lunedì 3 maggio 2010

STATI UNITI Latinos in piazza contro la legge anti immigrati

Il manifesto 01/05/2010
Luca Celada

LOS ANGELES Sarà un primo maggio «unificato» all'insegna dell'immigrazione a Los Angeles, dove le manifestazioni confluiranno in un grande corteo unico per dare voce al movimento degli immigrati. Che dopo la massiccia mobilitazione di tre anni fa era tornato ad essere in gran parte invisibile. Fino al caso Arizona, grazie alla famigerata legge 1070, firmata questa settimana dalla governatrice Jan Brewer. Che si sta rivelando una mossa disastrosa per l'immagine dello stato, criticata dal governo federale, dalla chiesa e dai grandi giornali e derisa da vignettisti e comici di mezza America. La legge, che dovrebbe entrare in vigore in estate, introduce il reato di clandestinità autorizzando la polizia a «verificare lo stato immigratorio» ed eventualmente fermare persone che siano «in verosimile stato di illegalità». Contro l'Arizona, c'è una sorta di sommossa nazionale. Nello stato del Grand Canyon che ha nel turismo una delle principali risorse economiche, le prenotazioni d'albergo sono state cancellate a valanga e alcuni studenti hanno rinunciato a immatricolarsi alla University of Arizona. Nel consiglio municipale di San Francisco è stata votata una risoluzione per interrompere rapporti economici coi vicini a est. Una analoga misura è all'esame a Los Angeles per ritirare investimenti e chiudere accordi commerciali con l'Arizona. Le partite in trasferta dei Diamondbacks, la squadra di baseball di Phoenix, sono state fatte oggetto di manifestazioni di protesta a Chicago. Le stesse città di Phoenix, Tucson e Flagstaff hanno fatto ricorso contro il proprio stato. Insomma un incubo di pubbliche relazioni per lo stato roccaforte del movimento conservatore, da Barry Goldwater a John McCain, con una forte presenza di Minutemen, le milizie anti immigrati di stampo «leghista». L'Arizona ha una folta popolazione «latina»; un terzo circa dei 7 milioni di abitanti è ispanico e si stimano attorno a 450.000 i «clandestini». La legge ha provocato un incidente diplomatico internazionale con il Messico, il paese che fino al 1849 comprendeva tutto il territorio dello stato. Sono i pericoli del codificare in legge certe pulsioni demagogiche, utili a infiammare i tea parties e simili movimenti «celoduristi» ma assai più problematiche una volta istituzionalizzate. Specie in regime federalista, dove gli ordinamenti dei singoli stati dovrebbero sottostare all'autorità di Washington. È probabile, alla fine, che la legge duramente criticata dal presidente Barack Obama possa venire invalidata dai tribunali federali prima ancora di entrare in vigore, proprio per l'impossibilità di formulare criteri di «sospetta clandestinità» che non siano fondati sul «profilo razziale» e quindi anticostituzionali. La logica d'altronde è quella della linea dura simile a quella dei respingimenti, con lo scopo dichiarato di rendere la vita talmente insopportabile agli immigrati in Arizona fino al punto di farli andare via, ovunque purché fuori dai confini dello stato più ingeneroso. In parte si tratta di una provocazione e, come sostengono i fautori, un atto di esasperazione verso le autorità federali la cui politica di fortificazione dei valichi in Texas e California ha avuto l'effetto di riversare i flussi clandestini sul «Tucson Sector». Qui la guardia di frontiera pattuglia il vasto deserto impiegato come «barriera naturale» (che fa ogni anno centinaia di vittime fra i disgraziati che tentano di attraversarlo a piedi). Sta di fatto che la legge pone fondamentali problemi di ordine etico e pratico; da un lato introduce quella che è a tutti gli effetti una legge razziale, mirata a una minoranza specifica, mentre dall'altro assicura la diffidenza delle istituzioni di milioni di persone dalla pelle bruna. Non sorprende che una delle prime cause intentate per bloccarla sia stata quella di un poliziotto addetto ai quartieri ispanici di Tucson, impossibilitato a lavorare per le nuove mansioni di doganiere e circondato da una popolazione ostile. La legge è particolarmente improponibile nel Southwest americano dove la popolazione ispanica ha radici storiche e in diverse città costituisce la maggioranza della popolazione, inestricabilmente connessa al tessuto sociale ed economico della regione. A questo proposito una delle principali falsità demagogiche che alimenta il sentimento anti immigrati nel crogiolo americano è il presunto costo sociale di una popolazione il cui apporto economico è in realtà di
gran lunga superiore ai servizi che riceve. E comunque una realtà integrante dell'economia globale e «glocal», come dimostra la visita a un qualunque campo agricolo del Southwest, coltivato da una manodopera interamente ispanica. Il caso Arizona presagisce il dibattito sulla riforma della legge sull'immigrazione che dovrebbe essere, dopo quella sulla finanza, la prossima battaglia affrontata da Obama, battaglia che fin da ora non promette però molto più di un riformismo moderato senza sostanziali soluzioni a una questione che solo la crisi economica ha temporaneamente attenuato. Al di là di questo, lo stato dell'Arizona ha dimostrato come l'immigrazione sia problema topico e trasversale dei nostri tempi, reale quanto adatto a strumentalizzazioni demagogiche e, in questo caso, ad atti di populismo plateale quanto inconsulto.

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