lunedì 7 settembre 2009

Giudici di pace e immigrati


Clandestini, beffata la legge

A Genova un giudice non sanziona il nuovo reato: vicenda tenue. Timori a Roma. Una decisione che è pericoloso precedente. Così ha inizio il sabotaggio del nuovo testo sull'immigrazione.
Fatta la legge, trovato l’inganno. Solo che stavolta a scovare l’inghippo non sono i colpevoli di un reato bensì i giudici. Che si sono messi a fare una sorta di sciopero bianco nei confronti nella legge sulla sicurezza appena varata che istituisce anche una nuova fattispecie: quella di clandestinità. Per ora c’è un piccolo caso. Ma che apre uno squarcio come accadde della legge Bossi-Fini nel 2002, quando alcuni magistrati fecero obiezione di coscienza. Andiamo a vedere da vicino quello che rischia di diventare un nuovo solco lungo la già esistente superstrada delle scappatoie. A Recco, vicino Genova, un giudice di pace ha ritenuto di «non doversi procedere per particolare tenuità del fatto» nei confronti di un clandestino. In pratica, il giudice ligure ha motivato la sua scelta poiché l'imputato era «incensurato, non aveva mai avuto problemi con la giustizia e svolgeva un'attività lecita, seppure in forma irregolare, così che non appariva giustificata l'azione penale nei suoi confronti».
E si è aggrappato all'articolo 34 del decreto legislativo 274/2000. Questo articolo, di un testo che regolamenta le funzioni dei giudici di pace, spiega che «rispetto all'interesse tutelato, l'esiguità del danno o del pericolo che ne è derivato, nonché la sua occasionalità e il grado della colpevolezza, non giustificano l'esercizio dell'azione penale». Così però si corre il rischio è che il magistrato si sostituisca al legislatore. Il problema è che la legge sulla clandestinità, nelle sue linee originarie, è stata disegnata proprio da un governo di centrosinistra, con Giuliano Amato ministro dell'Interno e ispiratore delle norme. Il governo di centrodestra non ha certo violentato i principi, ma ha affermato con l'introduzione della legge il reato di «ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato».
Nella dinamica, la norma non è certo di stampo reazionario: infatti, non si parla di arresto, ma di un'ammenda da 5.000 ai 10.00 euro, oltre all'espulsione. Dunque, in ossequio alle leggi del'Unione Europea la legge recentemente approvata al Senato (con 157 sì, 124 no e 3 astenuti) rappresenta un deterrente significativo, un disincentivo ai viaggi della speranza, un invito alla regolarizzazione legata al collocamento nel mercato del lavoro ufficiale. Principi inattaccabili nei quali qualcuno ha voluto aprire una crepa. Deputati al ruolo di «guastatori» paiono in questo momento i giudici di pace, coinvolti nel tessuto del controllo proprio dal tipo di sanzione amministrativa.
Purtroppo molti di loro non hanno «compreso» o «capito» lo spirito della legge e il dettato della stessa. Proviamo ad «aiutarli» a comprendere con un esempio. Se un cittadino che non è dentista, e tantomeno medico, esercita la professione di odontoiatra non commette un reato specifico quando cava un dente o ottura una carie: semplicemente, non è abilitato al ruolo, non avendo uno status professionale accertato, esigibile e ripettoso delle normative del Paese in cui si trova a operare. E ciò accade nelle grandi città (ma anche in quelle più piccole) alle prese col problema ancora irrisolto della prostituzione in strada.
Nella Capitale, ad esempio, la frustrazione delle forze dell'ordine è evidente quando, dopo aver proceduto a identificare cittadine e cittadini privi di permesso di soggiorno, senza un lavoro ufficiale o una giustificazione legata agli studi, e senza dimora, si rivedono rigettare il decreto prefettizio dal giudice. La motivazione è sempre la stessa: prostituirsi in Italia non è un reato. Ma la nuova normativa contesta il reato di clandestinità e non l'operato eventualmente delinquenziale all'interno dello stesso. Eppure i clandestini, perseguiti dalla legge, continuano a farla franca. Con «buona pace» dei giudici. da Il Tempo
di Marino Collacciani e Fabrizio Dell'Orefice
05/09/2009
L'intervista a Carlo Vizzini
"Interpretazione bizzarra Maroni venga a riferire"
Il presidente della commissione Affari Costituzionali del Senato: "Si intervenga".
Carlo Vizzini è nella sua Palermo. E a Palermo è festa, è Santa Rosalia. Lui, presidente della commissione Affari Costituzionali e relatore sulla legge sulla sicurezza, s'è concesso un po' di riposo con una nuotata. Ascolta a telefono le ultime novità che arrivano dalla Liguria dove un giudice di pace ha mandato «assolto» un immigrato accusato di clandestinità. Vizzini, pacatamente, non ci sta: «I giudici sono chiamati ad applicare la legge. Una volta chiusa la fase della discussione si dovrebbe concludere anche quella della contestazione».
Presidente, non teme che possa partire una sorta di sciopero bianco magari da quella parte della magistratura più politicizzata?
«Comunque sia non sarebbe ammesso. Nè scioperi bianco e nè obiezioni di coscienza. Mi auguro che non ci sia nessun comportamento che vada contro l'ordinamento».
Il giudice di Recco si è appellato però al fatto che si tratta di un reato tenue e dunque può non procedere. Che cosa ne pensa?
«Dovrei leggere le carte, non me la sento di giudicare così. La legge l'abbiamo lungamente approvata, discussa ed esaminata. Non ho mai sentito parlare della possibilità di appellarsi, da parte di un clandestino, alla tenuità del reato».
Nemmeno da parte dell'opposizione è stata sollevata questa obiezione?
«Guardi, le contestazioni che sono state fatte a questa legge sono state davvero le più varie. Ma questa non l'ho mai sentita e mi pare un'interpretazione vagamente bizzarra».
Ma perché è stata scelta la strada dell'ammenda per chi viene contestato il reato di clandestinità?
«Oddio, si rende conto se avessimo stabilito invece la detenzione? Già così ci accusa di aver fatto dei lager, figuriamoci se avessimo previsto il carcere. E le dirò di più».
Che cosa senatore?
«Pur essendo prevista la sanzione pecuniaria, c'è chi ci accusa di aver riempito i penitenziari. A costoro rivolgo solo un invito: prima di criticare almeno leggete il testo. Ed è un invito rivolto a tutti».
A chi si vuole riferire?
«Anche al Pdl».
Anche al Pdl?
«Ho letto una dichiarazione di un esponente del Pdl che accusava appunto la legge di aver provocato il sovraffollamento delle carceri. E per carità di patria non mi chieda il nome».
Presidente, ma le sono giunte notizie di altre «inosservanze» della legge?
«No, mi auguro che il governo stia facendo questo monitoraggio. Anzi, sono sicuro che lo starà facendo. Anzi, chiuderò al ministro dell'Interno di venire a riferire al Senato».
Quando?
«Non lo so, quando lui lo riterrà opportuno. Appena tornerò in ufficio, lo contatterò per sapere quando lui pensa di avere un quadro della situazione tale da fare un'analisi sull'applicazione della legge».
E secondo lei quanto tempo è necessario?
«La legge è entrata in vigore ad agosto. Un mese per giunta di scarsa attività. Secondo me occorrono almeno tre mesi, forse quattro. Insomma, mi auguro che possa venire entro la fine dell'anno in modo anche da verificare altre questioni come la tessera del tifoso».
Berlusconi immagina a modifiche del testo soprattutto sul fronte dell'integrazione. Lei sarebbe d'accordo?
«Ripeto, bisognerebbe fare un'analisi. Tuttavia siamo pronti a fare delle correzioni laddove ci rendessimo conto che è necessario intervenire. Sull'integrazione, in particolare quella che riguarda le grandi città, posso solo dire che proprio la prima commissione del Senato ha avviato un'indagine conoscitiva. Nelle prossime settimane dovremmo avere già qualche risultato. Ma non me la sento di anticipare nulla». da Il Tempo
Fabrizio Dell'Orefice
05/09/2009

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