ogni edificio utile a offrir loro riparo: alberghi, case della cultura, dormitori di licei, dimore private rimaste inabitate…Questo accade nella Tunisia stravolta dalla rivoluzione dei gelsomini, immersa in una fase di transizione difficile e dall’esito insicuro, impoverita dagli sconvolgimenti recenti e soprattutto dal crollo del turismo, principale risorsa economica del paese. Invece, nell’Italia berlusconiana, in cui l’indegno capo dello stato sperpera centinaia di migliaia di euro per mantenere le sue favorite, dissipando a margine per tal scopo anche denaro pubblico, “solidarietà” è parola del tutto desueta. Anche “politica” lo è, in realtà. Che politica è infatti quella di chi non ha saputo prevedere il fuoco che covava sotto la cenere delle dittature che andava coccolando? E può chiamarsi politica l’atteggiamento di chi non è sfiorato dal sospetto che non si può impedire con la forza la fuga a chi ha già sperimentato che ribellarsi è giusto e possibile? C’è da compiangerli: i “nostri” ignorano che le rivoluzioni arabe hanno già deciso che viviamo in un unico spazio euromediterraneo. Bisognerebbe dirglielo: la Fortezza Europa è già crollata.