sabato 18 luglio 2009

L'altolà del Quirinale, Napolitano firma la legge: ma così non va

L'altolà del Quirinale, Napolitano firma la legge: ma così non va
di Paolo Cacace
ROMA (16 luglio) - Le previsioni sono state rispettate. Giorgio Napolitano ha promulgato la legge sulla sicurezza, ma ha accompagnato il ”sì” con una durissima e articolata lettera di cinque pagine al premier, ai ministri Maroni e Alfano e (per conoscenza) ai presidenti delle Camere in cui esprime «perplessità» e «preoccupazioni» per le «criticità» dell’insieme del provvedimento, manifesta dubbi «di irragionevolezza» e d’«insostenibilità» del pacchetto, in particolare per alcuni punti come il reato di immigrazione clandestina e le ronde (per le quali si chiede di definire «compiti» e «limiti») o la questione delle badanti. O ancora: il ruolo del giudice di pace o addirittura l’uso dello spray al peperoncino come autodifesa.

Insomma, il capo dello Stato - pur non ravvisando quei profili d’incostituzionalità che lo avrebbero costretto a rinviare la legge alle Camere - ha voluto formalizzare le molteplici riserve che ha suscitato il ”pacchetto” e ammonire il governo e il Parlamento a porvi rimedio con le opportune correzioni. Nella lettera Napolitano spiega le ragioni d’opportunità che lo hanno spinto a non sospendere l’entrata in vigore delle norme «ampiamente condivise in sede parlamentare» e «volte ad assicurare un più efficace contrasto - anche sul piano patrimoniale e delle infiltrazioni nel sistema economico - delle diverse forme di criminalità organizzata» (leggi anti-mafia).

I rilievi dello staff giuridico del Colle sono molteplici ed articolati. Si parla di un ”pacchetto” «ampliatosi in modo rilevante nell’iter parlamentare» che contiene: 1) «numerose norme tra loro eterogenee non poche delle quali prive dei necessari requisiti di organicità e sistematicità e frutto di concitazione»; 2) «disposizioni di dubbia coerenza con i principi generali dell’ordinamento e del sistema penale vigente». Su tali criticità - spiega la lettera - si richiama l’attenzione del governo per «le iniziative» che riterrà opportuno assumere «anche alla luce che può comportare l’applicazione del provvedimento in alcune sue parti». Sulle misure concrete egli ovviamente non entra poiché al capo dello Stato non spetta pronunciarsi o intervenire sull’indirizzo politico e sui contenuti essenziali delle leggi approvate dalle Camere.

Immediata la risposta di Palazzo Chigi che fa buon viso a cattivo gioco. Esprime «soddisfazione» e «apprezzamento» per la promulgazione e sottolinea che «le considerazioni del capo dello Stato saranno valutate attentamente». Si terrà conto delle notazioni e dei suggerimenti del Quirinale sin dalla prima applicazione della legge. Anche Alfano ringrazia Napolitano: «Valuteremo eventuali modifiche». Chi invece spara a zero contro le ”osservazioni” critiche del Colle è Antonio Di Pietro secondo il quale «Napolitano doveva rinviare la legge alle Camere anziché esprimere lamenti che sono solo grida al vento».

Immediate le reazioni all’esternazione dipietrista. Cesa, segretario Udc: «Di Pietro la smetta di tirare per la giacca Napolitano e dirgli cosa debba o non debba fare». Anche dal Pdl pioggia di critiche. Chiti (Pd) accusa Di Pietro di essere «irresponsabile» e «demagogo». Anna Finocchiaro scrive a Schifani perché convochi una riunione dei capigruppo per avviare una discussione sui temi della nota presidenziale.

Bifronte la reazione della Lega. Maroni telefona a Napolitano per ringraziarlo mentre Brigandì, capogruppo in commissione giustizia, sostiene che «Napolitano non avrebbe dovuto scrivere al premier e al governo ma al Parlamento». Critico nei confronti del Colle è il senatore Pera: «Le parole di Napolitano sono fuori dai poteri che la Costituzione gli assegna».
Il Messaggero.it 16/lug/2009‎

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